IX
Come la battaglia dal re Carlo al re Manfredi fu, e come il re
Manfredi fu sconfitto e morto.
Ordinate le schiere de' due re nel piano della Grandella per lo modo
detto dinanzi, e ciascuno de' detti signori amonita la sua gente di ben fare, e
dato il nome per lo re Carlo a' suoi, “Mongioia, cavalieri”, e per lo re
Manfredi a' suoi, “Soavia, cavalieri”, il vescovo d'Alsurro, siccome legato del
papa, asolvette e benedisse tutti quelli dell'oste del re Carlo, perdonando
colpa e pena, però ch'essi combatteano in servigio di santa Chiesa. E ciò
fatto, si cominciò l'aspra battaglia tra le prime due schiere de' Tedeschi e
de' Franceschi, e fu sì forte l'asalto de' Tedeschi, che malamente menavano la
schiera de' Franceschi, e assai gli feciono rinculare adietro, e presono campo.
E 'l buono re Carlo veggendo i suoi così malmenare, non tenne l'ordine della battaglia
di difendersi colla seconda schiera, avisandosi che se la prima schiera de'
Franceschi ove avea tutta sua fidanza fosse rotta, piccola speranza di salute
attendea dell'altre; incontanente colla sua schiera si mise al soccorso della
schiera de' Franceschi contro a quella de' Tedeschi; e come gli usciti di
Firenze e loro schiera vidono lo re Carlo fedire alla battaglia, si misono
appresso francamente, e feciono maravigliose cose d'arme il giorno, seguendo
sempre la persona del re Carlo; e simile fece il buono Gilio il Bruno
conastabile di Francia con Ruberto di Fiandra con sua schiera, e da l'altra
parte fedì il conte Giordano colla sua schiera, onde la battaglia fu aspra e
dura, e grande pezza durò, che non si sapea chi avesse il migliore; però che gli
Tedeschi per loro virtude e forza colpendo di loro spade, molto danneggiavano i
Franceschi. Ma subitamente si levò uno grande grido tra·lle schiere de'
Franceschi, chi che 'l si cominciasse, dicendo: “Agli stocchi, agli stocchi, a
fedire i cavagli!”; e così fu fatto, per la qual cosa in piccola d'ora i
Tedeschi furono molto malmenati e molto abattuti, e quasi inn isconfitta volti.
Lo re Manfredi, lo quale con sua schiera de' Pugliesi stava al soccorso
dell'oste, veggendo gli suoi che non poteano durare la battaglia, sì confortò
la sua gente della sua schiera, che 'l seguissono alla battaglia, da' quali fu
male inteso, però che la maggiore parte de' baroni pugliesi e del Regno, in tra
gli altri il conte camerlingo, e quello della Cerra, e quello di Caserta e
altri, o per viltà di cuore, o veggendo a loro avere il peggiore, e chi disse
per tradimento, come genti infedeli e vaghi di nuovo signore, si fallirono a
Manfredi, abandonandolo e fuggendosi chi verso Abruzzi e chi verso la città di
Benevento. Manfredi rimaso con pochi, fece come valente signore, che innanzi
volle in battaglia morire re, che fuggire con vergogna; e mettendosi l'elmo,
una aquila d'argento ch'egli avea ivi su per cimiera gli cadde in su l'arcione
dinanzi. E egli ciò veggendo isbigottì molto, e disse a' baroni che gli erano
dal lato in latino: “Hoc est signum Dei, però che questa cimiera
appiccai io colle mie mani in tal modo che non dovea potere cadere”. Ma però
non lasciò, ma come valente signore prese cuore, e incontanente si mise alla
battaglia, non con sopransegne reali per non esser conosciuto per lo re, ma
come un altro barone, lui fedendo francamente nel mezzo della battaglia. Ma
però i suoi poco duraro, che già erano in volta: incontanente furono sconfitti,
e lo re Manfredi morto in mezzo de' nemici, dissesi per uno scudiere francesco,
ma non si seppe il certo. In quella battaglia ebbe gran mortalità d'una parte e
d'altra, ma troppo più della gente di Manfredi. E fuggendo del campo verso
Benevento, cacciati da quegli dell'oste del re Carlo, infino nella terra,
che·ssi facea già notte, gli seguirono, e presono la città di Benevento, e
quegli che fuggieno. Molti de' baroni caporali del re Manfredi rimasono presi:
intra gli altri furono presi il conte Giordano, e messer Piero Asini degli Uberti,
i quali il re Carlo mandò in pregione in Proenza, e di là d'aspra morte in
carcere gli fece morire. Gli altri baroni pugliesi e tedeschi ritenne in
pregione in diversi luoghi nel Regno. E pochi dì apresso la moglie del detto
Manfredi e' figliuoli e la suora, i quali erano in Nocera de' Saracini in
Puglia, furono renduti presi al re Carlo, i quali poi morirono in sua pregione.
E bene venne a Manfredi e a sue rede la maladizione d'Iddio, e assai chiaro si
mostrò il giudizio d'lddio in lui, perch'era scomunicato e nimico e persecutore
di santa Chiesa. Nella sua fine, di Manfredi si cercò più di tre giorni, che
non si ritrovava, e non si sapea se fosse morto, o preso, o scampato, perché
nonn-avea avuto a la battaglia indosso armi reali. Alla fine per uno ribaldo di
sua gente fu riconosciuto per più insegne di sua persona in mezzo il campo ove
fu la battaglia. E trovato il suo corpo per lo detto ribaldo, il mise traverso
in su uno asino, vegnendo gridando: “Chi acatta Manfredi, chi acatta
Manfredi?”; il quale ribaldo da uno barone del re fu battuto, e recato il corpo
di Manfredi dinanzi al re, fece venire tutti i baroni ch'erano presi, e
domandato ciascuno s'egli era Manfredi, tutti temorosamente dissono di sì.
Quando venne il conte Giordano sì si diede delle mani nel volto piagnendo e
gridando: “Omè, omè, signore mio!”; onde molto ne fu commendato da' Franceschi,
e per alquanti de' baroni del re fu pregato che gli facesse fare onore alla
seppultura. Rispuose il re: “Si feisse ie volontiers, s'il non fust scomunié”;
ma imperciò ch'era scomunicato, non volle il re Carlo che fosse recato in luogo
sacro; ma appiè del ponte di Benevento fu soppellito, e sopra la sua fossa per
ciascuno dell'oste gittata una pietra, onde si fece grande mora di sassi. Ma
per alcuni si disse che poi per mandato del papa il vescovo di Cosenza il
trasse di quella sepultura, e mandollo fuori del Regno, ch'era terra di Chiesa,
e fu sepolto lungo il fiume del Verde a' confini del Regno e di Campagna:
questo però nonn-affermiamo. Questa battaglia e sconfitta fu uno venerdì, il
sezzaio di febbraio, gli anni di Cristo MCCLXV.
|