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Giulio Cesare Croce
Bertoldo e Bertoldino (Cacasenno di A. Banchieri)

IntraText CT - Lettura del testo

  • Novella di Cacasenno figlio del semplice Bertoldino   Divisa in discorsi e ragionamenti Opera onesta e di piacevole trattenimento, copiosa di motti, sentenze, proverbi ed argute risposte, aggiunta al Bertoldino di G. C. Croce da Camillo Scaligeri dalla Fratta [Adriano Banchieri]
    • MARCOLFA, RE E REGINA
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MARCOLFA, RE E REGINA

 

Marcolfa. Serenissime Corone, sappiano che questo Cacasenno non è meno semplice di quello che già fu in questa Corte Bertoldino suo Padre; tal fu l'albero, tal'è il frutto: però non prendano meraviglia delle sue inezie; io volentieri l'ho condotto qui in Corte per obedire, desiderosa però quanto prima esser di ritorno alla mia casa per molte fatiche che vi ho.

Re. Bertoldino vostro figlio che fa, è egli vivo?

Marcolfa. È sano vivo, e all'uscir di fanciullezza è divenuto accorto, ed ha preso moglie, dalla quale è nato il nostro Cacasenno; mercé i donativi che ne furon fatti in questa Corte, siamo assai comodi in beni di fortuna.

Re. Ed è vero quanto mi dite di Bertoldino?

Marcolfa. Verissimo; io non direi bugia a lei, mio Signore, e quando non le fosse di tedio le vorrei raccontare un caso seguìto di quelli che raccontava Bertoldo mio marito in proposito di uno che, dicendo una bugia al suo Prencipe, si perse mille fiorini.

Re. Ditelo pure, che ne sarà di sommo gusto.

Marcolfa. Fu già un Prencipe, che aveva in Corte un Servo molto familiare. Occorse che un Cittadino, vedendo la gran familiarità che il Servo teneva con il suo Signore, ricercò per suo mezzo una grazia, offerendogli, se l'otteneva, un donativo di mille fiorini; al suono dei quali li fu promesso operar il possibile acciò la grazia si ottenesse. Stando in questo, il Servo familiare ricorse al Prencipe e li chiese la grazia, e per effettuarla più facilmente vi annesse una bugia, con dire che la grazia da lui ricercata era in persona di un suo fratello. Il Prencipe disse che vi penserebbe un poco sopra e poi risolverebbe sì o no; ma poiché le bugie hanno corte le gambe ed al bugiardo ricercasi buona memoria, il Prencipe si ricordò che il suo familiare, già una volta ragionando, dissegli non aver fratelli; onde, per scapricciarsi segretamente fece chiamare il Cittadino che desiderava la grazia, e quando gli fu davanti, dissegli il Prencipe: O dimmi la verità, o tu resti privo della grazia mia. Risposeli il Cittadino di sì. Soggiunse il Prencipe: Il tale è tuo fratello? Rispose il Cittadino di no. Replicò il Prencipe: Perché ti ha egli impromesso farti avere la grazia che tu desideri? Rispose il Cittadino: Avendogli impromesso, subito ottenuta, un donativo di mille fiorini. Disse di nuovo il Prencipe: Or a me li mille fiorini, e siati fatta la grazia; e comandolli che di ciò non facesse alcun motto all'amico. Il familiare intanto, non sapendo il negozio fra il Prencipe ed il Cittadino, trovandolo un giorno di vena, gli ricordò la grazia di quel suo fratello; allora il Prencipe argutamente gli rispose: Vatti pur trova un altro fratello, perché quello che tu pensavi dovesse esser tuo è diventato mio.

Re Onde applicando, il fratello erano i mille fiorini. Arguta risposta, e gioiosa invenzione certo; ma torniamo un poco al nostro primo ragionamento; per che cagione non ci avete dato contezza di voi, che ogn'anno v'averessimo mandato qualche cosa.

Marcolfa. Indiscreto è quello che non si contenta dell'onesto; fu invero grandissima la magnanimità loro quando alla nostra partenza ne furono donati in quel cofanetto li mille scudi, quattro pezze di panno, duecento braccia di tela, dieci soma di grano, ed altre tante botti di vino, le quali cose da noi furono vendute, e compratone tanti beni, onde possiamo campare più che da pari nostri.

