Indice | Parole: Alfabetica - Frequenza - Rovesciate - Lunghezza - Statistiche | Aiuto | Biblioteca IntraText
Giovanni Villani
Nuova cronica

IntraText CT - Lettura del testo

  • Tomo terzo
    • Libro dodecimo
      • CXVIII               Come in Firenze fu fatta una grande congiurazione, e·lla città fu a romore e ad arme.
Precedente - Successivo

Clicca qui per nascondere i link alle concordanze

CXVIII

 

           

Come in Firenze fu fatta una grande congiurazione, e·lla città fu a romore e ad arme.

           

Tornando a nostra matera in raccontando l'aversità occorse alla nostra città di Firenze in questi tempi per lo suo male reggimento, mi fa molto turbare la mente sperando peggio per l'avenire. Considerando che per segni del cielo, né per pistolenze di diluvio, né di mortalità, e di fame, i cittadini non pare che temano Iddio, né si riconoscano di loro difetti e peccati; ma al tutto abandonata per loro la santa carità umana e civile, e solo a baratterie e tirannia con grande avarizia reggere la republica. Onde mi fa temere forte del giudicio d'Iddio. E acciò che meglio si possano intendere le motive delle disensioni e delle novità occorse, e perché sia assempro a que' che sono a venire, acciò che mettano consiglio e riparo a simili casi, sì il narreremo brievemente il difetto del male reggimento ch'allora era in Firenze, e quello ne seguì di male, bene che non sia però scusa di mali adoperanti contra il Comune. Per difetto di mali uficiali e reggenti la città di Firenze si reggea allora e poi un tempo per due per sesto di maggiori e più possenti popolani grassi. Questi non volieno a reggimentoparicompagnoni, né all'uficio del priorato né agli altri conseguenti ufici mettere, se non cui a·lloro piacea, che facessonolloro volontà, schiudendo molti de' più degni di loro per senno e per virtù, e non dando parte né a grandimezzaniminori, come si convenia a buono reggimento di Comune. E oltre a questo, non bastando loro la signoria del podestà, e quella del capitano del popolo, e quella dell'asecutore degli ordini della giustizia contro a' grandi, ch'erano ancora di soperchio a buono reggimento comune, si criarono l'uficio del capitano della guardia; e a·cciò elessono e feciono ritornare in Firenze messer Iacopo Gabrielli d'Agobbio, uomo sùbito e crudele e carnefice, con C uomini a cavallo e CC a piè al soldo del Comune, ed elli con grosso salaro, acciò che facesse a senno de' detti reggenti. Il quale a guisa di tiranno, o come esecutore di tiranni, procedea di fatto in civile e cherminale a sua volontà, come gli era posto in mano per li detti reggenti, sanza seguire leggi o statuti, onde molti innocenti condannòttorto inn-avere e in persona, e tenea i cittadini grandi e piccoli in grande tremore, salvo i suoi reggenti, che col suo bastone faceano le loro vendette e talora l'offeselle baratterie; non ricordandoci noi Fiorentini ciechi, overo infignendoci di ricordare quello di male ch'avea operato il detto meser Iacopo al simile uficio l'anno MCCCXXXV, e poi mesere Accorrimbono: onde per loro difetto era fatto divieto X anni, e no·llo oservaro. Di questo inniquo uficio e reggimento erano mal contenti i più di cittadini, e massimamente i grandi e possenti; e però certi grandi cercaro cospirazione in città per abattere il detto mesere Iacopo, e suo uficio e suoi seguaci reggenti. E più tosto li fece muovere, che in que' tempi fu condannato per lo detto mesere Iacopo mesere Piero de' Bardi in libre VIm, perch'avea offeso un suo fedele da Vernia, non istrettuale di Firenze, onde gli parve ricevere torto. E meser Andrea de' Bardi era costretto di rendere al Comune il suo castello di Mangone, ch'elli s'avea comperato. Questi Bardi erano di più possenti cittadini di Firenze d'avere e di persone; e di loro danari aveano comperato dalla figliuola d'Alberto conte Vernia e Mangone, e il castello dal Pozzo da' conti da Porciano, onde il popolo di Firenze era male contenti, però che il Comune vi cusava suso ragione, come inn-adietro inn-alcuna parte facemmo menzione. Per lo detto sdegno e superbia di Bardi, e simile di Frescobaldi, per una condannagione fatta a meser Bardo Frescobaldi di libre IIImDCC per la pieve a San Vincenzo (disserottorto furono capo della detta congiura e cospirazione, con tutto ch'assai dinanzi fosse conceputo per lo male reggimento, come detto è adietro). Co' detti Bardi teneno parte di Frescobaldi