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Giulio Cesare Croce
Bertoldo e Bertoldino (Cacasenno di A. Banchieri)

IntraText CT - Lettura del testo

  • Le sottilissime astuzie di Bertoldo. Nuovamente reviste e ristampate con il suo testamento nell'ultimo e altri detti sentenziosi che nel primo non erano
    • Umor fantastico saltato nel capo alle donne della città.
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Umor fantastico saltato nel capo alle donne della città.

 

Venne dunque il messo inanzi, e fatto la debita riverenza al Re, gli porse la carta in mano, il cui contenuto era questo, che le matrone di quella città, cioè le più nobili, bramavano, anzi pur dimandavano liberamente al Re di potere esse ancora entrareconsigli e reggimento della città, come erano i loro mariti, e metter fave e balottare, e udire le querele e sentenziare, e in conclusione di fare anch'esse tutto quello che facevano quelli del Senato e primati della città, allegando che ve n'erano state dell'altre che avevano retto imperii e regni con tanta prudenza, e più tal ora che non avevano fatto molti re e imperatori passati, e che molte erano uscite alla campagna armate e avevano diffesi i loro stati e regni valorosamente, e che perciò il Re non doveva rifiutarle ma accettarle e far partecipe ancor loro di quanto addimandavano, perché pur loro pareva strana cosa che gli uomini avessero il dominio d'ogni cosa e che esse fossero tenute per nulla; alludendo nel fine che tanto esse sariano secrete nelle cose d'importanza quanto gli uomini e forse più, e di ciò la Regina faceva molta instanza, raccomandandogli caldamente tal negozio. Letto il Re la lettera, e inteso la pazza domanda di queste femine, non sapeva che risoluzione si dovesse prendere; onde volto a Bertoldo gli narrò tutto il fatto, il quale prese fortemente a ridere, onde il Re alterato alquanto gli disse:

Re.  Tu ridi, manigoldo?

Bertoldo.  Io rido per certo, e chi non ridesse adesso meritarebbe che gli fussero cavati tutti i denti.

Re.  Perché?

Bertoldo.  Perché queste donne ti hanno scorto per un babuino e non per Alboino, e per questo elle ti hanno fatto questa pazza domanda.

Re.  A loro sta il domandare, a me il servirle.

Bertoldo.  Tristo quel cane che si lascia prendere la coda in mano.

Re.  Parla, ch'io t'intenda.

Bertoldo.  Triste quelle case che le galline cantano e il gallo tace.

Re.  Tu sei come il sole di marzo, che commove e non risolve.

Bertoldo.  A buono intenditore poche parole bastano.

Re.  Cavamela fuori del sacco una volta.

Bertoldo.  Chi vuol tener la casa monda, non tenghi pollicolomba.

Re.  A proposito, chiodo da carro, vieni alla conclusione.

Bertoldo.  Ch'intende, chi non intende, e chi non vuol intendere.

Re.  Chi s'impaccia con frasche, la minestra sa di fumo.

Bertoldo.  Che cosa vuoi tu da me, insomma?

Re.  Io voglio il tuo consiglio in questa occasione.

Bertoldo.  La formica chiede del pane alla cicala, adesso.

Re.  So che tu hai ingegno e che sei copioso d'invenzioni, e però io voglio dare a te l'assunto di tutto questo negozio.

Bertoldo.  Se a me dai l'assonto di questo, non ti dubitare che presto te le caverò da torno; lassa pur far a me, che s'elle ti parlano mai più di questo fatto, io sono un cane.

Re.  Orsù, ingègnati di espedirle quanto prima.

Bertoldo.  Lassa pur fare a me.

 

 




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