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Giovanni Villani
Nuova cronica

IntraText CT - Lettura del testo

  • Tomo terzo
    • Libro dodecimo
      • III               Questa è la lettera e sermone che il re Ruberto mandò a' Fiorentini per cagione del detto diluvio.
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III

 

           

Questa è la lettera e sermone che il re Ruberto mandò a' Fiorentini per cagione del detto diluvio.

           

Ai nobili e savi uomini priori dell'arti, e gonfaloniere di iustizia, consiglio e Comune della città di Firenze, amici diletti e devoti suoi, Ruberto per la grazia di Dio di Ierusalem e di Cecilia re, salute e amore sincero. Intendemo con amaritudine di tutto il cuore, e con piena compassione d'animo, lo piangevole caso e avenimento di molta trestizia, cioè il disaveduto e sùbito accidente, e molto dannoso cadimento, il quale per soprabondanza di piene d'acque, per divino consentimento in parte aperte le cataratte del cielo, venne nella vostra cittade; li quali casi né a·nnoi conviene altrimenti sporli, né da Voi altrementi imputarli, se non come la Scrittura divina dice, cotali cose a caso avenire. Non si convienennoi, il quale per la reale condizione la veritade hae a conservare, d'essere amico lusinghiere, né di riprendere la iustizia di Dio, dicendo che voi siate innocenti. La dottrina dell'Apostolo dice: “Se noi diremo che noi non abbiamo peccato, noi inganniamo noi medesimi, e non fia in noi veritade”. Adunque li nostri peccati richeggiono che non solamente che noi incorriamo in questi pericoli, ma eziandio in maggiori. Noi dovemo apropiare il singulare diluvio alli particulari peccati, siccome lo universale diluvio fue mandato da Dio per li universali peccati, per li quali ogni carne avea abreviata la via sua de l'umana generazione. Noi conosciamo l'ordine di queste pestilenzie per la scrittura del Vangelio, però che poi la verità di Dio antimise la sconfitte date da li nemici, soggiunse li diluvii de le tempeste, per le quali parla santo Gregorio dicendo così sopra il Vangelio, dov'è scritto "Saranno segni nel sole e ne la luna etc.": “Noi sostenemo”, dice santo Gregorio, “sanza cessamento, avegna che prima che Italia fosse conceduta ad essere fedita dal coltello de' pagani, io vidi in cielo schiere di fuoco, e vidi colui medesimo splendiente di splendori al modo del balenare, il quale poi isparse il sangue umano. La confusione del mare e delle tempeste nonn-è solamente nuova levata, ma con ciò sia cosa che molti pericoli già anunziati e compiuti sieno, non è dubbio che non seguitino eziandio pochi, i quali restano a cotale imputazione, di passare a nostra corezzione, non a stravolgimento di disperazione”. E noi crediamo intra queste cose non solamente la iustizia di Dio essere nutrice di costoro, ma crediamo la bontà divina essere sì come madre pietosamente correggente e in meglio commutante, dicente santo Agustino nel sermone del bassamento de la città di Roma: “Idio anzi il giudicio opera disciplina molte volte non eleggendo colui cui elli batta, non volendo trovare cui elli condanni”. E egli medesimo dice sopra quello verso del salmo: “Sì come viene meno il fumo, vengono meno ellino; tutto ciò che di tribulazioni noi patiamo in questa vita, è battitura di Dio, il quale ne vuole correggere, acciò che nella fine non ne condanni”. Imperciò santo Agustino medesimo nel predetto sermone delle tribolazioni e pressure del mondo dice: “Quante volte alcuna cosa di pressura e di tribulazioni noi sofferiamo, le tribulazioni sono insiememente nostre correzzioni”. Ma in queste cose con molto studio è da guardarci, che noi alcuna cosa notabilmente non meritiamo de li nostri meriti, e che noi non ci maravigliamo, quasi s'elle non fossono cagioni di queste tribulazioni quelle cose che·nnoi dicemo; però che Agustino medesimo dice nel sermone dell'abassamento di Roma: “Maravigliansi li uomini; or si maravigliassono ellino solamente e non bestemiassero”. Ancora è da schifare per queste cose il mormorare contra Dio, sì come la nostra niquitade biasimasse la divina dirittura, e sì come se le nostre inumerabili e grandissime colpe riprendessono la somma iustizia; sì come n'amonisce Agustino nel predetto sermone delle tribulazioni del mondo, dicendo: “O fratelli, nonn-è da mormorare, sì come alcuni di coloro mormorano”. E l'Apostolo dice: “E' furono vasi di serpenti”. Or che cosa disusata sostiene ora l'umana generazione, la quale non patissono li nostri