LXXXIX
Come messer Nepoleone Orsini legato venne ad Arezzo, e dell'oste che
Fiorentini feciono a Gargosa.
Negli anni di Cristo MCCCVII messer Nepoleone degli Orsini legato per la
Chiesa si partì di Romagna, e passò in Toscana, e venne a la città d'Arezzo, e
dagli Aretini fu ricevuto a grande onore; e stando in Arezzo raunò tutti i suoi
amici e fedeli di terra di Roma, de la Marca, e del Ducato, e di Romagna, e gli
usciti bianchi e ghibellini di Firenze e dell'altre terre di Toscana, in
quantità di MDCC cavalieri e popolo grandissimo, per fare guerra a' Fiorentini.
I Fiorentini sentendo sua venuta e raunata, sì·ssi guernirono, e richiesono gli
amici, e trovarsi nel torno di IIIm cavalieri e più di XVm pedoni, e partìsi di
Firenze del mese di maggio, non attendendo che·legato e sua gente gli asalisse,
e co·lloro oste n'andarono francamente in sul contado d'Arezzo, e tennero la
via di Valdambra, guastando il paese; e presono più castella del Comune
d'Arezzo e degli Ubertini, e feciolle disfare. E andando verso Arezzo, si
puosono a oste al castello di Gargosa, e quello strinsono con battaglie e
difici, e erano per averlo. Ma il legato per levarsi d'adosso la detta oste,
con savio consiglio de' buoni capitani di guerra ch'erano co·llui, si partì
d'Arezzo con tutta sua cavalleria e gente, e fece la via da Bibbiena per lo
Casentino, e venne infino al castello di Romena, mostrando di scendere l'alpe,
e di venire a la città di Firenze, dando suono che gli dovea essere data la
terra. I Fiorentini sentendo sua venuta, ebbono grande paura e gelosia, e
feciono grande guardia nella terra, e rimandarono nell'oste a Gargosa per la
loro cavalleria e gente; ma innanzi che i messi vi giugnessono, que' dell'oste
sentiro la partita che·legato fece d'Arezzo, e come facea la via del Casentino;
temendo de la città di Firenze, incontanente si ricolsono, e la sera quasi di
notte si partirono disordinatamente, e tutta la notte cavalcarono chi meglio ne
potea venire. La quale partita de' Fiorentini e di loro amici fue sanza alcuno
danno, ma non sanza grande vergogna di mala condotta e di grande pericolo. Che
se il legato avesse lasciati in Arezzo CCC cavalieri e M pedoni, e alla levata
de' Fiorentini gli avessono assaliti, ne tornavano sconfitti. E per lo detto
modo chi prima e chi poi si tornarono in Firenze; e saputo ciò, il legato si
tornò con sua gente inn-Arezzo. Dopo queste cose i·legato andò a Chiusi e al
castello della Pieve, e più trattati d'accordo ebbe co' Fiorentini, i quali
mandaro a·llui loro ambasciadori, cercando di rimettere in Firenze i Bianchi e'
Ghibellini con certi patti, e pacificarli insieme. E dopo molte rivolture, i Fiorentini
non fidandosi, e tegnendo il legato in vana speranza, tutto il trattato tornò
in niente. Per la qual cosa il legato veggendosi non ubbidito e scemato il suo
podere, con poco onore si partì di Toscana, e tornossi oltre i monti a la
corte, lasciando i signori che reggeano Firenze scomunicati, e la città e 'l
contado interdetta. E rimasi i Fiorentini male disposti, del presente mese di
luglio del detto anno feciono sopra i cherici una grande e grave imposta; e
perché non voleano pagare, più ingiurie furono fatte a' cherici, e a' loro osti
e fittaiuoli, e pure convenne che pagassono. E la Badia di Firenze, andandovi
l'uficiale isattore con sua famiglia, i monaci chiusono le porte, e sonarono le
campane; per la qual cosa dal popolo minuto e da' malandrini, con sospignimento
di loro possenti vicini grandi e popolani che non gli amavano, furono corsi a
furore, e tutti rubati. E poi il Comune, perch'aveano sonato, volea tagliare il
campanile da piè, e disfecionne di sopra presso che la metade; la quale furia fue
molto biasimata per la buona gente di Firenze.
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