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Giovanni Villani
Nuova cronica

IntraText CT - Lettura del testo

  • Tomo secondo
    • Libro undecimo
      • LXX               Sì come il detto Lodovico diede sentenzia, e come potéo dispuose papa Giovanni XXII.
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LXX

 

           

Sì come il detto Lodovico diede sentenzia, e come potéo dispuose papa Giovanni XXII.

           

Apresso, i·lunidì vegnente, a XVIII d'aprile del detto anno, il detto Lodovico per simile modo ch'avea fatto il giuovidì dinanzi fece parlamento, e congregare il popolo di Roma, cherici e laici, ne la piazza di San Piero, e in su i sopradetti pergami venne vestito di porpore, e co la corona in capo e la verga dell'oro ne la mano diritta, e la poma overo mela d'oro ne la manca, sì come imperadore; e puosesi a sedere sopra uno ricco trono rilevato, sì che tutto il popolo il potea vedere, intorniato di parlati e baroni e di cavalieri armati. E come fu posto a sedere, fece fare silenzio; e uno frate Niccola di Fabbriano dell'ordine de' romitani si fece al perbio, e gridò ad alte boci: “Ècci alcuno procuratore che voglia difendere prete Iacopo di Caorsa, il quale si fa chiamare papa Giovanni XXII?”. E così gridò tre volte, e nullo rispuose. E ciò fatto, si fece al perbio uno abate d'Alamagna molto letterato e propuose in latino queste parole: “Hec est dies boni nuntii etc.”, allegando sopra questa autoritade molto belle parole sermonando; e poi si lesse una sentenzia molto lunga e ornata di molte parole e falsi argomenti, inn-effetto di questo tenore. Prima nel proemio, come il presente santo imperadore, essendo avido dell'onore e di ricoverare lo stato del popolo di Roma, si mosse d'Alamagna lasciando il regno suo e' suoi figliuoli piccioli in adolescente etade, e sanza alcuna dimoranza era venuto a Roma, sappiendo come Roma era capo del mondo e de la fede cristiana, e che ella era vacua della sedia spirituale e temporale; e stando a Roma, dinanzi a·llui pervenne che Iacopo di Caorsa, il quale si faceva abusivamente dire papa Giovanni XXII, avea voluto mutare il titolo de' cardinalitichi, i quali sono a Roma, ne la città di Vignone, e non lasciò, se non perché i suoi cardinali non l'assentirono. E poi sentì che quello Iacopo di Caorsa avea fatto bandire le croce contro a' Romani, e queste cose fece asapere agli LII rettori del popolo di Roma e ad altri savi, come gli parve che si convenisse. Per la qual cosa per il sindaco della chericia di Roma, e per quello del popolo di Roma, costituiti da coloro che n'aveano balìa, fue isposto dinanzi a·llui e supplicato ch'egli procedesse sopra il detto Iacopo di Caorsa secondo eretico, e provedesse la Chiesa e 'l popolo di Roma di santo pastore e di fedele Cristiano, sì come altra volta fu fatto per Otto terzo imperadore. Onde volendo attendere a la piatà de' Romani e de la santa Chiesa di Roma, che rapresenta tutto il mondo e la fede cristiana, procedette sopra il detto Iacopo di Caorsa, trovandolo in caso di resia per gl'infrascritti modi, cioè, prima, che essendo il regno d'Erminia assalito da' Saracini, e volendo lo re di Francia mandarvi soccorso di galee armate, egli avea quella andata fatta convertire sopra i Cristiani, cioè sopra i Ciciliani. Ancora, che essendo egli pregato da' frieri di Santa Maria degli Alamanni ch'egli mandasse oste sopra i Saracini, avea risposto: “Noi avemo in casa i Saracini”. Anche avea detto che Cristo avea avuto propio in comune co' suoi discepoli, il quale sempre amò povertade.

 

E appresso trovatolo in altri grandi peccati di resia, massimamente ch'egli s'avea voluto apropiare lo spirituale e 'l temporale dominio, di consiglio di Ioab, cioè di Ruberto conte di Proenza, faccendo contro al santo Vangelio, ove dice che Cristo, vogliendo fare distinzione dello spirituale dal temporale, disse: “Id quod est Cesaris Cesari, et quod est Dei Deo”. E in altra parte del Vangelio disse: “Regnum meum non est de hoc mundo; et si de hoc mundo esset regnum meum, ministri mei etc.”, e seguentemente: “Regnum meum non est hic”. Sì che i detti e altri diversi e grandi peccati di resia ha commessi, anche ch'avea prosummito e avuto ardire contra la 'mperiale maestade, disponendo e cassando la sua elezione, la quale incontanente fatta, per quella medesima ragione è confermata, e non abisogna di confermagione alcuna, con ciò sia cosa che non sia sottoposto ad alcuno, ma ogni uomo e tutto il mondo è sottopostollui. Onde avendo il detto Iacopo commessi cotali peccati, sì di resia e sì de la lesa maestade, nonostante ch'egli non sia stato citato, che non bisogna per la nuova legge fatta per lo detto imperadore, e per altre leggi canoniche e civili, rimovea, privava, e cassava il detto Iacopo di Caorsa da l'oficio del papato, e da ogni oficio e beneficio temporale e spirituale, e sommettendolo a ciascuno ch'avesse giuridizione temporale, che 'l potesse punire d'animaversione, secondo che eretico e commettitore de la lesa maestade; e che nullo re, prencipe, o barone, o comunità gli dovesse dare aiuto, consiglio, o favore, né averlo né tenerlo per papa, in pena di privazione d'ogni dignità, cherici e laici di cheunque stato fosse, e a pena d'essere condannato come fautore d'eretico, e di commettere peccato de la lesa maestà; e la metà della pena e condannagione fosse applicata a la camera dello 'mperadore, e l'altra metade al popolo di Roma, e chiunque gli avesse dato aiuto, consiglio o favore, da indi adietro cadesse in simile sentenzia, assegnando termine a scusarsi a chi contro a·cciò avesse fatto, a quegli d'Italia uno mese, e a tutti gli altri d'universo mondo infra due mesi, che si venissono a scusare. E data e confermata la detta sentenzia, disse il detto Lodovico Bavero che infra pochi giorni provederebbe di dare buono papa e buono pastore, sì che grande consolazione n'avrebbe il popolo di Roma e tutti i Cristiani. E queste cose disse ch'avea fatte di consiglio di grandi savi cherici e laici fedeli Cristiani, e de' suoi baroni e prencipi. De la detta sentenzia i savi uomini di Roma molto si turbarono; l'altro semplice popolo ne fece gran festa.

 




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