padri? Ancora c'è un'altra cosa: poco sarebbe riconoscere i peccati, se quello non si propone a schifare per inanzi quelli. In quello caso nonn·è da dubitare che colui che pregherà per perdonanza quella con orazioni impetri, e così acquisti la divina grazia, e schiferàe la rigidezza del iudicio, sì come per lo savio Salamone si dice: “Figliuolo, tu peccasti, or non vi arrogere più; ma priega de li passati peccati, ch'elli ti sieno dimessi”. Noi leggiamo d'altre cittadi, le quali per li loro gravi peccati con ampia vendetta diceano esere disfatte, essere riserbate, e rivocata la sentenzia per penitenzia e per orazioni. Al tempo d'Arcadio Imperadore volendo Idio fare paura alla città di Gostantinopoli, e spaurendola per amendarla, revelòe a uno fedele uomo che quella città dovea perire per fuoco da cielo. Costui lo manifestòe al vescovo, e 'l vescovo il predicò al popolo. La città si convertìe in pianto di penitenzia, siccome già fece l'antica Ninive. Venne il dìe che Idio avea minacciato, e ecco di verso levante una nuvola con puzzo di solfo, e stette sopra la cittade, acciò che li uomini non pensassono che colui ch'avea così detto fosse per falsitade ingannato; e fuggendo li uomini a la chiesa, la nuvola cominciò a scemare, e a poco a poco si disfece, e il popolo fue fatto sicuro. Siccome Agostino nel detto sermone introduce: “Secondo questo Idio per bocca di profeta avea avanti detto che·lla ismisurata città di Ninive si dovea disfare; e troviamo che essa fue deliberata per asprezza di penitenzia, e per grido d'orazione, né da la penitenzia e d'adorare non siano di lungi le limosine loro salutevoli compagne, secondo il consiglio di Daniello dato a Nabocodonosor, che con elimosine ricomperasse le sue peccata, e ratemperasse la sentenzia di Dio contra lui pronunziata”. Aguardiamo insieme dunque lo spaventevole giudicio, e pensiamo di cercare il remedio, ma schifiamo il rimanente che è da temere; per le quali cose non le nostre parole, ma quelle del Salvatore profferiamo in mezzo; e elli disse: “Or pensate voi che quelli XVIII sopra li quali cadde la torre in Siloe e uccisorli fossono colpevoli sanza tutti li altri abitanti in Ierusalemme? No, io dico a voi; ma se voi non farete penitenzia, simigliantemente perirete”. Dove Tito dice: “Una torre è aguagliata a la cittade, acciò che·lla parte spaventi il tutto; quasi dica tutta la cittade poco poi fia occupata, se·lli abitanti perseverranno nella infedelitade”. La qual cosa mostra Beda, dicendo: “Però ch'ellino non fecero penitenzia, nel quarantesimo anno de la passione di Cristo, li Romani, cominciando da Galilea ond'era cominciata la predicazione del Segnore, l'empia gente infino a le radici distrussero”. Ma acciò che per quelle parole ch'avemo dette di sopra non siamo giudicato grave amico, e acciò che noi non inganniamo li meriti de le vostre virtudi, le quali ci confidiamo essere acetti ne la benignitade di Dio, atendendo a la divina Scrittura, la quale non pur riprende li presuntuosi per amaestrarli, ma adolcisce li aflitti, acciò che per remedio di consolazione li conforti spesse volte in suoi luoghi; queste cotali passioni e pressure confessiamo che vengono per provarci; però che in quello che Idio esamina si loda la vertude della pazienzia in noi. L'Apostolo testimoniò: “La sua pietosa provedenza non ci lascia tentare oltre la nostra possa, ma la contentazione fae frutto”. Quale utilitade cerchiamo noi fedeli maggiore, che cotali miserie noi prendiamo efficace argomento de l'amore di Dio che ne apruova perché e al proponimento a voi santo e religioso cherico Iudit femenina per esemplo dirizza e manda la seguente parola: “E ora, o fratelli, però che voi che siete preti nel popolo di Dio, da voi dipende l'anima di coloro al vostro parlare, dirizziate li cuori loro, sì chè·ssi ricordino coloro che sono tentati che li nostri padri furono tentati, acciò che fossono provati s'elli adoravano veramente Idio suo: ricordare si debbono come 'l padre nostro Abraam fu tentato, e provato per molte tribulazioni fatto è amico di Dio; così fue Isaac, così Iacob, così Moisè, e tutti quelli che piacquero a Dio, per molte tribulazioni passarono fedeli”. Onde e a Tobia disse l'angelo: “Però che tu eri caro a Dio, fue necessario che la tentazione ti provasse”. Or crediamo noi e voi esere migliori e più inocenti che li nostri padri patriarchi, i quali per tante miserie di battiture o mandate o concedute da Dio trapassaro i santi? O desdegnamo, o maggiormente indegnamo noi degni membri