LXVI
Come la gente del re ebbono Melazzo, e come i Missinesi mandarono per
lo legato per trattare accordo col re Carlo.
Avenne in questa stanzia che lo re fece passare co suo' uscieri per lo
Fare dinanzi a Messina il conte di Brenna e quello di Monforte con VIIIc
cavalieri e più pedoni, dall'altra parte di Messina verso Melazzo, guastando il
paese d'intorno. Per la qual cosa certi di quegli di Messina venendo al
soccorso di Melazzo, e per non lasciargli prendere terra, con que' di Melazzo
insieme furono sconfitti dalla gente del re Carlo, e furonne morti presso di
mille, tra di Messina e di Melazzo, chi alla battaglia, e molti traffelando,
fuggendo verso Messina; e fu presa la terra e castello di Melazzo per la gente
del re. E come i Missinesi ebbono la detta novella, incontanente mandarono nel
campo al legato cardinale, che per Dio venisse in Messina per acconciargli col
re Carlo. Il legato venuto, v'entrò incontanente con grande buono volere per
accordargli, e appresentò le lettere del papa al Comune di Messina, per le
quali gli mandava molto riprendendo della follia fatta per loro contro allo re
Carlo e sua gente; e questa fu la forma: “A' perfidi e crudeli dell'isola di
Cicilia, Martino papa terzo quelle salute che voi sete degni, siccome
corrompitori di pace, e de' Cristiani ucciditori, e spargitori del sangue de'
nostri fratelli. A voi comandiamo che vedute le nostre lettere, dobbiate
rendere la terra al nostro figliuolo e campione Carlo re di Gerusalem e Cicilia
per autorità di santa Chiesa, e che dobbiate lui e noi ubbidire, siccome vostro
legittimo signore; e se ciò non faceste, mettiamo voi scomunicati e interdetti
secondo la divina ragione, anunziandovi giustizia spirituale”. E lette le dette
lettere per lo legato cardinale, sì comandò che sotto pena di scomunicazione, e
d'esser privati d'ogni benificio di santa Chiesa si dovessono accordare col re,
e rendergli la terra, e ubbidirlo come loro signore e campione di santa Chiesa;
e 'l detto legato con savie parole amonendogli e consigliandogli che ciò
dovessono fare per lo loro migliore; per la qual cosa i Missinesi elessono XXX
buoni uomini della città a trattare l'accordo col legato, e vennero a volere
questi patti, cioè: “Che·llo re ci perdoni ogni misfatto, e noi gli renderemo
la terra dandogli per anno quello che' nostri antichi davano al re Guiglielmo;
e volemo signoria latina, e non Franceschi né Provenzali, e sarello obbedienti
e buoni fedeli”. I quali patti il legato mandò dicendo al re per lo suo
camerlingo, pregandolo per Dio dovesse loro perdonare e prendere i detti patti,
però che da poi saranno indurati e messisi alla difensione, ogni dì
peggiorrebbe patti; ma avendo egli la terra con volontà de' cittadini medesimi,
ogni dì gli potrebbe allargare: ed era sano e buono consiglio. Come lo re ebbe
la detta risposta s'adirò forte, e disse fellonosamente: “I nostri suditi che
contro a noi hanno servita morte domandano patti, e voglionne torre la
signoria, e vogliommi rendere censo all'uso del re Guiglielmo, che quasi nonn-avea
niente; non ne farei nulla; ma dapoi che al legato piacce, io perdonerò loro in
questo modo, ch'io voglio di loro VIIIc stadichi quali io vorrò, e farne mia
volontà, e tenendo da me quella signoria che a·mme piacerà, sì come loro
signore, pagando quelle colte e dogane che sono usati; e se questo vogliono
fare, sì 'l prendano, e se non, sì·ssi difendano”. La qual risposta fu molto
biasimata da' savi; che se·llo re non gli avea voluti prendere a' primi patti,
quando si puose all'asedio, ch'erano per lui più larghi e onorevoli, a' secondi
fece fallo del doppio, e non considerò gli avenimenti e casi fortunosi ch'agli
assedi delle terre possono avenire, e che avennero a·llui, come innanzi faremo
menzione: onde fu esemplo, e sarà sempre a quegli che saranno, di prendere i
patti che·ssi possono avere da' nemici, potendo avere la terra assediata. Ma
cui vince il peccato universale della superbia e dell'ira in nullo caso può
prendere buono consiglio.
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