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Giulio Cesare Croce
Bertoldo e Bertoldino (Cacasenno di A. Banchieri)

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  • Novella di Cacasenno figlio del semplice Bertoldino   Divisa in discorsi e ragionamenti Opera onesta e di piacevole trattenimento, copiosa di motti, sentenze, proverbi ed argute risposte, aggiunta al Bertoldino di G. C. Croce da Camillo Scaligeri dalla Fratta [Adriano Banchieri]
    • ERMINIO, MENGHINA, MARCOLFA E BERTOLDINO
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ERMINIO, MENGHINA, MARCOLFA E BERTOLDINO

 

Erminio. Sappiate, che il nostro Spenditore di Corte l'altra mattina in mercato comprando alcuni capretti da un Montanaro della vostra montagna, intese ancora da quello l'esser vostro e gli diede contezza di questo vostro bel Cacasennino: il che divulgatosi per la Corte è ancora pervenuto all'orecchio del Re e della Regina, miei Signori, per lo che mi hanno mandato in persona, desiderosi di vederlo, dove tutti voi, per termine di creanza, dovete compiacergli.

Menghina. Non sarà egli mai vero, perché questo nostro figliuolino è così semplice, che son certa gli interverrebbe qualche sinistro incontro.

Marcolfa. Non vi è pericolo, Nuora mia cara, perché andrò io in sua compagnia; li Principi hanno lunghe le mani, ed i lor cenni bisogna riconoscerli per comandamenti, ed obedirgli.

Bertoldino. E tanto più al re Alboino, che ne ha dato tutto quello che noi abbiamo; però Menghina mia cara contentatevi, che questa è nostra nuova ventura.

Alle parole di Marcolfa e Bertoldino, si quietò Menghina, e vestito coi panni delle feste il suo Cacasenno, lo consegnò alla Marcolfa, e quindi, facendo i complimenti, restarono Bertoldino con Menghina alla cura di casa, ed Erminio con il suo servitore, Marcolfa e Cacasenno (con un bel collaretto dalle belle lattughe), scendendo la montagna, s'inviarono verso la Città, e giunti alla prima Osteria Erminio fece scendere da cavallo il suo Servitore, e presone un altro lo spinse in posta alla Corte, per dar contezza al Re e alla Regina di questo fatto, dove il Servitore galoppando si licenziò; ed essendo il cavallo della briglia che aveva in mano, così forte la tirava che il cavallo, inarborandosi, si drizzò in piedi, onde dirottissimamente Cacasenno gridava: Ohimè, ohimè, aiutatemi,che questo animalaccio mi vuol portar per aria e farmi romper la testa.

A questo gridare volgendosi Erminio, gridava che lasciasse la briglia, ma il povero Cacasenno, lasciandola andare affatto, fe' sì che il cavallo vi inciampò dentro e fecelo cadere in terra, ma per esservi la polvere alta, non si fece alcun male. Marcolfa, dubitando che si fosse fatto gran male, correndo, disse:

 

 




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