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Giulio Cesare Croce Bertoldo e Bertoldino (Cacasenno di A. Banchieri) IntraText CT - Lettura del testo |
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Marcolfa. Or qui conosco apertamente che le Regie Corone loro, non solo sono nostri Signori, e Patroni, ma certi amici sicuri benemeriti. Re. Voi dite che ne riconoscete per certi amici; e come intendete questa parola certi, e non dite veri? Marcolfa. Perché vi sono amici ancora incerti. Re. Di grazia, dichiarateci questa differenza. Marcolfa, Sentitela in questa ottava.
Tanto è il ben (disse un Dotto) che non giova, Quant'è il mal che non noce; ognun stia all'erta. Amico di proferta ben si trova, Qual sempre stassi con la borsa aperta; Ma se tu vieni all'atto della prova, Chiacchiere e barzellette alla scoperta, Il vero amico è quel, quand'è in grandezza, Sovvenir e onorar quel che è in bassezza.
Re. E come si dovria fare a procacciarsi veri amici? Marcolfa. Le vere amicizie sono quelle che sono fondate nelle azioni virtuose; ma quelle che sono fondate nelle viziose durano poco, e da amici si diventa perfidi nemici; le amicizie che si conoscono di mala pratica si devono fuggire, atteso che se un uomo pratica con un cattivo acquista anch'egli lo stesso cattivo nome, e spesso, dice il proverbio, le male amicizie fanno rompere il collo; queste tali amicizie sogliono cagionare, di un gran amore, un intensivo odio, e venendo alla pace, non si deve più seguitare intrinsichezza; perché talvolta i viziosi di mala natura perdonano, ma non si scordano; il meglio è che ognuno faccia i fatti suoi, senza intrinsicarsi; e se alle Corone loro non porto tedio, racconterolli una moralità. Re. Di grazia, raccontatela, intanto che il Maggiordomo verrà con i duecento fiorini. Marcolfa. Quell'anno appunto che Berta filò le braghe al gallo, riferiscono Esopo, Tansillo, Doni ed altri scrittori, che tutte le bestie sapeano parlare, e tra di loro faceano amicizie e disamicizie, insomma negoziavano di quanto era loro necessario. Nell'istesso anno trovavasi la Volpe odiata da tutti per aver ingannato con le astute malizie e ladronecci ormai tutto il mondo. Ritrovandosi priva d'amici e perseguitata a morte, s'incontrò nel Cane di razza mastina, il quale volendosi avventare addosso di essa per ucciderla, lei trovò una buca e dentro vi si nascose, nella quale entrare non poteva il Cane; tuttavia, vedendosi assediata, pensò nuova astuzia, e con le sue belle parole disse: Dimmi, il mio bel Cane galante, perché mi vuoi uccidere? Venivo per conferir teco un mio pensiero, il quale è per sortire in tuo favore; però desidero che tu deponga lo sdegno e mi ascolti. Allora il Cane, sentendosi lodare e dire che desidera trattar seco un negozio il quale risulta in suo favore, diss'egli che volentieri era per ascoltarla. La Volpe soggiunse: So, il mio Cane galante, che ti sono note tutte le furfanterie che sino al giorno d'oggi ho commesse; però ti prometto, da quella che sono, esserne pentita, e da qui avanti vivere senza offesa d'alcuno. Io ora venivo a trovarti perché so che tra tutte le bestie tu tieni il nome di fedeltà, ond'io, sperando di trovare in te fedeltà, o pietà, ti dico che io sempre ho compatito il tuo stato, poiché giorno e notte bisogna che tu sii vigilante al la casa del tuo Padrone, se vuoi vivere, e quando hai bene travagliato tutto il giorno, alla notte, in cambio di riposare, ti bisogna vegliare e invigilare; poverello, certo del tuo stato crepami il cuore di compassione. Ora, come ti ho detto, pentita di tutte le mie scelleraggini, vorrei pigliar teco amicizia, e che tu mi introducessi in tua compagnia alla guardia della casa del tuo Padrone. Tu di giorno farai la guardia, ed io la sentinella di notte. Desidero intanto ne facci motto col tuo Padrone, e mettergli in pensiero l'utile della sua casa mentre avrà due guardie amiche e confederate. Allora il buon Cane, non considerando che la pratica di così maliziosa bestia gli sarebbe tornata in danno fin della vita stessa, le disse: Esci dalla buca, che ti do la zampa da bestia onorata di non offenderti, e di parlare al mio Padrone, e far che t'accetti in mia compagnia per guardia delle sue sostanze. Allora la Volpe uscì fuori dalla buca sotto la sua parola; e intanto, questi due nuovi amici si inviorno