LXXXI
Come i Ghibellini di Toscana ordinarono di disfare la città di
Firenze, e come messer Farinata degli Uberti la difese.
Per lo simile modo ch'uscirono i Guelfi di Firenze, così feciono quegli
di Prato, e di Pistoia, e di Volterra, e di Samminiato, e di San Gimignano, e
di più altre terre e castella di Toscana, le quali tornarono tutte a parte
ghibellina, se non fu la città di Lucca, la quale si tenne a parte guelfa uno
tempo, e fu rifuggio de' Guelfi di Firenze, e degli altri usciti di Toscana. I
quali Guelfi di Firenze feciono loro istanza in Lucca in borgo intorno a San
Friano; e la loggia dinanzi a San Friano feciono i Fiorentini. E ritrovandosi i
Fiorentini in quello luogo, messer Tegghiaio Aldobrandi veggendo lo Spedito che
nel consiglio gli avea detta villania, e che si cercasse le brache, s'alzò e
trassesi de' caviglioni V fiorini d'oro ch'avea, e mostrogli allo Spedito che
di Firenze era uscito assai povero; disse per rimproccio: “Vedi com'io ho conce
le brache? A questo hai tu condotto te e me e gli altri per la tua audacia e
superbia signoria”. Lo Spedito rispuose: “E voi perché·cci credavate?”. Avemo
di queste piccole e vili parole fatta menzione per assempro che niuno
cittadino, e massimamente i popolani o di piccolo affare, quando ha signoria
non dee essere troppo ardito o prosuntuoso. In questo tempo i Pisani, e'
Sanesi, e gli Aretini col detto conte Giordano e cogli altri caporali
ghibellini di Toscana ordinaro di fare parlamento a Empoli, per riformare lo
stato di parte ghibellina in Toscana, e fare taglia; e così feciono. E però che
al conte Giordano convenia tornare in Puglia al re Manfredi, per mandato del
detto Manfredi fue ordinato suo vicario generale e capitano di guerra in
Toscana il conte Guido Novello de' conti Guidi di Casentino e di Modigliana, il
quale per parte disertò il conte Simone suo fratello, e 'l conte Guido Guerra
suo consorto, e tutti quegli del suo lato che teneano parte guelfa; e disposto
era al tutto di cacciarne chi Guelfo fosse di Toscana. E nel detto parlamento
tutte le città vicine, e' conti Guidi, e' conti Alberti, e que' da Santa Fiore,
e gli Ubaldini, e tutti i baroni d'intorno propuosono e furono in concordia,
per lo migliore di parte ghibellina, di disfare al tutto la città di Firenze, e
di recarla a borgora, acciò che mai di suo stato non fosse rinnomo, fama, né
podere. A la quale proposta si levò e contradisse il valente e savio cavaliere
messer Farinata degli Uberti, e nella sua diceria propuose gli antichi due
grossi proverbi che dicono: “Com'asino sape, così minuzza rape” e “Vassi capra
zoppa, se 'l lupo no·lla 'ntoppa”; e questi due proverbi rinestò in uno,
dicendo. “Com'asino sape, sì va capra zoppa; così minuzza rape, se 'l lupo
no·lla 'ntoppa”; recando poi con savie parole assempro e comparazioni sopra il
grosso proverbio, com'era follia di ciò parlare, e come gran pericolo e danno
ne potea avenire; e s'altri ch'egli non fosse, mentre ch'egli avesse vita in
corpo, colla spada in mano la difenderebbe. Veggendo ciò il conte Giordano, e
l'uomo, e della autoritade ch'era messer Farinata, e il suo gran seguito, e
come parte ghibellina se ne potea partire e avere discordia, sì·ssi rimase, e
intesono ad altro; sicché per uno buono uomo cittadino scampò la nostra città
di Firenze da tanta furia, distruggimento, ruina. Ma poi il detto popolo di
Firenze ne fu ingrato, male conoscente contra il detto messer Farinata, e sua
progenia e lignaggio, come innanzi faremo menzione; ma per la sconoscenza dello
ingrato popolo, nondimeno è da commendare e da·ffare notabile memoria del
virtudioso e buono cittadino, che fece a guisa del buono antico Cammillo di
Roma, come racconta Valerio, e Tito Livio.
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