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Giovanni Villani
Nuova cronica

IntraText CT - Lettura del testo

  • Tomo secondo
    • Libro nono
      • LXIX               Come il papa mandò in Firenze per legato il cardinale da Prato per fare pace, e come se ne partì con onta e con vergogna.
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LXIX

 

           

Come il papa mandò in Firenze per legato il cardinale da Prato per fare pace, e come se ne partì con onta e con vergogna.

           

Nella detta discordia tra' Fiorentini papa Benedetto con buona intenzione mandò a Firenze il cardinale da Prato per legato per pacificare i Fiorentini tra·lloro, e simile co' loro usciti e tutta la provincia di Toscana; e venne in Firenze a X del mese di marzo MCCCIII, e da' Fiorentini fu ricevuto a grande onore e con grande reverenza, come coloro che parea esser partiti e in male stato, e coloro ch'aveano stato e volontà di ben vivere amavano la pace e la concordia, e era converso per gli altri. Questo messer Niccolao cardinale della terra di Prato era frate predicatore, molto savio di Scrittura e di senno naturale, sottile, e sagace, e aveduto, e grande pratico, e di progenia de' Ghibellini era nato, e mostrossi poi che molto gli favorò, con tutto ch'a la prima mostrò d'avere buona intenzione e comune. Come fu in Firenze, in piuvico sermone e predica nella piazza di San Giovanni mostrò i privilegi de la sua legazione, ed ispuose il suo intendimento ch'avea, per comandamento del papa, di pacificare i Fiorentini insieme. I buoni uomini popolani che reggeano la terra, parendo loro stare male per le novità e romori e battaglie ch'aveano in que' tempi mosse e fatte i grandi contro al popolo per disfarlo e abattere, sì·ss'acostarono col cardinale a volere pace, e per riformagione degli opportuni consigli gli diedono piena e libera balìa di fare pace tra' cittadini d'entro e' loro usciti di fuori, e di fare i priori e' gonfalonieri e signorie de la terra a sua volontà. E ciò fatto, intese a procedere e a fare fare pace tra' cittadini, e rinnovò l'ordine di XVIIII gonfalonieri de le compagnie al modo dell'antico popolo vecchio, e chiamò i gonfalonieri, e diè loro i gonfaloni al modo e insegne che sono oggi, sanza rastrello della 'nsegna del re di sopra; per la quale nuova informazione del cardinale il popolo si riscaldò e raforzò molto, e' grandi n'abassaro, e mai non finaro di cercare novitadi e opporre al cardinale per isturbare la pace, perché i Bianchi e' Ghibellini non avessono statopodere di tornare in Firenze, e per potere godere i beni loro messi in Comune per ribelli, e in città e in contado. Per tutto questo il cardinale non lasciò di procedere a la pace, per l'aiuto e favore ch'avea dal popolo, e fece venire in Firenze XII sindachi degli usciti, due per sesto, uno de' maggiori Bianchi e uno Ghibellino, i nomi de' quali sono questi [...] e fecegli albergare nel borgo di San Niccolò, e·legato albergava ne' palazzi de' Mozzi da San Grigorio, e sovente gli avea a consiglio co' caporali guelfi e neri di Firenze, per trovare i modi e sicurtà de la pace, e ordinare parentadi tra gli usciti e' grandi d'entro. In questi trattati, a' possenti Guelfi e Neri parealloro guisa che 'l cardinale sostenesse troppo la parte de' Bianchi e de' Ghibellini; ordinarono sottilmente per iscompigliare il trattato di mandare una lettera contrafatta col suggello del cardinale a Bologna e in Romagna agli amici suoi Bianchi e Ghibellini, che rimossa ogni cagione e indugio, dovessono venire a·fFirenze con gente d'arme a cavallo e a piè in suo aiuto; e chi disse pure, che fue vero, che 'l cardinale vi mandò; onde di quella gente venne infino a Crespino, e di tali in Mugello. Per la quale venuta in Firenze n'ebbe grande sombuglio e gelosia, e·legato ne fu molto ripreso e infamato: o avesse colpa o no, se ne disdisse al popolo. Per questa gelosia, e ancora per tema ch'ebbono d'essere offesi i XII sindachi bianchi e ghibellini, si partirono di Firenze, e andarsene ad Arezzo, e la gente che veniva al legato per suo comandamento si tornarono adietro a Bologna e in Romagna, e raquetarono la gelosia alquanto in Firenze. Coloro che guidavano la terra consigliarono il cardinale per levare sospetto ch'egli se n'andasse a Prato, e acconciasse i Pratesi insieme, e simile i Pistolesi, e intanto si piglierebbe modo in Firenze de la generale pace degli usciti. Il cardinale non possendo altro, così fece, e in buona fe' o no ch'avesse intenzione, se n'andò a Prato, e richiese i Pratesi che si rimettessono in lui, e che gli voleva pacificare. I caporali di parte nera e' Guelfi di Firenze veggendo le vestigie del cardinale, ch'egli favorava molto i Ghibellini e' Bianchi per rimettergli in Firenze, e vedeano che con questo il popolo il seguiva, avendo sospetto che non tornasse a pericolo di parte guelfa, ordinarono co' Guazzalotri da Prato, possente casa e di parte nera e molto Guelfi, di fare cominciare in Prato scisma e riotta contra 'l cardinale, e levare romore nella terra; onde il cardinale veggendo i Pratesi male disposti, e temendo di sua persona, sì si parti di Prato, e iscomunicò i Pratesi, e interdisse la terra, e vennesene a Firenze, e fece bandire oste sopra Prato, e diede perdonanza di colpa e di pena chi andasse sopra i Pratesi, e molti cittadini se n'aparecchiaro per andarvi a cavallo e a piè, gente ch'erano in fede e più Ghibellini che Guelfi, e andarono infino a Campi. In questa ordine dell'oste gente assai si raunaro in Firenze di contadini e forestieri, e cominciò a crescere il sospetto e gelosia a' Guelfi, onde molti ch'a la prima aveano tenuti col cardinale, si furono rivolti per gli sdegni che vedeano, e i grandi di parte nera, e simile quegli che piaggiavano col cardinale, si guernirono d'arme e di gente, e la città fu tutta scompigliata e per combattersi insieme. I·legato cardinale veggendo che non potea fornire suo intendimento di fare oste a Prato, e la città di Firenze disposta a battaglia cittadina tra·lloro, e di quegli ch'aveano tenuto co·llui fattisi contradi, prese sospetto e paura, e subitamente si partì di Firenze a IIII di giugno MCCCIIII, dicendo a' Fiorentini: “Dapoi che volete essere in guerra e in maladizione, e non volete udireubbidire il messo del vicaro di Dio, né avere riposopace tra voi, rimanete colla maladizione di Dio e con quella di santa Chiesa”, scomunicando i cittadini, e lasciando interdetta la cittade, onde si tenne che per quella maladizione, o giusta o ingiusta, non fosse sentenzia e gran pericolo della nostra cittade per l'aversità e pericoli che·ll'avennero poco appresso, come innanzi faremo menzione.

 




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