alla casa del Cane, e giuntivi, il Contadino, che vide la Volpe, subito prese una falce e corse alla sua volta per ucciderla; la Volpe, tutta mansueta, non fuggì, non si appiattò dopo il Cane, il quale, quietata l'ira del suo Padrone, tanto li seppe ben dire, che il buon Contadino gli promise tenerli ambidue in casa per guardia, con provisione di quattro pani al giorno ed una catinella d'acqua per ciascuno, con le ossa della carne, ed altre incerte regalie che correranno alla giornata. Fatto il patto, il negozio s'incamminò per due o tre giorni con molta soddisfazione del Contadino, del Cane, e della Volpe. Questa maliziosa bestia, essendo avvezza a mangiar galline, capponi, pollastri, da lei rubati nei gallinari, non si poteva assuefare a quel pan nero pieno di mistura, onde con bella destrezza un giorno, trovandosi a ragionamento con il Cane, così cominciò a dire: Cane mio fido compagno ed amico, poiché quivi siamo insieme a ragionare, vorrei dirti quattro parole, con patto che tu mi dia la zampa di non ne far motto ad alcuno, le quali parole ritornano in nostro utile. Allora il Cane le disse: Dotti parola da vero amico d'ascoltarti, ed anco di non manifestare a niuno quello che sei per dirmi, sicché scopri pur l'animo tuo liberamente. Soggiunse la Volpe: Tu vedi, il mio Cane, il nostro misero stato; non dico che il nostro Padrone non ne osservi quanto ne ha promesso, tuttavia, per mangiar comunemente pane di mistura, siamo diventati magri come due lanterne; tu sei un bel Cane, ma la magrezza ti guasta; se tu ti vedessi, poveretto, ti si conterebbero tutte le costole; però, vorrei che pigliassi il mio consiglio. Io so benissimo che sei pratico di questa Villa, e, quando vai fuori il giorno col Padrone, hai la pratica delle case e dei Contadini; io pertanto la notte quando il padrone sta a dormire vorrei che andassimo quando ad una casa e quando ad un'altra a buscarsi un paio di galline; tu m'insegnerai i gallinari e mi farai la guardia ed io destramente anderò a far l'effetto; e poi dopo al nostro pagliaro le mangeremo. Qui nella Villa vi sono assai case, ogni notte muteremo, e così molti giorni staremo bene, e nissuno se ne potrà accorgere; tu, che non sei di sospetto, il giorno anderai a far la scoperta, poi la notte in compagnia anderemo a far l'effetto. Il Cane, a queste belle paroline, ed anco lasciandosi tirar dalla gola, calò al consentimento, ponendolo ad effetto. Poche notti stettero bene alle spese di tutta la Villa; intanto le Donne di detta Villa, discorrendo tra loro, una disse: Non sapete le mie Donne? questa notte mi è stato rubato un paio di galline. Disse un'altra: Ed io la notte passata; e così tutte lamentandosi, dissero voler tender trappole e far la guardia per vedere se potessero venire in cognizione dei malfattori. Mentre ciò ragionavano tra loro, il Cane, che andava in ronda per ispiar questi motivi, vide le preparazioni che si ordinavano contro loro, onde n'avvisò la Volpe, la quale disse: Noi non ci torneremo più; intanto ci siamo un poco ingrassati, torniamo pure al nostro pane misturato. Il Cane si mise al vivere primiero; ma la Volpe maliziosa, che non poteva stare alla vita di quel pane, essendo avvezza a scialacquare, trovò una nuova astuzia: la notte andava al gallinaro del Padrone, e mangiava una gallina. Fatto il simile per quattro notti, disse: Qui non è tempo di starsi con la mano alla cintola; se il Padrone fa rassegna delle galline a me dà la colpa, onde il Padrone, ovvero il Cane mi ammazzano senz'altra remissione. Pertanto se ne andò in casa, e trovato il Padrone, dissegli che voleva dirgli quattro parole in secreto, ed avuta parola di secretezza così disse: Veramente, Padrone, resto molto soddisfatta della virtù mia, e vengo trattata molto più che non comportano i meriti miei; tuttavia, poiché mi prometti secretezza, sono per scoprirti un furto che ogni notte si fa nel tuo gallinaro. Disse il Contadino: E che furto è questo? Rispose la Volpe: Il Cane del quale tanto ti fidi ogni notte si busca una gallina, e dove la porti e che ne faccia io non lo so. Replicò il Contadino: Ed è vero quello che dici? Verissimo, disse la Volpe, e volendoti chiarire, non far alcun motto di sospetto, vattene al gallinaro, e fa la rassegna, che vedrai la mancanza e questa sera ti farò vedere il Cane con il furto