CCXIX
Di grande
novitade ch'ebbe in Firenze per cagione degli sbanditi.
Nel detto
anno e tempo, essendo gli sbanditi di Firenze, i quali erano stati nell'oste a
Prato e a Fucecchio, in isperanza d'esser ribanditi per la promessa loro fatta
e per lo bando mandato per gli priori, non si trovò via per gli forti ordini
che potessono essere ribanditi. Per la qual cosa VIII di loro caporali,
ch'erano in Firenze a sicurtà per sollecitare d'essere ribanditi, veggendo che
la loro speranza era fallita, sì ordinaro congiurazione e tradimento ne la
città col favore di certi nobili de le case, ond'erano di quegli isbanditi; e
la notte di santo Lorenzo, dì X d'agosto MCCCXXIII, vennero a le porte de la
città da più parti, in quantità di LX a cavallo e più di MD a piè, con iscuri
assai per tagliare la porta che vae verso Fiesole. Sentendosi la sera a tardi
loro venuta, non per certo, ma per alcuno indizio, la città fue ad arme e in
grande tremore, dubitandosi il popolo non tanto degli sbanditi di fuori, che
piccolo podere era il loro a la potenza della città, quanto di tradimento
dentro si facesse per gli grandi. Per la qual cosa la città si guardò la notte
con grande sollecitudine, e per la buona guardia nullo s'ardì a scoprire dentro
di tradimento. Gli sbanditi ch'erano di fuori, veggendo la grande guardia e
luminare sopra le mura, e che nullo rispondea loro dentro, si partirono in più
parti, e così per la grazia di Dio e di messere santo Lorenzo iscampò la città
di Firenze di grande pericolo e rivoluzione; che di vero si trovò che doveano
correre la città e ardere in più parti, e rubare e fare micidi in assai buoni
uomini, e abbattere l'uficio de' signori priori e gli ordini della giustizia,
che sono contra i nobili, e tutto il pacefico stato della città sovertere; e
cominciato per gli sbanditi il male, quasi tutti i nobili doveano essere
co·lloro per disfare il popolo. E così si trovò; ma perché l'opera era grave a
pulire, tanti n'erano colpevoli, si rimase di fare giustizia per non peggiorare
stato, ché·ll'una setta e parte del popolo, i quali non reggeano la città,
voleano pur che giustizia si facesse, perché si volgesse stato nella città.
Quegli che reggieno, perché scandalo non crescesse onde nascesse mutazione ne
la città, sì la passarono il più temperatamente che poteano. E essendo a la
fine opposto per la fama del popolo per gli più caporali di nobili, ch'avessono
aconsentito a la detta congiura, a messer Amerigo Donati, e a messer Tegghia
Frescobaldi, e a messer Lotteringo Gherardini, ma non si trovò nullo
ch'acusasse; ma nel consiglio de' priori e del popolo per dicreto convenne
ciascuno in polizze scrivesse chi gli parea fosse colpevole: trovossi per gli
più i tre cavalieri nomati; che fu nuova legge e modo. I quali tre cavalieri
dinunziati per lo modo e sorte che detto avemo, essendo richesti per messer
Manno de la Branca d'Agobbio, allora podestà, a sicurtà privata di loro
persone, compariro e confessarono che sentirono il trattato ma non vi si
legaro; ma perché nol palesarono a' priori, furono condannati ciascuno in
libbre MM, e a confini per VI mesi fuori della città e contado XL miglia. Per
molti si lodò di passarla per questo mezzo per non crescere scandalo ne la
città; e per molti si biasimò, che giustizia non si fece de' detti e di molti
nobili che si diceva che v'aveano colpa a la detta congiurazione. E per questa
novità, e per fortificare il popolo, a dì XXVII d'agosto MCCCXXIII sì diedono
LVI pennoni della 'nsegna de le compagnie, III per gonfalone e tali IIII, e
così a quegli de la setta che non reggeano come a quegli che reggeano,
mischiatamente; e tutti i popolani a sesto a sesto si congregarono insieme, e
promisono d'essere a una concordia a la difensione del popolo; per la qual
cagione poi nacque mutazione in Firenze, e si criò nuovo stato, come innanzi
farà menzione.
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