Re. E perché non vi vestiste di quel panno e tela, non mangiaste quel grano, e beveste quel vino?

Marcolfa. Perché il nostro felice paese di montagna ricerca vestimenti rozzi, pane mesturato e bere acqua continuamente, li cui cibi e vestiti conferiscono grandemente alla sanità.

Re Quello che si contenta gode; potendo mangiare buon pane e bever buon vino, mi pare gran semplicità il cibarsi di mestura ed acqua.

Marcolfa. Tra l'altre male cose, il bever vino a quelli che non sono avvezzi si è la peggiore per la sanità, sì come sortisce agli avvezzi bevendone di soverchio; ed in tal proposito, se alle Maestà loro non porto tedio, voglio narrargli una favola raccontatami da mio marito in proposito di chi beve soverchio.

Re. Eccoci attenti per ascoltarvi, ditela pure.

Marcolfa. Un Gentiluomo principale Todesco, volendosi partire dalla patria per trasferirsi a vedere la maravigliosa Città di Roma, ed insiememente scorrere il delizioso Regno di Napoli, si pose in cammino con un Servitore suo fidato e pratico di tali paesi; e gionti che furono a Bologna, ordinò pertanto il gentiluomo al Servo che andasse avanti, e in tutte le Città, Castelli, Ville e Borghi che sono per la strada maestra, ed in tutte le Osterie si fermasse, e gustasse se ivi era buon vino; e quando l'aveva gustato ivi si fermasse o ponesse sopra la porta dell'Osteria una lettera maiuscola in lingua latina, che dicesse EST, cioè: Quivi è buon vino. Il Servo obedì; e mentre il Gentiluomo trovava un'Osteria, né vi vedeva la maiuscola EST, diceva tra sé: Nitte, ed andava avanti; e quando trovava la maiuscola EST, ivi si fermava un giorno, sì per veder quel luogo, sì anco per gustare così buona bevanda. Così camminando verso Roma, giunse il Servo a una Terra del Serenissimo Gran Duca di Toscana, situata a mezza strada tra Firenze e Siena, nominata Poggibonsi (che fu patria del famosissimo Cecco Bembo) e fermatosi all'Osteria delle Chiavi, trovò ivi tre variate sorti di vini esquisiti, Vernaccia, Moscatello e Trebbiano. A questa trovata fece il Servo un Epitaffio, replicando tre volte la maiuscola così EST, EST, EST. Giunto il padrone, e gustati tali Vini, concluse ivi trattenersi tre giorni, né saziandosi di berne, tanto vi soverchiò, che fu miserabilmente assalito da un improviso soffocamento, dove in poche ore se ne morì. Il Servitore mal contento, ritornatosene al suo paese con così trista novella, a tutti li parenti ed amici che li dimandavano del suo Padrone, loro rispondeva con questi due versi latini:

 

  Propter EST, EST, EST,

Dominus meus mortuus est

 

Sì che applicando dico, che il vino per lo più genera infiniti disordini, onde ne derivano diverse infermità, ed a noi su in montagna non gusta, ma più ne piace quelle nostre acque freschissime, lucide come specchi e chiare come cristallo, che in dolce mormorio scaturiscono da certe pendici in concave fontane, le quali acque si rendono non solo delicate al gusto, ma ne liberano dalle indigestioni.

Regina. Graziosa novella invero è stata quella di quell'infelice Todesco, sì come pur troppo è vero quello che ne avete significato.

Re. Intanto imaginandomi, o Marcolfa, che siate stanca dal lungo e faticoso viaggio, andate a reficiarvi e riposarvi insieme; poi ritornateci a vedere con il vostro Cacasenno.

Chiamò il Re il Maggiordomo, ed ordinò che alla Marcolfa ed a Cacasenno fossero assegnate stanze, come fu eseguito, e giunta che fu la Marcolfa all'appartamento, vide Cacasenno disteso in terra che gridava, con la pancia in giù: Ohimè, ohimè! né potendolo Attilio Servo quietare, la Marcolfa dimandolli il perché, e così disse:

 

 




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