LXXV
Come allo re Carlo convenne per necessità partire dall'asedio di
Messina, e tornossene nel Regno.
Quando il re Carlo udì questo, isbigottì forte, che mai per pericolo di
battaglia né per altra aversità non avea avuto paura, e sospirando disse:
“Volesse Idio ch'io fossi morto, dapoi che·lla fortuna m'è così contraria,
ch'ho perduta mia terra avendo tanta potenzia di gente in mare e in terra; e
non so perché m'è tolta da gente ch'io mai non diservì; e molto mi doglio,
ch'io non presi Messina con patti ch'io la potei avere. Ma da che altro non
posso”, con grande dolore disse, “levisi l'oste, e passiamo; e chi m'avrà colpa
di questo tradimento, o cherico o laico, ne farò grande vendetta”. E il primo
giorno fece passare la reina con ogni gente di mestiere e con parte degli
arnesi dell'oste; il secondo dì passò il re con tutta sua gente, salvo ch'a
cautela di guerra lasciò in aguato di fuori da Messina due capitani con MM
cavalieri, a·ffine che levata l'oste, se quegli di Messina uscissono fuori per
guadagnare della roba del campo, venissono loro adosso e entrassono nella
terra; e se fatto venisse, ritornerebbe il re con sua gente incontanente.
L'ordine fu bene fatto, e così fu bene contrapensato, che' Missinesi
iscopersono il guato, e comandarono sotto pena della vita che nullo uscisse
fuori della città; e così fu fatto. I Franceschi ch'erano rimasi in aguato,
veggendosi scoperti, procacciarono di passare, e vennorne il terzo dì a lo re
in Calavra, e dissono come il suo aviso era loro fallito; onde al re Carlo
radoppiò il dolore, perché alcuna speranza n'avea. E così fu partita tutta
l'oste da Messina, e diliberata la città ch'era in ultima stremità di vivanda,
che non avea che vivere tre giorni, a dì XXVII di settembre, gli anni di Cristo
MCCLXXXII. Il seguente dì giunse l'amiraglio del re d'Araona con sua armata su
per lo Fare di Messina menando grande gazzarra e trionfo, e prese XXVIIII tra
galee grosse e trite, intra·lle quali furono V galee del Comune di Pisa,
ch'erano al servigio del re Carlo. E poi vegnendo alla Catona e a Reggio in
Calavra, il detto amiraglio fece mettere fuoco e ardere da LXXX uscieri del re
Carlo, ch'erano alle piagge disarmati, e questo vide il re Carlo e sua gente
sanza potergli soccorrere, onde gli radoppiò il dolore. E avendo il re Carlo
una bacchetta in mano, com'era sua usanza di portare, per cruccio la cominciò a
rodere, e disse: “Ai Dius, molt m'aves sofert a sormonter; gie t'en pri che
l'avallee soit tut bellamant”. E così si mostra che senno umano né forza di
gente non ha riparo al giudicio d'Iddio. Come lo re Carlo fu passato in
Calavra, diede commiato a tutti gli suoi baroni e amici, e molto doloroso si
ritornò a Napoli. Lo re Piero d'Araona avuta la novella della partita del re
Carlo e di sua oste da Messina, e come il suo amiraglio avea operato, fu molto
allegro; e di presente si partì da Palermo con tutti i baroni e cavalieri, e
venne a Messina a dì X d'ottobre della detta indizione, e da' Missinesi, uomini
e donne, fu ricevuto a grande processione e festa, siccome loro novello
signore, e che gli avea liberati delle mani del re Carlo e de' suoi Franceschi.
Lasceremo alquanto dello stato in che rimase l'isola di Cicilia, e lo Regno di
qua dal Fare, e direno della progenia del detto re di Raona, perché séguita
materia grande de' suoi fatti e de' suoi figliuoli.
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