LXVIII
Come in Firenze ebbe grande novità e battaglia cittadina, per volere
rivedere le ragioni del Comune.
Nel detto anno MCCCIII, del mese di febbraio, i Fiorentini tra·lloro
furono in grande discordia, per cagione che messer Corso Donati non gli parea
esser così grande in Comune come volea, e gli pareva esser degno; e gli altri
grandi e popolani possenti di sua parte nera aveano presa più signoria in
Comune che a·llui non parea, e già preso isdegno co·lloro, o per superbia, o
per invidia, o per volere essere signore, sì fece di nuovo una sua setta
acostandosi co' Cavalcanti, che i più di loro erano Bianchi, dicendo che voleva
si rivedessono le ragioni del Comune, di coloro ch'aveano avuti gli ufici e la
moneta del Comune a minestrare; e feciono capo di loro messer Lottieri vescovo
di Firenze, ch'era de' figliuoli della Tosa del lato bianco, con certi grandi
contra i priori e 'l popolo; e combattési la città in più parti e più dì, e
armarsi più torri e fortezze de la città al modo antico per gittarsi e
saettarsi insieme; e in su la torre del vescovado si rizzò una manganella
gittando a' suoi contradi vicini. I priori s'aforzaro di gente d'arme di città
e di contado, e difesono francamente il palagio, che più assalti e battaglie
furono loro date; e col popolo tennero la casa de' Gherardini con grande
séguito di loro amici di contado, e la casa de' Pazzi e quella degli Spini, e
messer Tegghia Frescobaldi col suo lato; e furono uno grande soccorso al
popolo, e morinne messer Lotteringo de' Gherardini d'uno quadrello a una
battaglia ch'era in porte Sante Marie. Altra casa de' grandi non tenne col
popolo, ma chi era col vescovo e con messer Corso, e chi non gli amava si stava
di mezzo. Per la quale disensione e battaglia cittadina molto male si commise
in città e contado di micidii, e d'arsioni, e ruberie, sì come in città sciolta
e rotta, sanza niuno ordine di signoria, se non chi più potea far male l'uno a
l'altro; e era la città tutta piena di sbanditi, e di forestieri, e contadini,
ciascuna casa colla sua raunata; e era la terra per guastarsi al tutto, se non
fossono i Lucchesi che vennero a Firenze a richiesta del Comune con grande
gente di popolo e cavalieri, e vollono in mano la quistione e la guardia della
città; e così fu loro data per necessità balìa generale, sì che XVI dì
signoreggiarono liberamente la terra, mandando il bando da loro parte. E
andando il bando per la città da parte del Comune di Lucca, a molti Fiorentini
ne parve male, e grande oltraggio e soperchio, onde uno Ponciardo de' Ponci di
Vacchereccia diede d'una spada nel volto al banditore di Lucca quando bandiva,
onde poi non feciono più bandire da·lloro parte, ma adoperarono sì, ch'a la
fine racquetaro il romore, e ciascuna parte feciono disarmare, e misono in
quieto la terra, chiamando nuovi priori di concordia, rimanendo il popolo in
suo stato e libertade, sanza fare nulla punizione di misfatti commessi, se non
chi ebbe il male s'ebbe il danno. E per arrota alla detta pestilenzia fu l'anno
gran fame, e valse lo staio del grano a la rasa più di soldi XXVI di soldi LII
il fiorino d'oro in Firenze, e se non che 'l Comune e que' che governavano la
città si providono dinanzi, e aveano fatto venire per mano di Genovesi di
Cicilia e di Puglia bene XXVIm di moggia di grano, gli cittadini e' contadini
non sarebbono scampati di fame: e questo traffico del grano fue coll'altre una
delle cagioni di volere rivedere la ragione del Comune per la molta moneta che
vi corse; e certi, a diritto o a torto, ne furono calonniati e infamati. E
questa aversità e pericolo della nostra città non fu sanza giudicio di Dio, per
molti peccati commessi per la superbia, invidia e avarizia de' nostri allora
viventi cittadini, che allora guidavano la terra, e così di ribelli di quella
come di coloro che·lla governavano, ch'assai erano peccatori; e non ebbe fine a
questo, come innanzi per gli tempi si potrà trovare.
|