di patire quelle cose le quali non ischifarono gli apostoli, nostro corpo la Chiesa, nostro capo Cristo, cioè il fuoco, il ferro, li martirii villani, noi quasi dischiattati, e come non apartenessimo loro, e come non partefici di loro fortuna, o forse più santi, con impazienzia portiamo cotali cose? Ma·sse per impazienzia ch'è in noi, elli ci pare troppo malagevole seguitare li padri di ciascuno testamento, almeno non disdegnamo per pazienzia le virtudi prendere esempli da l'infedeli prencipi e filosofi, li quali furono: come scrive Seneca, libro primo dell'ira, di Fabio, che prima vinse l'ira sua che Anibale; e Iulio Cesare nel libro della vita de' Cesari; e d'Ottaviano Agusto nel Policrato libro terzo, capitolo XIIII; di Domiziano, sì come testimonia il bello parlatore Licinio; ed Antigone re, secondo Seneca, libro terzo dell'ira; e de la pazienzia de' filosofi, cioè di Socrate libro terzo di Seneca de l'ira, e di Diogenes libro III dell'ira, anzi il fine, a ciò che non passi il manifesto od occulto lamentamento d'alcuno o d'alcuni, sì com'è contradio. Ancora per li mormoramenti de li credenti che dicono che questi tempi sono peggiori che gli antichi tempi e che Idio hae riserbato la indegnazione dell'ira sua infino ad ora e ch'elli hae serbati li presenti die a spandere quella, leggano overo odano li leggenti da Adam fatiche e sudore, spine, e triboli, diluvio, dicadimento; trapassarono tempi pieni di fatica, di fame e di guerre, e però sono scritte, a ciò che noi non mormoriamo del presente tempo contra Dio. Passò quel tempo appo li padri nostri, remotissimi molto da li nostri temporali, quando il capo dell'asino morto si vendéo altrettanto auro; quando lo sterco colombino si comperòe non poco argento; quando le femine patteggiaro insieme del manicare i loro fantolini. Or non avemo noi in orrore udire quelle cose? Tutte quelle cose leggiutole, spaventiamocene sì, che noi avemo maggiormente onde ci allegrare, che onde mormorare delli nostri tempi. Quando fue dunque bene a l'umana generazione? quando non paura? quando non dolore? quando certa felicitade? quando non vera felicitade? dove fia la vita sicura? Or non è questa terra quasi una grande nave portante uomini tempestanti, pericolanti, soggiacenti a tanti marosi, a tante tempeste, tementi il pericolare, sospirante in porto, ed è compensare la conoscente e grata ragione de la vostra considerazione, e il pensamento della diritta bilancia, quanto in ricchezze in morbidezze in potenzia, e, cittadini, Idio la vostra cittade nobilitòe, scampòe, e sopra tutte le vicine, anzi remote cittadi, sanza comparazione esaltò, sì ch'ella puote essere asomigliata ad adornato albore fronzuto e fiorito dilatante li rami suoi infino a termini del mondo. Per tanti e sì grandi benificii temporali non vi divieti l'aversitade di dire le vostre lingue col santo Iob: “Se noi riceviamo li beni da la mano del Signore, perché non sostenemo li mali?”. Ancora queste aflizzioni alcuna volta salutevolemente ne sono mandate, e avegnonci a spirituale profitto, però che·sse alcuna volta non ne fossono mandate o permesse da Dio, noi ci crederemmo qui avere cittadi stabili e dimoranti, e poco cureremo di cercare de l'etterna, con san Piero dicendo: “Buono è a noi essere qui”. Ma li mali che più ne priemono ci fanno passare a cielo, e intendere a la futura gloria. E se per aventura alcuno svergognato o arrogante presumisce di storcersi contro a l'opera de lo etterno artefice, intenda risponderellui la bontade delle creature, la quale il fabricatore di tutte le cose dal principio raguardòe nelle sue creature. Se il fiume, il quale aministròe tanti dilettamenti e tante grandi uttilitadi dal cominciamento de la tua cittade, perché gravemente porti se una volta con disusato allagare ti fece alcuni danni?Ma diràe un altro calognatore, però che noi dicemo dinanzi che le tribulazioni ne sono amonimenti e correzzioni, dicono, a ciò ch'io diventi migliore sono puniti quelli, perch'io viva quelli muoiano, perch'io sia serbato quelli sono perduti. “None perciò”, dice santo Giovanni Grisostimo, “ma sono puniti per li loro peccati propi, ma fassi di questo a quelli che veggono materia di salvarsi”. Or forse si leveranno contro invidiosi, iudicando voi per lo partimento del detto cadimento essere i·maggiori peccati intrigati di loro, e per questo esere più odiosi a Dio? anzi si crederanno esser più giusti di voi, e meno colpevoli e più graziosi al giusto iudice?Questi di vero per quello medesimo errore