LXXXIV
Di grande mortalità
che·ffu in Firenze, ma più grande altrove, come diremo apresso.
Nel detto
anno e tempo, come sempre pare che segua dopo la carestia e fame, si cominciò
in Firenze e nel contado infermeria, e apresso mortalità di genti, e
spezialmente in femine e fanciulli, il più in poveri genti, e durò fino al
novembre vegnente MCCCXLVII ma però non fu così grande, come fu la mortalità
dell'anno MCCCXL come adietro facemmo menzione; ma albitrando al grosso,
ch'altrimenti non si può sapere a punto in tanta città come Firenze, ma in di
grosso si stimò che morissono in questo tempo più di IIIIm persone, tra uomini
e più femmine e fanciulli; morirono bene de' XX l'uno; e fecesi comandamento
per lo Comune che niuno morto si dovesse bandire, né sonare campane alle
chiese, ove i morti si sotterravano, perché·lla gente non isbigottisse d'udire
di tanti morti. E·lla detta mortalità fu predetta dinanzi per maestri di
strologia, dicendo che quando fu il sostizio vernale, cioè quando il sole entrò
nel principio dell'Ariete del mese di marzo passato, l'ascendente che·ffu nel
detto sostizio fu il segno della Vergine, e 'l suo signore, cioè il pianeto di
Mercurio, si trovò nel segno dell'Ariete nella ottava casa, ch'è casa che
significa morte; e se non che il pianeto di Giove, ch'è fortunato e di vita, si
ritrovò col detto Mercurio nella detta casa e segno, la mortalità sarebbe stata
infinita, se fosse piaciuto a·dDio. Ma·nnoi dovemo credere e avere per certo
che Idio promette le dette pestilenze e·ll'altre a' popoli, cittadi e paesi per
pulizione de' peccati, e non solamente per corsi di stelle, ma talora, siccome
signore dell'universo e del corso del celesto, come gli piace; e quando vuole,
fa accordare il corso delle stelle al suo giudicio; e questo basti in questa parte
e d'intorno a Firenze del detto delli astrolagi. La detta mortalità fu maggiore
in Pistoia e Prato e nelle nostre circustanze all'avenante della gente di
Firenze, e maggiore in Bologna e in Romagna, e maggiore a Vignone e in Proenza
ov'era la corte del papa, e per tutto il reame di Francia. Ma infinita
mortalità, e che più durò, fu in Turchia, e in quelli paesi d'oltremare, e tra'
Tarteri. E avenne tra' detti Tarteri grande giudicio di Dio e maraviglia quasi
incredibile, e·ffu pure vera e chiara e certa, che tra 'l Turigi e 'l Cattai
nel paese di Parca, e oggi di Casano signore di Tartari in India, si cominciò
uno fuoco uscito di sotterra, overo che scendesse da cielo, che consumò uomini,
e bestie, case, alberi, e·lle pietre e·lla terra, e vennesi stendendo più di XV
giornate atorno con tanto molesto, che chi non si fuggì fu consumato, ogni
criatura e abituro, istendendosi al continuo. E gli uomini e femine che
scamparono del fuoco, di pistolenza morivano. E alla Tana, e Tribisonda, e per
tutti que' paesi non rimase per la detta pestilenza de' cinque l'uno, e molte
terre vi s'abandonaro tra per pestilenzia, e tremuoti grandissimi, e folgori. E
per lettere di nostri cittadini degni di fede ch'erano in que' paesi, ci ebbe
come a Sibastia piovvono grandissima quantità di vermini grandi uno sommesso
con VIII gambe, tutti neri e coduti, e vivi e morti, che apuzzarono tutta la
contrada, e spaventevoli a vedere, e cui pugnevano, atosicavano come veleno. E
in Soldania, in una terra chiamata Alidia, non rimasono se non femmine, e
quelle per rabbia manicaro l'una l'altra. E più maravigliosa cosa e quasi
incredibile contaro avenne in Arcaccia uomini e femine e ogni animale vivo
diventarono a modo di statue morte a modo di marmorito, e i signori d'intorno
al paese pe' detti segni si propuosono di convertire alla fede cristiana; ma
sentendo il ponente e paesi di Cristiani tribolati simile di pistolenze, si
rimasono nella loro perfidia. E a porto Talucco, inn-una terra ch'ha nome Lucco
inverminò il mare bene X miglia fra mare, uscendone e andando fra terra fino
alla detta terra, per la quale amirazione assai se ne convertirono alla fede di
Cristo. E stesesi la detta pistolenza infino in Turchia e Grecia, avendo prima
ricerco tutto Levante i·Misopotania, Siria, Caldea, Suria, Cipro, il Creti,
i·Rodi, e tutte l'isole dell'Arcipelago di Grecia, e poi si stese in Cicilia, e
Sardigna, Corsica, ed Elba, e per simile modo tutte le marine e riviere di
nostri mari; ed otto galee di Genovesi ch'erano ite nel mare Maggiore, morendo
la maggiore parte, non ne tornarono che quattro galee piene d'infermi, morendo
al continuo; e quelli che giunsono a Genova, tutti quasi morirono, e corruppono
sì l'aria dove arivavano, che chiunque si riparava co·lloro poco apresso
morivano. Ed era una maniera d'infermità, che non giacia l'uomo III dì,
aparendo nell'anguinaia o sotto le ditella certi enfiati chiamati gavoccioli, e
tali ghianducce, e tali gli chiamavano bozze, e sputando sangue. E al prete che
confessava lo 'nfermo, o guardava, spesso s'apiccava la detta pistilenza per
modo ch'ogni infermo era abandonato di confessione, sagramento, medicine e
guardie. Per la quale sconsolazione il papa fece dicreto, perdonando colpa e
pena a' preti che confessassono o dessono sagramento alli infermi, e·lli vicitasse
e guardasse. E durò questa pestilenzia fino a... e rimasono disolate di genti
molte province e cittadini. E per questa pistilenza, acciò che Iddio la
cessasse e guardassene la nostra città di Firenze e d'intorno, si fece solenne
processione in mezzo marzo MCCCXLVII per tre dì. E tali son fatti i giudici di
Dio per pulire i peccati de' viventi. Lasceremo della matera, e diremo alquanto
de' processi di Carlo di Buem nuovo eletto imperadore.
|