XLIII
D'una
aspra legge che 'l popolo di Firenze fece contro a' cherici.
Nel detto
anno, a dì IIII d'aprile, i reggenti e maestri del popolo di Firenze, uomini e
collegi della qualità che detto avemo adietro, feciono una aspra e crudele
legge sopra i cherici contra ogni ordine e dicreti di santa Chiesa, con molti
capitoli contro a libertà di santa Chiesa. Intra gli altri, che quale cherico
offendesse ad alcuno laico d'alcuno malificio creminale, fosse fuori della
guardia del Comune, e potesse esere punito personalmente dalla signoria
secolare inn-avere e in persona, non riserbando degnità; e quello cherico o
laico impetrasse in corte di papa, o appo altro legato, lettera o privilegio di
giudice dilegato in sua causa e quistione, che da niuna signoria di Comune
fosse udito né amesso; ma che i propinqui e parenti di quelli ch'avesse fatta
la 'mpetragione fossero costretti inn-avere e in persona, tanto facessono
rinuziare la sua impetragione. Di queste leggi, e altri membri che·ssi contengono
nella detta riformagione, fu la motiva che certi cherici rei di grandi e di
possenti popolari pur facieno sotto titolo della franchigia di loro chericato
di sconce cose a' secolari impotenti. E per cessare l'opposizione di contratti
usurari, e per cagione di molte compagnie, che 'n quelli tempi e dinanzi erano
falliti, levarono che non si potessono impetrare privilegi di giudici dilegati.
Tutte queste fossono le cagioni, e hanno alcuno colore di giustizia, da' savi
uomini fu molto biasimata la detta legge e riformagione, che perché il Comune
la si potesse fare, non era licito di farla contro alla libertà di santa Chiesa
né mai più fu fatta in Firenze; e·cchi vi diè aiuto o consiglio o favore
issofatto fu scomunicato. E·sse in Firenze fosse in quelli tempi stato un
valentre vescovo non cittadino, pure come fu il vescovo Francesco da Cingole
anticessoro del presente, non sarebbe stato soferto; ma il presente vescovo,
nostro cittadino, della casa delli Acciaiuoli, invilito per lo fallimento e
cessagione de' suoi consorti, non ebbe ardimento al riparo della inniqua e
ingiusta legge. La quale saputa in corte, ne fu fatto grande clamore al papa e
a' cardinali; e poi tra per ciò e per altri processi fatti per lo Comune di
Firenze contra i cherici nacque scandalo dalla Chiesa a' Fiorentini, come
inanzi faremo menzione. E nota che fa il reggimento delle cittadi, essendone
signori artefici e manuali e idioti, però che i più delle XXI capitudini
dell'arti, per li quali allora si reggea il Comune, erano artefici minuti
veniticci di contado e forestieri, a·ccui poco dee calere della republica, e
peggio saperla guidare; e però che avolontatamente fanno le leggi straboccate
sanza fondamento di ragione, e male si ricordano chi dà le signorie delle
cittadi a sì fatte genti quello che n'ammaestra Aristotile nella sua Politica,
cioè che' rettori delle cittadi sieno i più savi e discreti che si possano
trovare. E 'l savio Salamone disse: “Beato quello regno ch'è retto per savio
signore”. E questo basti aver detto sopra la presente materia, con tutto che
per difetti di nostri cittadini e per li nostri peccati male fummo retti per li
grassi popolani, come poco adietro avemo fatta menzione. E da dubitare è del
reggimento di questi artefici minuti idioti e ignoranti e sanza discrezione e
avolontati. Piaccia a Dio che sia con buona riuscita la loro signoria, che me
ne fa dubitare.
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