CCXXVII
D'una
grande quistione che mosse papa Giovanni che l'anime beate non poteano vedere Iddio
perfettamente infino al dì del giudicio.
Nel detto
anno MCCCXXXIII si piuvicò per papa Giovanni apo Vignone, con tutto che più di
due anni dinanzi l'avesse conceputo e trovato, l'opinione della visione
dell'anime quando sono passate di questa vita, cioè ch'egli sermonò in piuvico
concestoro per più volte dinanzi a tutti suoi cardinali e prelati di corte che
niuno santo, eziandio santa Maria, non può perfettamente vedere la beata speme,
cioè Iddio in trinitade, la qual'è la vera deitade, ma dicea che·ssolo possono
vedere l'umanità di Cristo la quale prese della vergine Maria; e·lla detta
visione imperfetta dicie che durerebbe infino al chiamare dell'angelica tromba,
ciò fia quando il figliuolo di Dio verrà a giudicare i vivi e' morti, dicendo
a' beati: “Venite benedicti patris mei, percipite regnum, etc.”; e de converso,
cioè a' dannati: “Ite maladetti in ignem etternum”; d'allora inanzi per gli
beati perfettamente sarà in loro la visione chiara della vera e infinita deità;
e così sarà il contradio delle pene de' dannati, che sì come per lo merito del
bene fare infino al detto giorno la loro beatitudine fia imperfetta e non
compiuta, così dicie e s'intendea del male avere fatto la pulizione e·lla pena
e 'l supplicio essere imperfetti. Onde nota che non mostrava per lo suo
oppinione che inferno sia infino al dire della parola “Ite maladitti etc.”.
Questo suo oppenione provava e argumentava per molte autorità e detti di santi;
la quale quistione dispiaceva alla maggiore parte de' cardinali; nondimeno e'
comandò loro e a tutti i maestri e prelati di corte sotto pena di
scomunicazione che ciascuno studiasse sopra la detta quistione della visione
de' santi, e facessene a·llui relazione, secondo che ciascuno sentisse o del
pro o del contro, tuttora protestando che infino allora nonn-avea diterminato
ad alcuna delle parti, ma ciò che-nne dicea e proponea era per via di
disputazione e d'esercizio di trovare il vero. Ma con tutte le sue
protestagioni di certo si dicea e vedea per opera ch'egli sentiva e credeva al
detto oppinione; però che qualunque maestro o prelato gli recava alcuna
autorità o detto di santi che in alcuna parte favorasse il detto suo oppinione,
il vedea volentieri, e gli faceva grazia d'alcuno benificio. Il quale oppinione
sermonandolo a Parigi il ministro generale de' frati minori, il quale era del
paese del papa e sua criatura, fu riprovato per tutti i maestri di divinità di
Parigi, e per gli frati predicatori e romitani e carmelliti, e per lo re
Filippo di Francia il detto ministro fu forte ripreso dicendogli ch'egli era
eretico, e che s'egli non si riconoscesse del detto errore, il farebbe morire
come paterino, però che suo reame non sostenea nulla resia; ed eziandio se 'l
papa medesimo ch'avea mosso il detto falso oppinione il volesse sostenere, il
riproverebbe per eretico, dicendo laicamente, come fedele Cristiano, che invano
si pregherebbono i santi, o avrebbesi speranza di salute per gli loro meriti,
se nostra Donna santa Maria e santo Giovanni e santo Piero e Paolo e gli altri
santi non potessono vedere la deità infino al dì del giudicio, e avere perfetta
beatitudine in vita etterna; e che per quella oppinione ogni indulgenza e
perdonanza data per antico per santa Chiesa, o che si desse, era vana; la qual
cosa sarebbe grande errore e guastamento della fede cattolica. E convenne che
innanzi si partisse il detto ministro sermonasse il contradio, dicendo che ciò
ch'avea detto era in quistionando, ma la sua credenza era quella che santa
Chiesa era consueta di credere e predicare. E sopra ciò il re di Francia e lo
re Ruberto ne scrissono a papa Giovanni riprendendolo cortesemente, che con
tutto che 'l detto oppinione sostenesse in quistionando per trovare il vero,
non si convenia a papa di muovere le quistioni sospette contra la fede cattolica,
ma chi le movesse dicidere e istirpare. Della qual cosa molto furono contenti
la maggiore parte de' cardinali, i quali ripugnavano il detto oppinione. E per
questa cagione il re di Francia prese grande audacia sopra papa Giovanni e
no·llo richiedea di quella grazia o cosa ch'egli domandasse, ch'egli osasse
disdire. E fu grande cagione perché papa Giovanni condiscese al re di Francia
in dargli intendimento della signoria d'Italia e dello imperio di Roma per gli
trattati mossi per lo re Giovanni, come in alcuna parte avemo fatta menzione, e
faremo per lo 'nanzi. Il sopradetto oppinione si quistionò in corte mentre che
papa Giovanni vivette, e poi per più d'uno anno; alla fine si dichiarò e fu
riprovato, come innanzi leggendo si potrà trovare. Lasceremo della detta
quistione, ch'assai n'avemo detto, e torneremo a nostra materia de' fatti della
nostra città di Firenze per contare d'una grande aversità e pericolo di diluvio
d'acqua che venne in quegli tempi in quella, la quale è bene da farne distesa
memoria, che fu delle maggiori novità e pericolo che mai ricevesse la città di
Firenze dapoi ch'ella fu rifatta. E però cominceremo in raccontando quello
diluvio il XII libro, però che ne pare che si convenga, però che fu quasi uno
rimutamento di secolo della nostra città.
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