Libro quarto
I
Qui comincia i·quarto libro: come la città di Firenze fu redificata
colla potenzia di Carlo Magno e de' Romani tornando alquanto adietro.
Avenne, come piacque a·dDio, che al tempo del buono Carlo Magno
imperadore di Roma e re di Francia, di cui adietro avemo fatta lunga memoria,
dapoi ch'ebbe abbattuta la tirannica superbia de' Longobardi, e de' Saracini, e
degl'infedeli di santa Chiesa, e messa Roma e lo 'mperio in buono stato e in
sua libertà, siccome adietro è fatta menzione, certi gentili e nobili del
contado di Firenze, che si diceano che caporali furono i filii Giovanni, e'
filii Guineldi, e' filii Ridolfi, stratti degli antichi nobili cittadini della
prima Firenze, si congregarono insieme con quegli cotanti abitanti del luogo
ove fu Firenze, ed altri loro seguaci abitanti nel contado di Firenze, e
ordinaro di mandare a Roma ambasciadori de' migliori di loro a Carlo
imperadore, e a papa Leone, e a' Romani, e così fu fatto; pregandogli che si
dovessono ricordare della loro figliuola la città di Firenze, la quale fu
guasta e distrutta da' Gotti e Vandali in dispetto de' Romani, a ciò ch'ella si
rifacesse, e che a·lloro piacesse di dare forza di gente d'arme a riparare i
Fiesolani e loro seguaci nemici de' Romani, che·lla città di Firenze non lasciavano
redificare. I quali ambasciadori da Carlo imperadore, e dal papa, e da' Romani
onorevolemente furono ricevuti, e la loro petizione accettata benignamente e
volentieri; e incontanente lo 'mperadore Carlo Magno vi mandòe le sue forze di
gente d'arme a cavallo e a piede in grande quantità; e' Romani feciono dicreto
e ordine che come i loro anticessori aveano fatta e popolata prima la città di
Firenze, così v'andassero a redificare e abitare delle migliori schiatte di
Roma, e di nobili e di popolo, e così fue fatto. Con quell'oste dello
'mperadore Carlo Magno e de' Romani vi vennono quanti maestri avea in Roma, per
più tosto murarla e afforzarla; e dietro a·lloro gli seguì molta gente; e tutti
i contadini di Firenze, e de' fuggiti cittadini di quella d'ogni parte,
sentendo la novella, si raunaro coll'oste de' Romani e dello imperadore per
redificare la città; e giunti ov'è oggi la nostra città, in su l'anticaglia e
calcinacci disfatti s'acamparono con trabacche e padiglioni. I Fiesolani e'
loro seguaci veggendo l'oste dello 'mperadore e de' Romani sì grande e
possente, non s'ardiro a combattere co·lloro, ma tegnendosi a la fortezza della
loro città di Fiesole e a·lloro castella d'intorno, davano quanto sturbo
poteano alla detta redificazione. Ma il loro podere fu niente apo la forza de'
Romani, e dell'oste dello imperadore, e de' raunati discendenti de' Fiorentini;
e così cominciaro a rifare la città di Firenze, non però della grandezza ch'era
stata in prima, ma di minore sito, come apresso farà menzione, acciò che più
tosto fosse murata e afforzata, e fosse riparo come battifolle della città di
Fiesole; e ciò fu negli anni di Cristo VIIIcI a l'entrata del mese d'aprile. E
dicesi che gli antichi aveano oppinione che di rifarla non s'ebbe podere, se
prima non fu ritrovata e tratta d'Arno la imagine di marmo consecrata per gli
primi edificatori pagani per nigromanzia a Marte, la quale era stata nel fiume
d'Arno dalla distruzione di Firenze enfino a quello tempo; e ritrovata, la
puosero in su uno piliere in su la riva del detto fiume, ov'è oggi il capo del
ponte Vecchio. Questo nonn-affermiamo, né crediamo, però che·cci pare oppinione
di pagani e d'aguri, e non di ragione, ma grande simplicità, ch'una sì fatta
pietra potesse ciò adoperare; ma volgarmente si dicea per gli antichi che
mutandola convenia che·lla città avesse grande mutazione. E dissesi ancora per
gli antichi che' Romani per consiglio de' savi astrolagi, al cominciamento che
rifondaron Firenze, presono l'ascendente di tre gradi del segno dell'Ariete, termine
di Giovi e faccia di [...], essendo il sole nel grado della sua esaltazione, e
la pianeta di Mercurio congiunta a grado col sole, e la pianeta di Marti in
buono aspetto dell'ascendente, acciò che·lla città multiplicasse per potenzia
d'arme, e di cavalleria, e di popolo sollecito e procaccianti in arti, e in
mercatantie e in ricchezze, e germinasse d'assai figliuoli e grande popolo. E
in quegli tempi, secondo che·ssi dice, gli antichi Romani, e tutti i Toscani, e
gl'Italici, tutto fossero Cristiani battezzati, ancora teneano certe orlique a
costume di pagani, e seguieno i loro cominciamenti secondo la costellazione;
con tutto che questo non s'afermi per noi, però che costellazione nonn-è di
nicessità, né può costrignere il libero albitrio degli uomini né 'l giudicio
d'Iddio, ma secondo i meriti e peccati de' popoli. In alcuna operazione pare
che·ssi dimostra la 'nfruenza della costellazione detta, che·lla città di
Firenze è sempre in grandi mutazioni e dissimulazioni e in guerra, e talora in
vittoria, e talora il contrario, e sono i cittadini di quella frequentati in
mercatantie e in arti. Ma la nostra oppinione è che·lle discordie e mutazioni
de' Fiorentini sieno come dicemmo al cominciamento di questo trattato: la
nostra città fue popolata da due diversi popoli in ogni costume, siccome furono
i nobili, e crudi, e aspri Romani e Fiesolani; per la qual cosa nonn-è
maraviglia se la nostra città è sempre in guerra, e mutazioni, e disensioni, e
disimulazioni.
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