Scena II
Mandricardo, Doralice
Mandricardo
A che fra queste soglie
Io più mi arresto homai,
Se il mio destin' mi toglie
Qui uagheggiar' di Doralice i rai?
Ne andrò più tosto a uendicar quell'onte,
Onde reca alle Donne acerba offesa
L'ira di Rodomonte; [580]
E s'altro non sarò da quel, ch'io soglio,
Nella mortal contesa
Abbatterò quel suo feroce orgoglio,
Suellerò quella lingua,
Lingua ingiusta, e mendace,
Anzi lingua non già, ma di Megera
Micidial' flagello, horrida face.
Quella, quella uogl'io
Con destra inuitta, e franca
Sacrare all'Idol' mio:
A chi difende il uer forza non manca.
Doralice
Doue, doue mi lassi,
O Mandricardo, in sì crudel' tormento?
Mandricardo
Io d'insidie pauento,
Che la medesma Immago
Lieta pur hor m'apparue,
Ma con fugace larue
Sparì poi tosto, e dileguossi in uento.
Doralice
Dunque fia uer, che uoglia
Mandricardo lasciarmi in abbandono?
Qui doue per me sono
Tra le catene ultrici
Prolongate alla doglia hore infelici?
Tra sì fieri legami
Tu mi lasci, spietato, [581]
E potrai dir giamai d'hauermi amato?
Mandricardo
De' tuoi sì crudi affanni
Mi punge alt[r]a pietà, ma temo inganni.
Dimmi: e chi fu delle tue pene Autore?
Doralice
Vn proteruo Amatore.
Però, ch'io feci al suo desir' contesa,
Mi strinse, o Mandricardo,
Oue il mio strazio è tanto,
Che spiegar' non poss'io, se non col pianto.
Prego, ma a quel codardo
Del mio dolor' non cale,
Che, oue regna il furor', prego non uale.
È contro a i fieri sdegni
Debile scudo, e senza
Il uigor' della spada, ogn'Innocenza.
Deh, porgi a Doralice,
Porgi soccorso; o se lo nieghi, almeno
Fa' qui tanta dimora
Fin, ch'io da te prenda congedo, e mora.
Mandricardo
A gran pena ritengo
Il pianto a' dolor' suoi.
Non ti lagnar', che a liberarti io uengo.
Qual danno sarà poi,
Quando pur m'habbia spinto
A uerace pietade un dolor' finto? [582]
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