LXXXII
Come Forlì s'arrendé alla Chiesa, e fu accordo in Romagna.
Come papa Martino seppe la detta sconfitta di Forlì, sì mandò al conte di
Romagna gente assai a cavallo e a piè al soldo della Chiesa, faccendo guerra a
Forlì; e in questa istanzia, a mezzo marzo vegnente MCCLXXXII, il detto conte
ebbe per tradimento la città di Cervia in Romagna, per XVIm fiorini d'oro che
se ne spesono per la Chiesa. Per la qual cosa per trattato d'accordo quegli di
Forlì s'arrenderono alla Chiesa del mese di maggio MCCLXXXIII a patti, salvi
l'avere e le persone, mandandone fuori il conte Guido da Montefeltro, e
disfaccendosi le fortezze della terra; e quasi tutta Romagna fu all'ubidienza
della Chiesa. E poi il detto conte da Montefeltro con sue masnade partito da
Forlì, si ridusse nel castello di Meldola, faccendo grande guerra; per la qual
cosa il conte di Romagna con tutte le masnade della Chiesa v'andò ad oste del
mese di luglio, e stettervi V mesi, e no·lla potero avere. In quella stanzia
dell'asedio di Meldola venne fatta a messer Gianni d'Epa una presta e notabile
cavalleria, ch'egli avea in usanza ogni giorno in sulla terza, egli con poca
compagnia e quasi disarmato, andava intorno al castello proveggendo; uno
valente uomo uscito di Firenze, il quale era dentro, ch'avea nome Baldo da
Montespertoli, sì pensò d'uccidere messer Gianni d'Epa, e armossi di tutte armi
a cavallo, e a corsa coll'elmo in capo e colla lancia abassata si mosse per
fedire messer Gianni, il quale s'avide della venuta del cavaliere, ma però non si
mosse, ma attese; e come s'apressò, diede del bastone che portava in mano nella
lancia del giostratore e levollasi da dosso, e passando oltre, il prese a
braccia, e levollo della sella del cavallo in terra, e di sua mano col suo
spuntone l'uccise; e così quegli che credea uccidere, da colui medesimo fu
morto. Lasceremo de' fatti di Romagna, e direno d'altre novitadi che furono per
l'universo mondo ne' detti tempi, che nel detto anno ne furono assai.
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