antimetteranno per suoi meriti il re Salomone certamente pacifico, a cui fu riserbato lo edificare del tempio, e ne' cui tempi sottorise la tranquillitade della pace, e il cui regno non cognobbe guerra, al suo padre David santissimo, a cui fue interdetto l'edificare di quello medesimo tempio, lo quale fue nomato da Dio uomo spanditore di sangue, il quale e sotto essere provocato da continui pericoli di guerre, e due volte da Dio manifestamente e piuvicamente fu corretto. In quello medesimo modo coloro che non sanno li santi libri diranno che·lli amici di Iob fossono più inocenti di lui, e antimetteranno loro nel riguiderdonamento; imperciò che noi non leggiamo ch'elli fossono esaminati da Dio nelle pestilenzie sì come Iob, però che di vero elli non erano auro o argento da provare ne la fornace del fuoco, né da riporre nel tesauro del sommo re, ma erano maggiormente paglia o letame, le quali messe in sul fuoco gettano puzzo spiacente a Dio e abominevole alli uomini. Or giudicheremo noi per simile cechitade che·lli marinari fossono migliori che Ionas il profeta, per lo quale si pruova che si levòe la tempesta, e però fue sommerso in mare e tranghiottito dal pesce, lo quale fue messaggio di Dio banditore di penitenzia, e figura di Cristo passuro, e li marinari furono pagani e adoratori d'idoli? Non maraviglia, se·lle grazie e prerogative di vertudi che noi dicemmo, Idio raguardò in voi, le quali elli esamini; e provate, guiderdoni e coroni voi, li quali siete conosciuti sempre essere stati in italia chiaro braccio della Chiesa e nobile fondamento di tutta la fede. Non si maraviglino dunque li rimproveranti invidiosi, se un poco inanzi con le promesse sentenzie della santa Scrittura noi mostriamo per la pruova delle vostre virtudi voi essere acetti a Dio, aprovati al suo beneplacimento. Se impertanto voi riconoscerete umilemente che per li vostri peccati voi incorreste nelli predetti danni, e comportateli con virtù di pazienza, con pagamenti per ciò di divote voci rendere grazie. Dice il sapientissimo re: “Figliuolo mio, non gittare la disciplina del Segnore, e non fallare quando da·llui se' corretto; colui cui il Segnore ama, sì 'l gastiga, e come padre in figliuolo si compiace”. La quale sentenzia non isdegna d'allegare l'Apostolo nelle sue pistole, dicendo: “Figliuolo mio, non mettere i·non calere la disciplina del Segnore, né ti sia fatica, quando da·llui sarai ripreso: colui cui il Segnore ama si 'l gastiga; elli batte chiunque elli riceve in figliuolo”. Ecco adunque per le soprascritte cose avete chiaramente che per le pressure delle predette passioni si dimostrano in voi esere virtudi e meriti, e che non solamente voi siete ricevuti in amici da Dio, ma spezialmente da·llui siete in figliuoli adottati. A li figliuoli a' quali s'impone la disciplina non solamente remunerazione si promette, ma·ssi serba loro certa ereditade. Appare dunque per la vertade della santa Scrittura che·lle virtudi e li meriti sono remunerati dal iustissimo re delli re, eziandio in alcuni di vero; ne' quali publicamente, manifestamente eziandio, rilucono temporalmente, ad esemplo del mutamento de' buoni, sì come è scritto del beato Iob, al quale furono restituiti dupplicati per li perduti beni; ma nelli altri più preziosi, e migliori sanza comparazione, si serba il meritamento nella futura gloria. Li predetti amonimenti, li quali noi stimiamo non esere alla vostra prudenzia tanto soperchi quanto necessarii, provedemo di mandare per debito di caritade alla vostra dilezzione, e ancora le compassioni a le quali ci condogliamo con tutte le interiora dell'amistade, e le consolazioni de' veri libri vi soggiugnemo, a le quali d'abondante offeriamo d'agiugnere quelle consolazioni di fatto che noi fare possiamo, altre volte oferte; ma la promessa nostra lettera, pochi dìe poi che a·nnoi fue manifesto il sopradetto vostro caso, ordinammo di mandarvi, ma però che 'l presente di più persone contenea molto meno, ritenne quella più tostamente essere venuta, il mandare d'essa sospendemo. Ma ora piùe deliberatamente provedendo, e estimando in ogni caso che s'apartenea a vostra informazione e a vostra cautela, vi mandiamo; né alla vostra amistà rincresca di bene leggere la lunghezza della presente lettera, la quale non rincrebbe a noi di compilare intra tante e sì faticose sollicitudini.

Data a Napoli sotto il nostro secreto anello, di II di dicembre, seconda indizione, anni MCCCXXXIII.

 




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