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Giulio Rospigliosi Il palazzo incantato IntraText CT - Lettura del testo |
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Scena II
Oue, o mia speme, oue riuolgi i passi? Con Ruggiero men uo, doue a lui piace. Come uai con Ruggier[o], se tu mi lassi? O Ruggiero! O Ruggiero! E questi, e quelli [630] Che distinguer' non so, qual sia uerace. Lasciamo pur, ch'in uano altri fauelli; Segui, o Signora, il tuo fedele amante. E chi sei tu? Come di lei t'appelli A me solo doúto usurpi il nome? Hor a l'uno, hora all'altro i passi muouo, E perché due ne trouo, ambi gli perdo, Esser' questa sol puote opra d'incanti. Rende immobile il piè non men, che il core. Così dunque i miei mali, E raddoppiando il desiato oggetto, Vieni, o crudele, a raddoppiar' gli strali? Poiché tu dubbia stai, Deh, riguarda il mio uolto, oue il cor siede, [631] Fuori traspar' non meno, Che per chiuso cristallo accolta face, Sai, ch'a me cara sei più, che la uita. Se non disgombra ogn'incertezza amore, E ne' presagi sui Raro auuiene, o non mai, ch'inganni altrui. All'uno inchina il cor, ma tosto cede Dell'altro alle quadrella; Ma l'alma a lui sen corre, a te sen riede, Ma quei pur la rappella; Onde per non soffrir' sì duro affanno, Riuolgendo alla sorte ogni consiglio, [632] Da te prendo congedo, a lui m'appiglio.
La sua frode t'inganna in questi Chiostri. Se Ruggiero pur è, con l'opre il mostri. Si decida col ferro, e ceda il uinto. Ne' dubij casi acerba proua, e fiera Dunque, maluagio, ogni tua forza adopra. Non ricuso l'inuito; anzi m'è caro, Non men prode la man, che fido il core. Io, ch'armato, e feroce apparui pria, Son, come pur uedete, E quella, ch'apparia Spada già folgorante, Solo è debol' sostegno al piè tremante. Chi dimanda mercé troui perdono. [633] Ma chi sei tu, di tanta frode autore? Deh, si plachi lo sdegno! Atlante io sono, Che per serbare illeso il tuo ualore Prima il Castello, hor il Palagio elessi, E in tanti modi, e tanti, Tua difesa, o Ruggier[o], sol hebbi auanti. Da sì confuse trame homai si cessi, E di me si commetta al Ciel la cura, Se nol defende il Ciel, l'ingegno humano. Deh, restate a goder' tra queste mura, Ché quanto hanno di uago a uoi s'appresta; Anzi, pur noi partiamo, e tu qui resta. Sempre a nouella impresa alma costante, La celata uirtù poco è distante. Qui s'ergeranno, e le colonne, e gl<i> archi. Così dunque l'infido ancor ne chiude? Ahi, così ne delude? Paghi sue colpe il sangue, [634] E mi cada l'iniquo estinto al piede. Inerme, e Vecchio il uilipeso Atlante. Se già qui u'allettai, se qui ui chiudo, Non ha folle pietà nome di pia. Né pietoso rigor' titol' di crudo. Nelle dolci sue note inganno accoglie. Sian pur in odio al mondo, in ira al Cielo, Se ne' miei detti alcun'inganno io celo. Solo per euitar' lo strazio amaro, Che ti sourasta in così fresca etade, Desio, che qui dimori, et è ben degno Della tua uita il fil, che si risparmi È l'auuenire all'altrui luci ascoso, I decreti immortali, il core humano? Son chiaramente espressi, Nel gran libro del Ciel gl<i> altrui successi.[635] Ouunque egli si stia, Sa dominar' anche alle stelle il saggio. Dunque a noi si disserri homai la uia. Per breue spazio il piè s'arresti almeno. Aprine il calle, o pur, ch'io t'apro il seno! Me ferir' dunque, in cui Altra fuor, che d'amor', colpa non fu? Non più indugio, non più! Colà, in mezzo al Giardino, in chiuso loco Io dunque, sottraendo all'Vrne il foco, Poiché il chiedete, appagarò le uoglie. Colà n'andremo, e ui sia grato in tanto A me solo scoperte, altrui nascose. A quei, che tutto regge, e tutto moue. Chi al Ciel resiste, e uuol pugnar col fato.
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