LXXII
Come i Bianchi e' Ghibellini vennero a le porte di Firenze, e andarne
in isconfitta.
Tornato il cardinale da Prato al papa ch'era a Perugia co la corte,
sì·ssi dolfe molto di coloro che reggeano la città di Firenze, e molto gli
abominò dinanzi al papa e al collegio de' cardinali di più crimini e difetti,
mostrandogli peccatori uomini, e nimici di Dio e di santa Chiesa, e raccontando
il disinore e 'l tradimento ch'aveano fatto a santa Chiesa, volendogli porre in
buono stato e pacefico; per la qual cosa il papa e' suoi cardinali si turbarono
forte contra i Fiorentini, e per consiglio del detto cardinale da Prato fece il
papa citare XII de' maggiori caporali di parte guelfa e nera che fossono in
Firenze, i quali guidavano tutto lo stato della cittade, i nomi de' quali
furono questi: messer Rosso della Tosa, messer Corso Donati, messer Pazzino de'
Pazzi, messer Geri Spini, messer Betto Bruneleschi [...] che dovessono venire
dinanzi a·llui sotto pena di scomunacazione e privazione di loro beni; i quali
obbedienti incontanente v'andaro con grande compagnia di loro amici e
famigliari molto onorevolemente, e furono più di CL a cavallo, per iscusarsi al
papa di quello che 'l cardinale da Prato avea loro messo adosso. E in questa
richesta e citazione di tanti caporali di Firenze il cardinale da Prato sagacemente
si pensò uno grande tradimento contro a' Fiorentini, che incontanente scrisse
per sue lettere a Pisa, e a Bologna, e in Romagna, ad Arezzo, a Pistoia, e a
tutti i caporali di parte ghibellina e bianca di Toscana e di Romagna, che si
dovessono congregare con tutte le loro forze e degli amici a piè e a cavallo, e
in uno dì nomato venire con armata mano a la città di Firenze, e prendere la
terra, e cacciarne i Neri e coloro ch'erano stati contro a·llui, e che ciò era
di coscienza e volontà del papa (la qual cosa era grande bugia e falsità, che
'l papa di ciò non seppe niente), confortando ciascuno che venissono
securamente, perché la città era fiebole e aperta da più parti, e che per sua
industria n'avea tratti, e fatti citare a corte tutti i caporali di parte nera,
e dentro avea gran parte che risponderebbono loro, e darebbono la terra, e che
facessono la loro raunata e venuta segreta, e tosto. I quali avute queste
lettere furono molto allegri, e confortandosi del favore del papa, ciascuno a
suo podere si guernì, e mosse a venire verso Firenze a la giornata ordinata. E
prima due dì, per la grande volontade, tutta l'altra ragunata de' Bianchi e
Ghibellini vennero verso Firenze per modo sì segreto che furono a la Lastra
sopra Montughi in quantità di MVIc cavalieri e di VIIIIm pedoni innanzi che in
Firenze si credesse per la più gente, però ch'egli non lasciavano venire
a·fFirenze niuno messo che ciò anunziasse; e se fossono scesi a la città il dì
dinanzi, sanza dubbio aveano la terra, però che non v'avea nulla provedenza, né
guernigione d'arme né difesa. Ma egli s'arestarono la notte ad albergo a la
Lastra e a Trespiano infino a Fontebuona per attendere messer Tolosato degli
Uberti capitano di Pistoia, il quale facea la via a traverso dell'alpe con CCC
cavalieri pistolesi e soldati, e con molti a piede; e veggendo la mattina che
non venia, gli usciti di Firenze si vollono studiare di venire a la terra,
credendolasi avere sanza colpo di spada; e così feciono, lasciando i Bolognesi
a la Lastra, che per loro viltà, o forse perché a' Guelfi ch'erano tra·lloro
non piacea la 'mpresa: vegnendo l'altra gente, entraro nel borgo di San Gallo
sanza nulla contasto, che allora non erano a la città le cerchie delle mura
nuove, né' fossi, e le vecchie mura erano schiuse e rotte in più parti. E
entrati dentro a' borghi, ruppono uno serraglio di legname con porta fatto nel
borgo, il quale fue abandonato da' nostri e non difeso, del quale gli Aretini
trassono il chiavistello della detta porta, e per dispetto de' Fiorentini il portarono
