CX
Risposta
fatta in presenzia della maiestà reale ivi per lo venerabile uomo messer
Giovanni, cherico di Visprimiense, a·ccui il re la risposta commisse.
“L'ambasciata
del Comune di Firenze così solennemente e ordinatamente esposta messere lo re
volentieri ha udita, e·lle cose fatte de' suoi pregenitori, ella benivolenza,
la quale al Comune di Firenze, a' Fiorentini e a quella città, i pregenitori
suoi sempre hanno avuto, e·lla congiunzione che sempre fu intra·lloro e col
Comune predetto, con grazioso animo ha acettato, offerendosi ancora quella
sempre servare, e·lle vie de' suoi pregenitori sempre sequitare”.
E mentre che
'l detto eletto questa risposta facea, il re gli s'acostò all'orecchio manco, e
in silenzio a·llui parlò, il quale eletto incontanente disse: “Il nostro
signore dice ch'elli intende i Guelfi d'Italia sempre avere raccomandati”.
Poscia che
giunti fummo a Filigno, e quivi furono gli onorevoli ambasciadori del Comune di
Perugia, e avuta tra·nnoi e·lloro collazione e diliberagione, in prima co·lloro
ci rapresentammo dinanzi al cospetto reale, e quelle cose in diversi sermoni
spartitamente e per loro e per noi alla maestà reale furono recitate, le quali
erano inn-effetto una medesima cosa, in comune sermone recate per lo detto
meser Tommaso di comune concordia dell'uno e dell'altro Comune furono sposte.
Il quale, oltre alle predette, lo stato e·lla libertà de' detti Comuni e degli
altri di Toscana e di tutta Italia, divoti della casa reale e de' suoi
pregenitori, alla escelsitudine reale raccomandò. Il re udite le predette cose,
tutte graziosamente accettò, e offersesi di fare tutte quelle cose che nella detta
pitizione erano pienamente narrate e che il Comune di Firenze, e quello di
Perugia, e di Siena, gli rimandassono per comune due o tre di loro ambasciadori
savi e discreti, i quali voleva nel Regno intorno a·llui per suo consiglio; e
a' detti ambasciadori diede graziosamente congio di tornare a Firenze. I nostri
ambasciadori partiti di Filigno, vennero a Perugia, e quivi sogiornarono
alquanti dì a parlamentare col legato cardinale, e co' rettori di Perugia e
cogli altri ambasciadori de' Comuni ch'erano stati a·rre d'Ungheria, dello
stato di Toscana e del paese intorno in benificio di parte guelfa e della
Chiesa, per la venuta del detto re d'Ungheria e dello imperadore Carlo suo
suocero, che parea loro che 'l detto re avesse presa troppa famigliarità co'
tiranni e signori di Lombardia e di Romagna e della Marca di parte ghibellina.
Il quale legato consigliò i detti Comuni che mandassono loro ambasciadori al
papa a pregarlo s'intraponesse, che·llo imperadore Carlo non passasse, acciò
che·lla parte imperiale non crescesse collo apoggio e favore della potenza
de·rre d'Ungheria suo genero, e che·cciò piacerebbe al papa e a' cardinali, e
ch'elli ne sapea bene l'oppinione suo segreto, e s'elli l'avea creato e fatto,
era per contrario del dannato Bavero, vivendo; ma dapoi ch'era morto, non facea
per la Chiesa che·lla signoria del detto Carlo, colla potenza del re d'Ungheria
signoreggiando il Regno, crescesse in Italia: questo segreto sapemmo da alcuno
di nostri ambasciadori. E nota, lettore, l'essempri de' rettori di santa
Chiesa, di fare e di volere disfare la signoria dello 'mperio a·ssuo utile e
beneplacito; e questo basti.
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