XXVII
Come Curradino e sua gente furono sconfitti dal re Carlo.
Curradino e sua oste avendo vana speranza che l'Aquila fosse ribellata al
re Carlo, con grande vigore e grida, fatte le sue schiere, si strinse a
valicare il passo del fiume per combattere col re Carlo. Lo re Carlo, con tutto
si posasse, come detto avemo, sentendo il romore de' nimici, e com'erano
inn-arme per venire a la battaglia, incontanente fece armare e schierare sua
gente per l'ordine e modo che dinanzi facemmo menzione. E stando la schiera de'
Provenzali, la quale guidava messer Arrigo di Consancia, alla guardia del
ponte, contastando a don Arrigo di Spagna e a sua gente il passo, gli Spagnuoli
si misono a passare il guado della riviera ch'era assai piccolo, e
incominciarono a inchiudere la schiera de' Provenzali, che difendeano il ponte.
Curradino e l'altra sua oste veggendo passati gli Spagnuoli, si mise a passare
il fiume, e con grande furore assaliro la gente del re Carlo, e in poca d'ora
ebbono barattati e sconfitti la schiera de' Provenzali; e 'l detto messer
Arrigo di Consancia colle 'nsegne del re Carlo abattute, e egli morto e
tagliato; credendosi don Arrigo e' Tedeschi avere la persona del re Carlo, perché
vestiva le sopransegne reali, tutti gli s'agreggiarono adosso. E rotta la detta
schiera de' Provenzali, simile feciono di quella de' Franceschi e
degl'Italiani, la quale guidava messer Gianni di Crarì, e messer Guiglielmo lo
Stendardo, però che·lla gente di Curradino erano per uno due che quegli del re
Carlo, e fiera gente e aspra in battaglia: e veggendosi la gente del re Carlo
così malmenare, si misono in fugga e abandonarono il campo. I Tedeschi si
credettero avere vinto, che non sapeano dell'aguato del re Carlo, si
cominciarono a spandere per lo campo, e intendere a la preda e alle spoglie. Lo
re Carlo era in sul colletto di sopra alla valle, dov'era la sua schiera, con
messer Alardo di Valleri e col conte Guido di Monforte per riguardare la battaglia,
e veggendo la sua gente così barattare, prima l'una schiera e poi l'altra, e
venire in fugga, moria a dolore, e volea pure fare muovere la sua schiera per
andare a soccorrere i suoi. Messer Alardo, maestro dell'oste e savio di guerra,
con grande temperanza e con savie parole ritenne assai lo re, dicendo che per
Dio sì sofferisse alquanto, se volesse l'onore della vittoria, però che
conoscea la covidigia de' Tedeschi, come sono vaghi delle prede, per lasciargli
più spartire dalle schiere, e quando gli vide bene sparpagliati, disse al re:
“Fa' muovere le bandiere, ch'ora è tempo”; e così fu fatto. E uscendo la detta
schiera della valle, Curradino né' suoi non credeano che fossono nimici, ma che
fossono di sua gente, e non se ne prendeano guardia. E vegnendo lo re con sua
gente stretti e serrati, al diritto se ne vennero ov'era la schiera di
Curradino co' maggiori di suoi baroni, e quivi si cominciò la battaglia aspra e
dura, con tutto che poco durasse, però che·lla gente di Curradino erano lassi e
stanchi per lo combattere, e non erano tanti cavalieri schierati ad assai
quanti quegli del re, e sanza ordine di battaglia, però che·lla maggiore parte
di sua gente, chi era cacciando i nemici, e chi ispartito per lo campo per
guadagnare preda e pregioni, e la schiera di Curradino per lo improviso assalto
de' nimici tuttora scemava, e quella del re Carlo tuttora cresceva per gli
primi di sua gente ch'erano fuggiti della prima sconfitta, conoscendo le
'nsegne del re si metteano in sua schiera, sicché in poca d'ora Curradino e sua
gente furono sconfitti. E quando Curradino s'avide che·lla fortuna della
battaglia gli era incontro, e per consiglio de' suoi maggiori baroni, si mise
alla fugga egli, e 'l dogi d'Osteric, e il conte Calvagno, e il conte
Gualferano, e 'l conte Gherardo da Pisa, e più altri. Messere Alardo di Valleri
veggendo fuggire i nimici, con grandi grida dice e pregava lo re e' capitani
della schiera non si partissono né seguissono caccia de nimici né altra preda,
temendo che·lla gente di Curradino non si ranodasse, o niuno aguato uscisse
fuori, ma stessono fermi e schierati in sul campo; e così fu fatto. E venne
bene a bisogno, che don Arrigo co' suoi Spagnoli e altri Tedeschi i quali
aveano seguita la caccia de' Provenzali e Italiani, i quali aveano prima
sconfitti per una valle, e non aveano veduta la battaglia del re Carlo e la
sconfitta di Curradino, alla ricolta che fece di sua gente, e ritornando al
campo, veggendo la schiera del re Carlo, credette che fosse Curradino e sua
gente; sì scese il colle dov'era ricolto per venire a' suoi, e quando si venne
appressando conobbe le 'nsegne de' nimici, e come ingannato si tenne confuso;
ma com'era valente signore, si strinse a schiera, e serrò colla sua gente per
tale modo che 'l re Carlo e' suoi, i quali per l'afanno della battaglia erano
travagliati, non s'ardirono di fedire alla schiera di don Arrigo, e per non
recare in giuoco vinto a partito stavano aringati l'una schiera appetto a
l'altra buona pezza. Il buono messer Alardo veggendo ciò, disse al re che bisognava
di fargli dipartire da schiera per rompergli: lo re gli commise facesse a suo
senno. Allora prese de' migliori baroni della schiera del re da XXX in XL, e
uscirono della schiera faccendo sembianti che per paura si fuggissono, siccome
gli avea amaestrati. Gli Spagnuoli veggendogli con più delle bandiere di quegli
signori si metteano in volta e in vista di fuggire, con vana speranza
cominciarono a gridare: “E' sono in fugga!”, e cominciarono a dipartirsi da
schiera e volergli seguire. Lo re Carlo veggendo schiarire e aprire la schiera
degli Spagnuoli e altri Tedeschi, francamente si misono a fedire tra·lloro; e
messer Alardo co' suoi saviamente si raccolsono e tornarono alla schiera.
Allora fu la battaglia aspra e dura; ma gli Spagnuoli erano bene armati, per
colpi di spade non gli poteano aterrare, e spesso al loro modo si rannodavano
insieme. Allora i Franceschi cominciarono con gridare ad ire, e a prendelli a
braccia, e abattergli de' cavagli a modo de' torniamenti; e così fu fatto, per
modo che in poca d'ora gli ebbono rotti, e sconfitti, e messi in fugga, e molti
ve ne rimasono morti.
Don Arrigo con assai de' suoi si fuggì in Montecascino, e diceano che 'l
re Carlo era sconfitto. L'abate ch'era signore di quella terra conobbe don
Arrigo, e a' segnali di loro com'erano fuggiti, sì fece prendere lui e gran
parte di sua gente. Lo re Carlo con tutta sua gente rimasono in sul campo
armati e a cavallo infino alla notte per ricogliere i suoi e per avere de'
nemici piena e sicura vittoria. E questa sconfitta fu la vilia di santo
Bartolomeo a dì XXIII d'agosto, gli anni di Cristo MCCLXVIII. E in quello luogo
fece poi fare lo re Carlo una ricca badia per l'anime della sua gente morta,
che si chiama Santa Maria della Vittoria, nel piano di Tagliacozzo.
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