ad Arezzo, e puosollo nella loro chiesa maggiore di Santo Donato. E venuti i
detti nemici giù per le borgora verso la cittade, si schieraro in su 'l
Cafaggio di costa a' Servi, e furono più di XIIc di cavalieri e popolo
grandissimo, per molti contadini seguitigli, e di que' d'entro Ghibellini e
Bianchi usciti a·lloro aiuto; la quale fu per loro mala capitaneria, come
diremo appresso, che si puosono in luogo sanza acqua; ché se si fossono
schierati in su la piazza di Santa Croce, aveano il fiume e l'acqua per loro e
per gli cavagli, e la Città Rossa d'intorno fuori delle mura vecchie, ch'era
tutta acasata da starvi al sicuro ogni grande oste, ma a cui Iddio vuole male
gli toglie il senno e l'accorgimento. Come la sera dinanzi si seppe la novella,
in Firenze ebbe grande tremore e sospetto di tradimento, e tutta la notte si
guardò la terra; ma per lo sospetto chi andava qua, e chi là, sanza ordine
niuno, isgombrando ciascuno le sue case. E di vero si disse che delle maggiori
e migliori case di Firenze di grandi, e de' popolani, e' Guelfi seppono il
detto trattato, e promesso aveano di dare la terra; ma sentendo la gran forza
de' Ghibellini di Toscana e nimici del nostro Comune, i quali erano venuti co'
nostri usciti, temettono forte di loro medesimi, e d'esserne poi cacciati e
rubati, sì rimossono proposito, e intesono a la difensa cogli altri insieme.
Certi de' nostri caporali usciti con parte della gente, si partirono di
Cafaggio dalla schiera, e vennero a la porta delli Spadari, e quella combattero
e vinsono, e entraro delle loro insegne e di loro infino presso a la piazza di
San Giovanni; e se la schiera grossa ch'era in Cafaggio fosse venuta appresso
verso la terra, e assalita alcuna altra porta, di certo non aveano riparo. Ne
la piazza di San Giovanni erano raunati tutti i valenti uomini e' Guelfi che
intendeano a la difensione della città, non però grande quantità, forse CC
cavalieri e Vc pedoni, e con forza delle balestra grosse ripinsono i nimici
fuori della porta, e con danno d'alquanti presi e morti. La novella andò a la
Lastra a' Bolognesi per loro spie, e rapportarono che i loro erano rozzi e
sconfitti, incontanente, sanza saperne il certo, che non era però vero, si
misono in via, chi meglio potéo fuggire; e scontrandogli messer Tosolato con
sua gente in Mugello, che venia e sapea il vero, gli volle ritenere e rimenare
indietro. Non ebbe luogo né per prieghi né per minacce. Quelli de la loro
schiera grossa del Cafaggio, avuta la novella da la Lastra, come i Bolognesi
s'erano partiti in rotta, come piacque a·dDio, incontanente impauriro, e per lo
disagio di stare infino dopo nona a schiera a la fersa del sole, e gran caldo
ch'era, e non aveano acqua a sofficienza per loro e per loro cavalli,
cominciarono a partirsi e andare via in fugga, gittando l'armi sanza asalto o
caccia di cittadini, che quasi e' non uscirono loro dietro, se non certi
masnadieri di volontà; onde molti de' nimici ne morirono per ferri e per
traffelare, e rubati l'arme e' cavalli, e certi presi furono impiccati nella
piazza di San Gallo, e per la via in su gli alberi. Ma di certo si disse che
con tutta la partita de' Bolognesi, e fossono stati fermi insino a la venuta di
messer Tosolato, che 'l poteano sicuramente fare per lo piccolo podere de'
cavalieri difenditori ch'avea in Firenze, ancora avrebbono vinta la terra. Ma
parve opera e volontà di Dio, e che fossono amaliati, perché la nostra città di
Firenze non fosse al tutto diserta, rubata, e guasta. Questa non proveduta
vittoria e scampamento della città di Firenze fue il dì di santa Margherita, a
dì XX del mese di luglio, gli anni di Cristo MCCCIIII. Avenne fatta sì stesa
memoria, perché a·cciò fummo presenti, e per lo grande rischio e pericolo di
che Dio iscampò la città di Firenze, e perché i nostri discendenti ne prendano
esemplo e guardia.
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