CXXXVI
Chi fue il
poeta Dante Allighieri di Firenze.
Nel detto
anno MCCCXXI, del mese di luglio, morì Dante Allighieri di Firenze ne la città
di Ravenna in Romagna, essendo tornato d'ambasceria da Vinegia in servigio de'
signori da Polenta, con cui dimorava; e in Ravenna dinanzi a la porta de la
chiesa maggiore fue sepellito a grande onore in abito di poeta e di grande
filosafo. Morì in esilio del Comune di Firenze in età circa LVI anni. Questo
Dante fue onorevole e antico cittadino di Firenze di porta San Piero, e nostro
vicino; e 'l suo esilio di Firenze fu per cagione, che quando messer Carlo di
Valos de la casa di Francia venne in Firenze l'anno MCCCI, e caccionne la parte
bianca, come adietro ne' tempi è fatta menzione, il detto Dante era de'
maggiori governatori de la nostra città e di quella parte, bene che fosse
Guelfo; e però sanza altra colpa co la detta parte bianca fue cacciato e
sbandito di Firenze, e andossene a lo Studio a Bologna, e poi a Parigi, e in
più parti del mondo. Questi fue grande letterato quasi in ogni scienza, tutto
fosse laico; fue sommo poeta e filosafo, e rettorico perfetto tanto in dittare,
versificare, come in aringa parlare, nobilissimo dicitore, in rima sommo, col
più pulito e bello stile che mai fosse in nostra lingua infino al suo tempo e
più innanzi. Fece in sua giovanezza i·libro de la Vita nova d'amore; e poi
quando fue in esilio fece da XX canzoni morali e d'amore molto eccellenti, e in
tra·ll'altre fece tre nobili pistole; l'una mandò al reggimento di Firenze
dogliendosi del suo esilio sanza colpa; l'altra mandò a lo 'mperadore Arrigo
quand'era a l'assedio di Brescia, riprendendolo della sua stanza, quasi
profetezzando; la terza a' cardinali italiani, quand'era la vacazione dopo la
morte di papa Chimento, acciò che s'accordassono a eleggere papa italiano;
tutte in latino con alto dittato, e con eccellenti sentenzie e autoritadi, le
quali furono molto commendate da' savi intenditori. E fece la Commedia, ove in
pulita rima, e con grandi e sottili questioni morali, naturali, strolaghe,
filosofiche, e teologhe, con belle e nuove figure, comparazioni, e poetrie,
compuose e trattò in cento capitoli, overo canti, dell'essere e istato del
ninferno, purgatorio, e paradiso così altamente come dire se ne possa, sì come
per lo detto suo trattato si può vedere e intendere, chi è di sottile
intelletto. Bene si dilettò in quella Commedia di garrire e sclamare a guisa di
poeta, forse in parte più che non si convenia; ma forse il suo esilio gliele
fece. Fece ancora la Monarchia, ove trattò de l'oficio degli 'mperadori. Questo
Dante per lo suo savere fue alquanto presuntuoso e schifo e isdegnoso, e quasi
a guisa di filosafo mal grazioso non bene sapea conversare co' laici; ma per
l'altre sue virtudi e scienza e valore di tanto cittadino ne pare che si
convenga di dargli perpetua memoria in questa nostra cronica, con tutto che per
le sue nobili opere lasciateci in iscritture facciamo di lui vero testimonio e
onorabile fama a la nostra cittade.
|