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Giulio Cesare Croce Bertoldo e Bertoldino (Cacasenno di A. Banchieri) IntraText CT - Lettura del testo |
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L'asino tra' giù Bertoldino e gli ammacca una costola, e la Marcolfa va alla città e, con una bella comparazione fatta al Re e alla Regina, ottiene grazia di tornare alla sua abitazione di dove era venuta.
Giunta la Marcolfa alla città, andò dov'era il Re e la Regina in una stanza, i quali ancora ridevano delle solenni simplicità di Bertoldino, e, fatto lor la debita riverenza, disse a lei il Re: Re. Che buone nuove ci apportate voi, madonna Marcolfa? Marcolfa. Non ho nuova, Signore, che buona sia. Re. Perché? Che v'è incontrato? Marcolfa. Bertoldino è caduto giù dell'asino e s'è tutto amaccato da un lato, e io son venuta a pigliare un poco d'unguento da ungerlo e ancora per narrarvi una novella, la quale torna a proposito mio, pur che da voi mi sia dato udienza. Re. Dite pur su, madonna Marcolfa, che molto ci sarà grato d'udirla, sì come ci sono grate tutte l'altre cose vostre. Marcolfa. Nel tempo che i formiconi di sorbo andavano a cacciare le cimici gravide, trovavasi nella città delle penne di struzzo una mosca vedova, alla quale era stato ucciso il marito, pochi giorni erano, da un lombriccio, con un partegianone di quelli che portarono già in Italia i parpaglioni dall'ali dorate, quali passarono all'impresa della mostarda cremonese, quell'anno che si viddero tanti cremonesi in Cremona. Onde avvenne che, passando dritto la casa della detta uno di quei ragnacci dalle zampe lunghe, egli la vidde affacciata al balcone, e perché era sabato ella s'avea lavato il capo quel giorno, di modo che lei pareva molto più bella del solito, onde costui, dato una balestrata d'occhi alla finestra ov'ella stava, subito restò preso d'amore per le bellezze di quella gentil signora, né così tosto fu tocco dalle saette di messer Cupido, ch'esso incominciò a passeggiare innanzi e indietro, e levandosi sulle punte dei piedi caminava molto gentilmente; onde la vezzosetta vedovella, accortasi di ciò, tirandosi alquanto dentro dalla finestra, come fanno le vedove modeste, ora affacciandosi un poco, facendo anch'essa alquanto dell'occhietto e tal ora un poco di ghignetto per burlarlo, fece sì che il poveraccio restò cotto del tutto, né potendosi astenere dal gran calore che sentiva nel petto gli venne volontà di rampegarsi su per la muraglia, e andare dentro per la finestra, pensandosi ch'ella fusse di quelle ch'io voglio dire. E così incominciò a grapparsi con le ungie e a caminar in su verso il detto balcone, avendo fatto disegno, dopo il piacere ch'egli sperava di avere con lei, tornare poi giù attaccato al suo filo. Così andando su allegramente, ella, che vidde questa sfacciataggine, parendogli un amante un poco troppo presontuoso, tosto corse a pigliare una caldaia di lesciva, ch'ella aveva al fuoco, la quale voleva oprare a fare una bollita a un par di brache d'un pidocchio opilato il quale ella teneva in casa a camera locanda; né così tosto costui trasse le zatte al balcone per saltar dentro, che ella gli roversò quella lesciva adosso per pelarlo. Ma egli, ch'era destrissimo, accorgendosi presto di quell'atto, avendo in capo un guscio di lupino per zucchetto, tosto che sentì pioversi adosso quella lesciva, abbandonato la muraglia si lasciò cadere giù all'indietro, e, benché gli cogliesse un poco sulla testa, non però l'offese molto, per il zucchetto che ho detto, il quale lo difese da quella. Ma il peggio fu che, cadendo giù, il zucchetto andò a spasso, ed egli venne a percuotere con il capo suso un osso di persico, e tutto il cervello ch'egli avea gli corse nel podice, e da quell'ora fin al tempo d'adesso i ragni hanno portato sempre il lor cervello di dietro, e sempre cercano far vendetta con le mosche per tale oltraggio, tendendogli le reti per tutto, come gli uccellatori, e tosto che ne hanno preso una te gli spiccano la testa, e poi la lasciano andare. Così credo intravenisse a questo mio fantoccio di stucco, il quale una volta, seguendo una capra dietro un'alta rupe, nel salire su per quell'erta cadde addietro e venendo giù percosse con il capo sopra un tronco d'un sambuco, e così tutto il cervello gli corse nelle natiche, e gli restò leggiera la testa come il sambuco, e sempre uccella a mosche, a grilli, a farfalle e parpaglioni, e non restò, come si suol dire, né rana né barbastrello, né mai è per aver più senno di quello ch'ei s'abbia avuto fin ad ora; e però vostre Maestà farebbono un'opera lodatissima a lasciarci tornare alle nostre briccole, perché, se ben ho inteso le sentenze di Bertoldo mio marito, buona memoria, ei disse che chi è uso alla zappa non pigli la lancia, e chi è uso alle cipolle non vada ai pastizzi; e tutto questo cade a proposito nostro, ch'essendo nati, in luochi ermi e selvaggi, non siamo genti da praticare nelle città. Re. Molto bene avete detto, madonna Marcolfa; ma chi ha bevuto il mare può ancora bevere il Po. Però, se fin ad ora abbiamo compatito le simplicità di Bertoldino, anzi ne abbiamo avuto sommo piacere, tanto faremo per l'avvenire, e forse che con la lunga conversazione di questa corte egli potrebbe pigliar più ingegno che non ha; per questo la cura non è in tutto disperata. Marcolfa. Chi nasce pazzo non guarisce mai. Re. Chi mal balla, ben solazza. Marcolfa. Chi ha un vizio per natura, fin alla fossa dura. Re. Chi non ha cervello abbi gambe. Marcolfa. Al mal mortale né medico né medicina non vale. Re. Meglio è aver un passerino in seno, che dieci nella siepe. Marcolfa. Meglio è essere uccello di campagna, che di gabbia. Re. Ogni dritto ha il suo roverso. Marcolfa. Ogni testa ha il suo capello, ma non il suo cervello. Re. Ogni cosa si sa comportare, eccetto il buon tempo. Marcolfa. Ognuno dà pane, ma non come mama. Re. Che volete voi inferire per questo? Marcolfa. Io voglio inferire che non si fece mai bucato, che non piovesse. Re. Un'ora di buon sole asciuga mille bugate. Marcolfa. Chi ben non torce i panni, non si asciugano in tre giorni. Re. Parlate un poco più chiaro, ch'io non intendo bene queste vostre ziffere. Marcolfa. Non è il peggior sordo di quello che non vuol intendere. Re. Orsù, ecco ch'io v'ascolto: ingegnatevi, con un'altra bella comparazione a proposito vostro, di persuadermi a lasciarvi andare, ch'io do la parola, da quello ch'io sono, di non farvi resistenza alcuna, benché di ciò io ne senta doglia al cuore, ma di lasciarvi gire a voglia vostra, e ancora farvi tai presenti, che sarete gentiluomini là su.
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