e di Rossi, e di più case di grandi, e d'alcuna possente di popolani di qua da Arno; e rispondea loro il conte Marcovaldo, e più suoi consorti da' conti Guidi, i Tarlati d'Arezzo, i Pazzi di Valdarno, Ubertini, Ubaldini, Guazalotri da Prato, i Belforti di Volterra e più altri, e ciascuno dovea venire con gente a cavallo e a piè in gran quantità, e mandare la notte di Tutti Santi; e·lla mattina vegnente, come le genti fossero allo esequio de' morti, levare il romore e correre la città, e uccidere mesere Iacopo Gabrielli e' caporali de' reggenti, e abattere l'uficio di priori e rifare in Firenze nuovo stato, e·cchi disse disfare il popolo. E sarebbe loro venuto fatto certamente per la loro forza e séguito, se non che 'l sopradetto meser Andrea de' Bardi, o che·lli paresse mal fare, o per altra cagione o quistione con suoi consorti, manifestò la detta congiura a Iacopo degli Alberti suo cognato e di caporali reggenti. Incontanente il detto Iacopo il rivelò a' priori e agli altri suoi compagni reggenti, essi guerniro d'armi e di gente, essendo la città in gran paura e sospetto, e ciascuna parte temea di cominciare. Ma acciò ch'a' congiurati non giugnesse il loro sforzo, il d'Ognisanti nel MCCCXL, in sull'ora di vespro, i caporali de' reggenti salirono in sul palagio de' priori, e quasi per forza feciono sonare a stormo la campana del popolo, che alcuno di priori amici de' Bardi la contesono assai, ciò fu meser Francesco Salvesi e Taldo Valori, l'uno priorell'altro gonfaloniere per porta San Piero; onde molto furon ripresi di presunzione, e·cche sentissono il trattato. Come la campana cominciò a sonare, tutta la città fu commossa a romore, e ad arme a cavallo e a piè, in sulla piazza de' priori co' gonfaloni delle compagnie, gridando: “Viva il popolo e muoiano i traditori!”. E incontanente feciono serrare le porte della città, acciò che gli amici e soccorso de' congiurati non potessono entrare nella città, i quali i più erano in via e presso alla terra per entrare la notte con gran forza di gente. I congiurati veggendo scoperto il loro trattato e fallito il loro aiuto, che quasi nullo di loro congiurati di qua dall'Arno rispuose loro né·ssi scopersono per paura del popolo, e 'l popolo commosso a furore contro a' congiurati, si tennero morti, e intesono solo al loro scampo e riparo, guardando i detti casati d'Oltrarno i capi de' ponti, saettando e uccidendo chi di volesse passare; e misono fuoco a capo di due ponti di legname, ch'allora v'erano, l'uno contra le case de' Canigianill'altro di Frescobaldi; acciò che 'l popolo nogli assalisse, credendosi tenere il sesto d'Oltrarno tanto che 'l soccorso venisse. Ma·cciò venne loro fallito, che i popolani d'Oltrarno francamente gli ripugnaro, e tolsono loro i ponti coll'aiuto di popolani di qua dall'Arno, ch'andarolloro aiuto per lo ponte alla Carraia. Messer Iacopo Gabrielli capitano si stava armatoccavallo in sulla piazza colla cavalleria, con gran paura e sospetto, sanza usare alcuno argomento o riparo di savio e valente capitano; istando fino alla notte quasi come stupefatto; onde molto fu biasimato. Ma il valente messer Maffeo da Ponte Carradi, allora nostro podestà, francamente con sua compagnia armato a cavallo passò il ponte Rubaconte con pericolo grande e rischiò di sua persona, e parlò a' congiurati con savie parole e cortesi minacce, li condusse la notte sotto sua sicurtà e guardia a partirsi fuori della città per la porta da San Giorgio, sanza quasi romore d'uomini o spargimento di sangue, o incendio o ruberie, onde molto fu commendato, ch'ogni altro modo era con grande pericolo della cittade. E come furono partiti, il popolo s'aquetò, e l'altro di apresso fatta di loro condannagione si disarmaro i popolani, e ciascuno fece i suoi fatti come prima. Per sì fatto modo guarentì Idio la nostra città di grande pericolo, non guardando a' nostri peccati e male reggimento di Comune; ma per non essere di tanto benificio gratidDio, la detta congiura ebbe apresso di male sequele a danno della nostra città, come inanzi si farà menzione.

 




Precedente - Successivo

Indice | Parole: Alfabetica - Frequenza - Rovesciate - Lunghezza - Statistiche | Aiuto | Biblioteca IntraText

Best viewed with any browser at 800x600 or 768x1024 on Tablet PC
IntraText® (V89) - Some rights reserved by EuloTech SRL - 1996-2007. Content in this page is licensed under a Creative Commons License