LXXI
Come fu messo fuoco in Firenze, e arsene una buona parte della
cittade.
Partito il cardinale da Prato di Firenze per lo modo che detto avemo
adietro, la città rimase in male stato e in grande scompiglio, ché·lla setta
che teneva col cardinale, ond'erano caporali i Cavalcanti e' Gherardini, Pulci
e' Cerchi bianchi del Garbo, ch'erano mercatanti di papa Benedetto, con séguito
di più case di popolo, per tema che' grandi non rompessono il popolo,
s'avessono la signoria, e ciò furono delle maggiori case e famiglie de'
popolani di Firenze, com'erano Magalotti, e Mancini, Peruzzi, Antellesi, e
Baroncelli, e Acciaiuoli, e Alberti, Strozzi, Ricci, e Albizzi, e più altri, ed
erano molto guerniti di fanti e gente d'arme. I contradi erano di parte nera, i
principali, messer Rosso della Tosa col suo lato de' Neri, messer Pazzino de'
Pazzi con tutti i suoi, la parte degli Adimari che si chiamano Cavicciuli, e
messer Geri Spini e' suoi consorti, e messer Betto Brunelleschi; messer Corso
Donati si stava di mezzo, perch'era infermo di gotte, e per lo sdegno preso con
questi caporali di parte nera; e quasi tutti gli altri grandi si stavano di
mezzo, e' popolani, salvo i Medici e' Giugni, ch'al tutto erano co' Neri. E
cominciossi la battaglia tra' Cerchi bianchi e' Giugni alle loro case del
Garbo, e combattevisi di dì e di notte. A la fine si difesono i Cerchi
coll'aiuto de' Cavalcanti e Antellesi, e crebbe tanto la forza de' Cavalcanti e
Gherardini, che co' loro seguaci corsono la terra infino in Mercato Vecchio, e
da Orto Sa·Michele infino a la piazza di San Giovanni sanza contasto o riparo
niuno, però ch'a·lloro crescea forza di città e di contado; però che·lla più
gente di popolo gli seguivano, e' Ghibellini s'acostavano a·lloro; e venieno in
loro soccorso que' da Volognano con loro amici con più di M fanti, e già erano
in Bisarno. E di certo in quello giorno eglino avrebbono vinta la terra, e
cacciatone i sopradetti caporali di parte guelfa e nera, i quali aveano per
loro nemici, perché si disse ch'aveano fatta tagliare la testa a messer Betto
Gherardini, e a Masino Cavalcanti, e agli altri, come addietro facemmo
menzione. E come erano in sul fiorire e vincere in più parti della terra ove si
combatteva i loro nimici, avenne, come piacque a Dio, o per fuggire maggiore
male, o permise per pulire i peccati de' Fiorentini, che uno ser Neri Abati,
cherico e priore di San Piero Scheraggio, uomo mondano e dissoluto, e ribello e
nimico de' suoi consorti, con fuoco temperato in prima mise fuoco in casa i
suoi consorti in Orto Sammichele, e poi in Calimala fiorentina in casa i
Caponsacchi presso a la bocca di Mercato Vecchio. E fu sì empito e furioso il
maladetto fuoco col conforto del vento a tramontana che traeva forte, che in
quello giorno arse le case degli Abati e de' Macci, e tutta la loggia d'Orto
Sammichele, e casa gli Amieri, e Toschi, e Cipriani, e Lamberti, e Bachini, e
Buiamonti, e tutta Calimala, e le case de' Cavalcanti, e tutto intorno a
Mercato Nuovo e Santa Cecilia, e tutta la ruga di porte Sante Marie infino al
ponte Vecchio, e Vacchereccia, e dietro a San Piero Scheraggio, e le case de'
Gherardini, e de' Pulci, e Amidei, e Lucardesi, e di tutte le vicinanze di
luoghi nomati quasi infino ad Arno; e insomma arse tutto il midollo, e tuorlo,
e cari luoghi della città di Firenze, e furono in quantità, tra palagi e torri
e case, più di MVIIc. Il danno d'arnesi, tesauri, e mercatantie fu infinito,
però che in que' luoghi era quasi tutta la mercatantia e cose care di Firenze,
e quella che non ardea, isgombrandosi, era rubata da' malandrini, combattendosi
tuttora la città in più parti, onde molte compagnie, e schiatte, e famiglie
furono diserte, e vennono in povertade per la detta arsione e ruberia. Questa
pistolenza avenne a la nostra città di Firenze a dì X di giugno, gli anni di
Cristo MCCCIIII, e per questa cagione i Cavalcanti, i quali erano de le più
possenti case di genti, e di posessioni, e d'avere di Firenze, e' Gherardini grandissimi
in contado, i quali erano caporali di quella setta, essendo le loro case e de'
loro vicini e seguaci arse, perdero il vigore e lo stato, e furono cacciati di
Firenze come rubelli, e' loro nemici raquistarono lo stato, e furono signori
della terra. E allora si credette bene che i grandi rompessono gli ordini della
giustizia del popolo, e avrebbollo fatto, se non che per le loro sette erano
partiti e in discordia insieme, e ciascuna parte s'abracciò col popolo per non
perdere istato. Convienne ancora lasciare alquanto a raccontare dell'altre
novitadi che in questi tempi furono in più parti, perché ancora ne cresce
materia dell'averse fortune della nostra città di Firenze.
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