ERMINIO,
MENGHINA, MARCOLFA E BERTOLDINO
Erminio.
Sappiate, che il nostro Spenditore di Corte l'altra mattina in mercato
comprando alcuni capretti da un Montanaro della vostra montagna, intese ancora
da quello l'esser vostro e gli diede contezza di questo vostro bel Cacasennino:
il che divulgatosi per la Corte è ancora pervenuto all'orecchio del Re e della
Regina, miei Signori, per lo che mi hanno mandato in persona, desiderosi di
vederlo, dove tutti voi, per termine di creanza, dovete compiacergli.
Menghina.
Non sarà egli mai vero, perché questo nostro figliuolino è così semplice, che
son certa gli interverrebbe qualche sinistro incontro.
Marcolfa.
Non vi è pericolo, Nuora mia cara, perché andrò io in sua compagnia; li
Principi hanno lunghe le mani, ed i lor cenni bisogna riconoscerli per comandamenti,
ed obedirgli.
Bertoldino.
E tanto più al re Alboino, che ne ha dato tutto quello che noi abbiamo; però
Menghina mia cara contentatevi, che questa è nostra nuova ventura.
Alle parole
di Marcolfa e Bertoldino, si quietò Menghina, e vestito coi panni delle feste
il suo Cacasenno, lo consegnò alla Marcolfa, e quindi, facendo i complimenti,
restarono Bertoldino con Menghina alla cura di casa, ed Erminio con il suo
servitore, Marcolfa e Cacasenno (con un bel collaretto dalle belle lattughe),
scendendo la montagna, s'inviarono verso la Città, e giunti alla prima Osteria
Erminio fece scendere da cavallo il suo Servitore, e presone un altro lo spinse
in posta alla Corte, per dar contezza al Re e alla Regina di questo fatto, dove
il Servitore galoppando si licenziò; ed essendo il cavallo della briglia che
aveva in mano, così forte la tirava che il cavallo, inarborandosi, si drizzò in
piedi, onde dirottissimamente Cacasenno gridava: Ohimè, ohimè, aiutatemi,che
questo animalaccio mi vuol portar per aria e farmi romper la testa.
A questo
gridare volgendosi Erminio, gridava che lasciasse la briglia, ma il povero
Cacasenno, lasciandola andare affatto, fe' sì che il cavallo vi inciampò dentro
e fecelo cadere in terra, ma per esservi la polvere alta, non si fece alcun male.
Marcolfa, dubitando che si fosse fatto gran male, correndo, disse:
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