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Giulio Rospigliosi Il palazzo incantato IntraText CT - Lettura del testo |
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Scena VIII
Hor quale sdegno ha la tua mente accesa? Poi, che d'ira cotanta armasti il seno, Fammi palese almeno Qual la cagion' ne fu. Mi schernisci di più, Bradamante! [555] Come il puoi far, mentre m'offendi, come? Fa', che mai più, mai più non sia sì ardita, O ch'a uietarlo io spenderò la uita. Ahi, ch'a mirar' son giunta i danni miei, Onde a morte sen corre homai la salma. E che perdei? Perdei la uita, e l'alma. Odimi almeno! Taci! Taci! Forse hai speranza, o lusinghiero, Taci, tu, che incostante Hai potuto l'Amor' porre in oblio, S'incostante son io E nel dirti incostante Fallii, perché tu mai Non fusti, no, ma ti fingesti Amante. D'un gentil' Caualiero il core accenda. A qualunque beltà, che si propone, Gioir' non sa nell'amoroso stuolo. Se scorta a lui non son costanza, e fede. Troppo udij, troppo uiddi, e troppo intesi. Dinne a me tu: dou'è quel cerchio aurato, Non l'ho ueduto io stessa [557] Quest'è la pura fé, Ruggiero ingrato, Quest'è l'amor', che non conosce oblio? Veder' possa schernito il pianto mio Cresca senza rimedio il mio cordoglio, E non trouin' pietà le mie querele! E se non prendo di mia fé schernita Pioua il Ciel sopra me nembi, e saette! Ah, tolga il Ciel così funesti auguri! Ascolta il uero in breui note espresso. A bastanza m'è noto ogni successo. Che, già rotti d'amor' gli strali ardenti, Tanto ti sdegnarò, quanto t'amai.
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