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Giulio Rospigliosi Il palazzo incantato IntraText CT - Lettura del testo |
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Scena X
Le contese comporre inuan' si tenta Poco s'attende il folgorar' d'un ciglio. Non per questo auuerrà, ch'un sol momento Qui per te solo, alta Donzella, hor uegno, Ché già mi sono i tuoi pensier' ben noti, Renderà paghi, e non lontano è il giorno. Ma non sia graue ancora Fin, che poi nell'uscir' da queste porte, (Quando sia tempo additarollo io stesso) Ti destinan' le stelle alto successo. Chi sei, deh, narra. A te nulla rileua, Angelica, il saperlo. Io sono un Mago Tanto più fuggirò da queste mura. Serbi di tua bellezza eterno il fiore, Non l'inuidij a te stessa il tuo rigore; Se non Amore, almeno Vna giusta pietà ti punga il seno. Il dèi trouare (ah, fera uista!), esangue E tu sola potrai nel punto estremo Darli ristoro, e conseruarlo in uita. Cedo a pietà, ma già d'Amor' non temo, Né mai sarà, che Amante il sol mi ueggia. Dal tuo mede<s>mo cor prendi consiglio. O come ben distinto Ne uien rapito il guardo, il cor s'ammira, Onde quanto più uolgo in lui le luci, Più di mirarlo ancor cresce il desio. Mi passa il seno, e mi trafigge il petto. Io non saprei giamai da' tuoi begl'occhi Gl<i> occhi ritrar', così di lor m'appago. [601] Quella tua chioma d'oro è mia catena. Teco, o nobil' pittura, e qual t'agguaglia? È dipinto il mio foco, e pur m'accende; Adombrato è il mio sole, e pur m'abbaglia. Qual si sia la tua face, Schernij gl<i> amori, e disprezzai
gl<i> L'altrui cordoglio, Ma che non può Tua gran uirtù! Ah, ben sai tu Quasi per gioco Franger' le pietre, ed eccitarne il foco.
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