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Giovanni Villani
Nuova cronica

IntraText CT - Lettura del testo

  • Tomo terzo
    • Libro tredecimo
      • LVIII               D'una grande disensione che·ffu in Firenze dal Comune allo inquisitore de' paterini.
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LVIII

 

           

D'una grande disensione che·ffu in Firenze dal Comune allo inquisitore de' paterini.

           

Nel detto anno e del mese di marzo, essendo inquisitore in Firenze dell'aretica pravità uno frate Piero dall'Aquila de' frati minori, uomo superbo e pecunioso, essendo fatto per guadagneria proccuratore ed esecutore di meser Piero... cardinale di Spagna per XIIm fiorini d'oro che dovea avere dalla compagnia delli Acciaiuoli fallita, ed essendo per rettori del nostro Comune messo in tenuta e posessione di certi beni della detta compagnia, e alcuno sofficiente mallevadore di loro preso per sodisfazione, fece pigliare a tre messi del Comune cittadini e più famiglia del podestà messer Salvestro Baroncelli compagno della detta compagnia delli Acciaiuoli, uscendo del palagio de' priori, e co·lloro licenza acompagnato d'alquanti loro famigliari; onde si levò il romore in sulla piazza, e per gli altri famigliari di priori e per quelli del capitano del popolo, che v'abitava di costa, fu riscosso il detto meser Salvestro; e presi i detti messi e famigliari della podestà e a' messi per comandamento de' priori, e per l'ardire e prosunzione di fare contro la loro signorevile franchigia e licenzia, di fatto feciono tagliare loro le mani, e confinare fuori di Firenze e contado per X anni. Alla podestà e sua famiglia scusandosi per ignoranza, e vegnendo alla mercé de' priori, profferendo ogni amenda al loro piacere, dopo molti prieghi furono liberati i suoi famigliari. Per le detta novità lo 'nquisitore isdegnato, e ancora più per paura, se n'andò a Siena, e scomunicò i priori e il capitano, e lasciò interdetta la terra, se infra sei no·lli fosse renduto preso, meser Salvestro Baroncelli, alla quale scomunica e interdetto s'apellò al papa, e a cortemandaro grande ambasceria. I nomi de' detti ambasciadori sono questi: messer Francesco Brunelleschi, messere Antonio delli Adimari, messere Bonaccorso de' Frescobaldi cherico, messer Ugo della Stufa giudice, e Lippo Spini, e ser Baldo Fracassini con sindacato per lo Comune con pieno mandato, e portarvi le ragioni del Comune, e fiorini Vm d'oro contanti per dare di quelli delli Acciaiuoli al cardinale, e di VIIm fiorini d'oro obrigare il sindaco del Comune per li detti Acciaiuoli in pagare in certe paghe annualmente. Ancora portarono per carte tutte quelle baratterie e rivenderie fatte per lo detto inquisitore, che più di VIImD fiorini d'oro in due anni si disse si trovò fatto ricomperare più di nostri cittadini, gli più ingiustamente, sotto titolo di peccato di resia. E non sia intenzione di chi questo processo leggerà per lo tempo a venire, che a' nostri tempi avesse tanti eretici in Firenze per le tante condannagioni pecuniali ch'avea fatte lo 'nquisitore, che mai non ce n'ebbe meno, ma quasi niuno. Ma per atignere danari, d'ogni piccola parola oziosa ch'alcuno dicesse per niquità contro a·dDio, o dicesse ch'usura non fosse peccato mortale, o simili, condannava in grossa somma di danari, secondo ch'era ricco. Questo s'oppose per lo Comune, onde a corte dinanzi al papa e cardinali in piuvico concestoro il detto inquisitore fu riprovato per li ambasciadori per disleale e barattiere, e sospese alquanto tempo le sue scomuniche e processi d'interdetto. E dal papa e cardinali i detti ambasciadori furono bene ricevuti e onorati alla loro venuta dal papa, con tutto che tra·lloro male fossono d'accordo, e i più di loro intesonolloro singularità, che a bene di Comune, onde ne tornarono con poco onore e benificio fatto per lo Comune; e costarono più di IImCC fiorini d'oro.

E ancora per la detta cagione il Comune e popolo di Firenze, per levare le baratterie alli inquisitori, feciono dicreto e legge al modo de' Perugini e del re di Spagna e di più altri signori e Comuni, che niuno inquisitore si potesse intramettere in altro che nel suo uficio, e nullo cittadino o distrettuale condannare in pecunia, chi·ssi trovasse eretico mandarlo al fuoco. E fulli tolta e disfatta la carcere datali per lo Comune, ove tenea i suoi presi, e cui per lo 'nanzi facesse prendere, gli mettesse nelle carcere del Comune cogli altri. E fu fatto ordine, che podestàcapitanosecutore né altra signoria non dovesse dar loro famiglia, licenza o messo per fare pigliare nullo cittadino a petizione dello 'nquisitore o del vescovo di Firenze o di Fiesole, sanza licenza de' signori priori, per cessare cagioni di scandali e di riotta, e per cessare le baratterie e rivenderie di dare la licenza di portare l'arme da offendere a più cittadini per lo inquisitore e per li Vescovi, onde la città parea iscomunata, tanti erano quelli che·lla portavano. E ordinaro che·llo 'nquisitore non potesse tenere più di VI famigliari con arme da offendere, né dare a più licenza di portarla; e al vescovo di Firenze a XII famigliari; e a quello di Fiesole VI; che·ssi trovò, secondo si disse, che 'l detto frate Piero inquisitore avea data la licenza di portalla a più di CCL cittadini, onde guadagnava l'anno presso, o forse più, di mille fiorini d'oro; e me' i vescovi non ne perdieno, e aquistavano amici al loro vantaggio e sconcio della republica. Partiti i detti ambasciadori da corte, il cardinale di Spagna sopradetto, come fellone, non istando contento all'accordo fatto con infestamento del sopradetto inquisitore, ch'era fuggito in corte, coll'aiuto d'alcun altro cardinale, da capo feciono citare al papa, che venissono in corte il vescovo di Firenze e tutti i prelati che non aveano oservato lo 'nterdetto, e' priori e signorie e collegi ch'erano allora; onde in Firenze n'ebbe grande turbazione contra la Chiesa, e da capo rifeciono sindacato, e mandarono in corte a riparare. Ma·lla maggiore cagione fu perché il papa volea che per lo nostro Comune si levassono certi inniqui capitoli fatti per lo Comune contra i cherici, i quali pur erano sconci e contra ragione, come dicemmo adietro. E volea il papa trattare co' nostri ambasciadori concordia coll'eletto suo imperadore, la qual cosa non piacque al nostro Comune.

 




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