addosso. Il Contadino intanto, irato con il Cane, restò in appuntamento con la Volpe di volersene chiarire. Licenziatasi pertanto la Volpe, che non le pareva tempo di dormire, ritrovò il Cane, e tirandolo in disparte così gli disse: Il mio Cane da bene, io ti ho preso tanto amore, che un'ora non posso stare senza vederti; il nostro andare ai gallinari più non è bene, se non vogliamo lasciarci la pelle; io per me mi muoio di volontà che noi mangiamo un paio di galline. Rispose il Cane: E di quali? Replicò la Volpe: Di quelle del nostro Padrone, che per così poco numero non se ne accorgerà, ed avvedendosi negheremo, e con chiacchiere gli daremo ad intendere il bianco per nero; io questa sera le ammazzerò e le porterò sotto il pagliaro; tu colà vattene, e portale nel fosso qui sotto la nostra casa, ed io verrò e le godremo. Il Cane si mostrò ritroso un pezzo; ma l'astuta Volpe tanto l'imbrogliò che restarono d'accordo. Venuta la sera la Volpe fece vedere al Contadino il passaggio del Cane con una gallina in bocca, del che ne prese tanto sdegno che il dì seguente, dormendo il Cane sull'aia, fu miserabilmente ammazzato dal Contadino con un'archibugiata. Quando la Volpe vide così tragica risoluzione, disse: Non è più tempo di star in questo paese, perché in breve interverrebbe a me il simile, conoscendo la mia mala natura; e perché non sapeva in qual maniera uscir di quella Villa per il pericolo di perder la vita, di nuovo trovò il Contadino, e dissegli: Ora che ti sei levato davanti il Cane, che non contento del pane, ancora ti rubava le galline, pertanto, avendo tu conosciuta la mia fedeltà, desidero servirti per Cane; voglio che tu scortichi il Cane ed acconciata la sua pelle la notte me la ponghi intorno, che i ladri, credendomi il Cane avranno paura, sebbene non abbaierò, e sarà meglio, perché dicesi per proverbio: Cane che abbaia non morde, onde avranno più paura; così tu avanzerai il pane e la tua casa sarà guardata come prima. Al Contadino gli parve buon partito, e pose la pelle del Cane indosso alla Volpe, e lei maliziosamente la notte che seguitò gli mangiò un paio di galline, e con quella pelle di Cane se ne fuggì in altro paese a tramare nuove astuzie. La mattina levatosi il Contadino, e non trovando la Volpe, e vedendosi mancar le galline, di quivi scoperse quanto era successo, esserne stata cagione la maliziosa Volpe; onde disse tra sé: Mi sta molto bene; così interviene a chi piglia pratica di gente viziosa, la quale fa precipitare chiunque con loro conversa, e son sicuro che il mio povero Cane è morto per malizia di detta Volpe, che l'avrà con qualche trappola ingannato. Onde il Contadino si prese tanto disgusto di aver ucciso il suo Cane, che per molti anni gli era stato fedelissimo custode, che anch'egli in pochi giorni finì la sua vita. E questo è il fine della Favola del Contadino, Cane e Volpe, promessa di raccontare alle Regie Corone loro. Re. Veramente, Marcolfa, la favola non solo è gustosa da sentire raccontare, ma di grandissimo utile a quelli che si lasciano sviare da pratiche viziose e di mala nominanza, le quali fanno verificare quella sentenza che disse: Le male pratiche conducono l'Uomo al macello; intanto il nostro Maggiordomo è venuto con i fiorini, godeteli per amore nostro, e ritornateci a vedere, secondo la promessa; questa notte dormirete in Palazzo e dimattina ve n'andrete in Lettiga per più comodità a casa vostra, dove Bertoldino e sua moglie vi devono con desiderio stare aspettando. Regina. O che graziosa favola, degna di gran considerazione! alla gioventù in particolare; una sol cosa desidero saper da voi, Marcolfa: da che procede che i Prencipi hanno tanti amici. Marcolfa Alle persone grandi tutti si mostrano amici, sì, ma sono amici d'interesse, chi per adulazione, e chi per timore. Notate queste quattro belle sentenze e ciò vi basti:
Tal in presenza ti unge, che in assenza ti punge. Tal ti loda in presenza, che ti risloda in assenza. Nelli stati felici, ritrovi tutti amici. Ma se fortuna volta, ognun suona a raccolta.
Giunto il Maggiordomo sborsò a Marcolfa i duecento fiorini, e la Regina levossi dal dito uno smeraldo legato in oro e glielo consegnò acciò in nome suo lo presenti alla moglie di Bertoldino; onde Marcolfa, il tutto ricevuto, così disse:
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