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Giulio Rospigliosi Il palazzo incantato IntraText CT - Lettura del testo |
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Scena XIV
Se qui più nulla io spero, Homai che fo nell'abborrita soglia? Tu resti, io fo partita, et in tua uece Verran' Compagni eterni alla mia uoglia Dispetto, gelosia, furore, e doglia. O promesse, o speranze, oue ne giste? Chi chiama? E chi l'inuia? [613] Brama del suo dolor', della sua fede Trouar' qualche pietà, se non mercede. E qual è la sua fede? Non si nieghi a Ruggier' grazia sì lieue. Ohimè, che fai? Poni, o Signora, all'ira tua ritegno, E prenda alma gentil' lo sdegno a sdegno. Vanne, e palesa il tutto a chi t'inuia. Tingerà forse di rossor' la guancia. Ah, che fai, Bradamante? E chi non uede, Ch'homai pur troppo il tuo disdegno eccede? Odilo qual nemica: anche un nemico Tal'hor dell'altro, e le ragioni, e i preghi. Ciò, che il Guerriero in quelle righe accenna? Forse, che la sua penna Hauria reso più lieui i tuoi martíri. Sento ben io le tacite querele, Rimprouerando a me l'alma crudele, E quante sono al suol diuise, e sparte Le suenturate carte, Tanti son dardi a trapassarmi il core. Pur anco mi sospinge A rintracciar' tra queste note il uero. (Legge le lettera stracciata in pezzi) "Se non di troppo amarti..." "A te ne uiene..." "In che t'offesi, in che?" "Ma più, ch'altro mi pesa..." [615] "E se la nobil' gemma altrui pur diedi Che di tua destra è dono, Non però, come credi, Teco infedele io sono. Per sottrarre alla morte un Innocente". Scorge qualche sereno in mezzo all'ombre. Ma di là scende Angelica pensosa; Raccoglierò tra queste loggie ascosa.
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