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Giulio Cesare Croce
Bertoldo e Bertoldino (Cacasenno di A. Banchieri)

IntraText CT - Lettura del testo

  • Novella di Cacasenno figlio del semplice Bertoldino   Divisa in discorsi e ragionamenti Opera onesta e di piacevole trattenimento, copiosa di motti, sentenze, proverbi ed argute risposte, aggiunta al Bertoldino di G. C. Croce da Camillo Scaligeri dalla Fratta [Adriano Banchieri]
    • GIOCO DELLA MUSICA STROMENTALE
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GIOCO DELLA MUSICA STROMENTALE

 

Dodici Stromenti in tre sillabe l'uno

 

1. Spinetta                            7. Trombetta

2. Liuto                  8. Tamburo

3. Chitarra                             9. Cornetto

4. Violino                              10. Flauto

5. Biabò                 11. Viola

6. Pivetta                               12. Trombone

 

Quello che propone il gioco dica per esempio: Dirin dirin din, la tua Spinetta. Quello della Spinetta replichi, poi ne dica un altro, così seguitando: Dirin dirin din, la mia Spinetta. Tra pa ta pa ta, il tuo Tamburo. E quello del Tamburo risponda subito.

1. Dirin dirin din, la mia, o tua Spinetta.

2. Tronc tronc tronc, il tuo, o mio Liuto.

3. Trinc trinc ti ri trinc, la tua, o mia Chitarra.

4. Si ri si ri si, il mio, o tuo Violino.

5. Bi ri bi, il mio, o tuo Biabò.

6. Tu tu tu tu tu, la mia, o tua Pivetta.

7. Ta ran ta ran ta, la tua, o mia Trombetta.

8. Tra pa ta pa ta, il tuo, o mio Tamburo.

9. Ci ri ci, il mio, o tuo Cornetto.

10. Fis fis fis fis, il tuo, o mio Flautino.

11. Vion vion vi, la tua, o mia Viola.

12. Fu fu fu fu fu, il mio, o tuo Trombone.

 

Gli errori che possono scorrere, per li quali si depone un pegno, saranno: Quando non risponde presto lo stromento chiamato. Quando si fallasse nel cantar giusto il versetto. Quando si dicesse mio in cambio di tuo. Quando non s'imiti con le mani l'istromento suo, e quello del compagno. Avvertendo che se gli istromenti sono di voce acuta, si deve pigliar voce sottile, e se quelli sono di voce grave si piglia la voce grossa, siccome chi errasse in questo depone un pegno.

E perché dice il proverbio che ogni bel cantar rincresce, e come ogni corto gioco è bello, di mano in mano che uno depone il pegno esca di gioco, e quando li giocatori sono dodici, giunti alli sei li pegni, si diano uno per ciascuno, cioè quello del perditore al vincitore, per fargli riscuotere; e quando uno è uscito di gioco, ed un altro inavertentemente lo chiamasse, questo torna in gioco e ricupera il pegno, e quello che ha errato depone il pegno ed esce.

Regina. Marcolfa mia cara credo senz'altro avervi capita: quello che propone il gioco, deve cantare colla bocca ed imitare con le mani uno degli istromenti che sono in gioco, e quello che vien pronunziato subito rispondere con quel suo stromento, e pronunziarne un altro, e così seguitare con le condizioni dettemi nel deporre i pegni, le quali cose tutte tengo benissimo alla memoria. Ora, se io nel gioco fossi tra li sei, ovvero quattro vincitori, voglio m'insegniate qualche dubbio, ovvero enigma da proporre al Cavaliere o Dama che vorrà riscuoter il suo pegno.

Marcolfa Eccolo. Come farìa la Regia Corona Vostra a partire venti in cinque parti, e tutte cinque le dette parti fossero in numero dispari?

Regina. Io professo per mio diporto un poco d'Aritmetica: aspettate ch'io faccia il computo: uno e tre fan quattro, e cinque fa nove, e sette sedici, avanza quattro, non riesce. Tre via quattro dodici, avanza otto; manco. Tre e cinque otto, e sette quindici, e tre disdotto, avanza due, peggio. Quattro via cinque venti, ma sono pari; non è possibile, Marcolfa, spartire venti in cinque parti come dite, e siano dispari.

Marcolfa. Or vedete con che facilità voglio ponervi in chiaro: volendo partire venti in cinque parti, e tutte siano in numero dispari, si deve spartire la lettera

 

V E N T I

1 2  3  4 5

 

Ecco il dubbio risoluto, e riesce giudizioso.

Regina. Piacemi grandemente, ed è un bello enigma; io l'intendevo aritmeticamente, ed è litteralmente; pertanto del gioco e dell'enigma resto sodisfatta, e ve ne ringrazio; ora, dovendo io attendere a certi miei affari, voi Marcolfa andatevene a trovare Cacasenno, che aspettar vi deve.

Qui la Marcolfa fece le debite cerimonie nel licenziarsi dalla Regina; ora torniamo al nostro Cacasenno lasciato di sopra, che sua Nonna, partendosi, li disse che si trattenesse sino al di lei ritorno; onde Attilio, che per comandamento del Re stavasi appiattato dietro la bussola dell'anticamera per osservare tutto quello che Cacasenno operava, vedendogliene far una corse subito a raccontarla al Re, ond'egli, che intese che Cacasenno era solo, ordinò che lo conducessero a lui; il Servo, volando, tornò a Cacasenno, e sotto pretesto di menarlo a bere lo condusse avanti al Re, ond'egli, vedendogli il viso tutto impiastricciato, interrogandone Attilio, così disse:

 




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