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Giovanni Villani
Nuova cronica

IntraText CT - Lettura del testo

  • Tomo secondo
    • Libro nono
      • VIII               Come fu cacciato di Firenze il grande popolare Giano della Bella.
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VIII

 

           

Come fu cacciato di Firenze il grande popolare Giano della Bella.

           

Nel detto anno MCCLXXXXIIII, del mese di gennaio, essendo di nuovo entrato in signoria de la podesteria di Firenze messer Giovanni da Luccino da Commo, avendo dinanzi uno processo d'una accusa contro a messer Corso de' Donati, nobile e possente cittadino de' più di Firenze, per cagione che 'l detto messer Corso dovea avere morto uno popolano, famigliare di messer Simone Galastrone suo consorto, a una mischia e fedite le quali aveano avute insieme, e quello famigliare era stato morto; onde messer Corso Donati era andato dinanzi con sicurtà della detta podestà, a' prieghi d'amici e signori, onde il popolo di Firenze attendea che la detta podestà il condannasse. E già era tratto fuori il gonfalone della giustizia per fare l'esecuzione, e egli l'asolvette; per la qual cosa in sul palagio della podestà letta la detta prosciogligione, e condannato messer Simone Galastrone delle fedite, il popolo minuto gridò: “Muoia la podestà!”; e uscendo a corsa di palagio, gridando: “A l'arme a l'arme, e viva il popolo!”, gran parte del popolo fu in arme, e spezialmente il popolo minuto; e trassono a casa Giano de la Bella loro caporale; e elli, si dice, gli mandò col suo fratello al palagio de' priori a seguire il gonfaloniere della giustizia; ma ciò non feciono, anzi vennero pure al palagio della podestà, il quale popolo a furore con arme e balestra assaliro il detto palagio, e con fuoco misono nelle porte, e arsolle, e entrarono dentro, e presono e rubarono la detta podestà e sua famiglia vituperosamente. Ma messer Corso per tema di sua persona si fuggì di palagio di tetto in tetto, ch'allora non era così murato; de la quale furia i priori, ch'erano assai vicini al palagio della podestà, dispiacque, ma per lo isfrenato popolo nol poterono riparare. Ma racquetato il romore, alquanti appresso i grandi uomini che non dormivano in pensare d'abattere Giano de la Bella, imperciò ch'egli era stato de' caporali e cominciatori degli ordini della giustizia, e oltre a·cciò, per abassare i grandi, volle torre a' capitani di parte guelfa il suggello e 'l mobile della parte, ch'era assai, e recarlo in Comune, non perch'egli non fosse Guelfo e di nazione Guelfo, ma per abassare la potenzia de' grandi; i quali grandi vedendosi così trattare, s'acostarono in setta col consiglio del collegio de' giudici e de' notari, i quali si teneano gravati da·llui, come addietro facemmo menzione, e con altri popolani grassi, amici e parenti de' grandi, che non amavano che Giano de la Bella fosse in Comune maggiore di loro, ordinarono di fare uno gagliardo uficio de' priori; e venne loro fatto, e trassesi fuori prima che 'l tempo usato. E ciò fatto, come furono all'uficio, sì ordinarono col capitano del popolo, e feciono formare una notificagione e inquisizione contro al detto Giano de la Bella e altri suoi consorti e seguaci, e di quegli che furono caporali a mettere fuoco nel palagio, opponendo com'egli aveano messa la terra a romore, e turbato il pacifico stato, e assalita la podestà contro agli ordini della giustizia; per la qual cosa il popolo minuto molto sì conturbò, e andavano a casa Giano della Bella, e proffereagli d'esser co·llui in arme a difenderlo, o combattere la terra. E il suo fratello trasse in Orto Sammichele uno gonfalone dell'arme del popolo; ma Giano ch'era uno savio uomo, se non ch'era alquanto presuntuoso, veggendosi tradito e ingannato da coloro medesimi ch'erano stati co·llui affare il popolo, e veggendo che·lla loro forza con quella de' grandi era molto possente, e già raunati a casa i priori armati, non si volle mettere alla ventura della battaglia cittadinesca, e per non guastare la terra, e per tema di sua persona non volle ire dinanzi, ma cessossi, e partì di Firenze a V di marzo, isperando che 'l popolorimetterebbe ancora in istato; onde per la detta accusa, overo notificagione, fu per contumace condannato nella persona e isbandito, e in esilio morì in Francia (ch'avea a·ffare di , ed era compagno de' Pazzi), e tutti i suoi beni disfatti, e certi altri popolani accusati co·llui; onde di lui fu grande danno alla nostra cittade, e massimamente al popolo, però ch'egli era il più leale e diritto popolano e amatore del bene comune che uomo di Firenze, e quegli che mettea in Comune e non ne traeva. Era presuntuoso e volea le sue vendette fare, e fecene alcuna contra gli Abati suoi vicini col braccio del Comune, e forse per gli detti peccati fu, per le sue medesime leggi fatte, a torto e sanza colpa da' non giusti giudicato. E nota che questo è grande esemplo a que' cittadini che sono a venire, di guardarsi di non volere essere signori di loro cittadini né troppo presuntuosi, ma istare contenti a la comune cittadinanza, che quegli medesimi che·ll'aveano aiutato a farlo grande per invidia il tradiranno e penseranno d'abattere; esse n'è veduta isperienza vera in Firenze per antico e per novello, che chiunque s'è fatto caporale di popolo o d'università è stato abattuto, però che·llo 'ngrato popolo mai non rende altri meriti. Di questa novitade ebbe grande turbazione e mutazione il popolo e la cittade di Firenze, e d'allora innanzi gli artefici e' popolani minuti poco podere ebbono in Comune, ma rimase al governo de' popolani grassi e possenti.

 




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