CXXXIII
Come
messer Marco Visconti venne in Firenze per certi trattati, e poi tornato in
Milano fu morto da' fratelli e nipote.
Rivolto lo
stato di Pisa per lo modo scritto nel passato capitolo, i Pisani e 'l conte Fazio
providono messer Marco Visconti riccamente del servigio ricevuto da·llui. Il
detto messer Marco non volle tornare a Lucca, però ch'era in gaggio per lo
Bavero a' cavalieri del Cerruglio per loro soldi, come adietro facemmo
menzione; cercò, e mandò lettere al Comune di Firenze che volea venire e
passare per Firenze per andarsene in Lombardia con intendimento di parlare a'
priori e con coloro che reggeano la città cose utili per potere avere la città
di Lucca. Fugli data licenzia del venire sicuramente; il quale venne in Firenze
a dì XXX di giugno nel detto anno con XXX a cavallo di sua famiglia; da'
Fiorentini fu veduto graziosamente e fattogli onore assai, ed egli da·ssé,
mentre dimorò in Firenze, al continuo mettea tavola, convitando cavalieri e buona
gente, e fece nel palagio de' priori l'obbedienza di santa Chiesa dinanzi a'
priori e a l'altre signorie e del vescovo di Firenze e di quello di Fiesole e
di quello di Spuleto, ch'era Fiorentino, e dinanzi a lo 'nquisitore e di certi
legati che erano in Firenze per lo papa. E promise d'andare a la misericordia
del legato di Lombardia e poi al papa, e d'essere sempre figliuolo e
difenditore di santa Chiesa. In Firenze tenne trattato co' cavalieri dal
Cerruglio che teneano il castello di Lucca di dare al Comune di Firenze il
detto castello e tutta la città, dando loro LXXXm fiorini d'oro; e de' maggiori
caporali e conastaboli vennono in Firenze per lo detto trattato, profferendo di
dare per sicurtà molti di loro caporali per istadichi per oservare la promessa.
In Firenze se ne tennono più consigli, e gli più s'accordarono al trattato, e
spezialmente la comune gente e quegli de la setta di messer Pino de la Tosa, il
quale, come dicemmo adietro, avea menato il trattato di fare torre Lucca a
messer Marco e a' cavalieri dal Cerruglio. L'altra setta, ond'era caporale
messer Simone de la Tosa suo consorto, per invidia, o forse perché per loro non
era mosso il detto trattato e non aspettavano l'onore, o forse utole, s'oppuose
contro, mostrando più dubitazioni e pericoli, come si poteano perdere i danari,
e la gente si mettesse per gli Fiorentini a la guardia del castello
dell'Agosta. E così per mala concordia de' nostri non diritti cittadini a la
republica rimase il trattato, e messer Marco si partì di Firenze a dì XXVIIII
di luglio, e furongli donati per lo Comune di Firenze M fiorini d'oro per aiuto
a le sue spese. Il detto messer Marco se n'andò a Milano, e da' suoi cittadini
fu ricevuto a grande onore, e avea da' Milanesi grande séguito, maggiore che
neuno de' suoi fratelli, o che messer Azzo Visconti suo nipote, ch'era signore
di Milano. Per la qual cosa montò la 'nvidia e la gelosia che messer Marco non
togliesse la signoria a messer Azzo per gli trattati fatti in Firenze co'
Guelfi, e forse messere Marco per tornare in grazie del papa ed esser signore
di Milano, che 'l potea e n'avea per aventura la 'ntenzione guardando suo
tempo.
Avenne che a
dì IIII di settembre nel detto anno, fatto messer Azzo uno grande convito ove
fu messer Marco e messer Luchino e messer Giovannino Visconti suoi zii, e altri
de' Visconti e più buona gente di Milano, compiuto il mangiare, e partendosi
messer Marco e l'altra buona gente, fu fatto chiamare per parte di messer Azzo
che tornasse al palazzo, che volea egli e' frategli parlare co·llui al segreto.
Il detto messer Marco non prendendosi guardia, e non avendo arme, andò a·lloro,
e entrato co·lloro in una camera, come i traditori caini aveano ordinato,
co·lloro masnadieri armati uscirono adosso a messer Marco, e sanza fedirlo il
presono e strangolarlo, sì ch'afogò, e morto il gittarono da le finestre del
palazzo in terra. Di questa disonesta morte di messer Marco i Milanesi per
comune ne furono molto turbati, ma nullo n'osò parlare per paura. Questo messer
Marco fu bello cavaliere e grande della persona, fiero e ardito, e prode in
arme, e bene aventuroso in battaglia più che niuno Lombardo a' suoi dì; savio
non fu troppo, ma se fosse vivuto, avrebbe fatto di grandi novitadi in Milano e
in Lombardia.
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