CXVIII
Come in
Firenze fu fatta una grande congiurazione, e·lla città fu a romore e ad arme.
Tornando a nostra
matera in raccontando l'aversità occorse alla nostra città di Firenze in questi
tempi per lo suo male reggimento, mi fa molto turbare la mente sperando peggio
per l'avenire. Considerando che per segni del cielo, né per pistolenze di
diluvio, né di mortalità, e di fame, i cittadini non pare che temano Iddio, né
si riconoscano di loro difetti e peccati; ma al tutto abandonata per loro la
santa carità umana e civile, e solo a baratterie e tirannia con grande avarizia
reggere la republica. Onde mi fa temere forte del giudicio d'Iddio. E acciò che
meglio si possano intendere le motive delle disensioni e delle novità occorse,
e perché sia assempro a que' che sono a venire, acciò che mettano consiglio e
riparo a simili casi, sì il narreremo brievemente il difetto del male
reggimento ch'allora era in Firenze, e quello ne seguì di male, bene che non
sia però scusa di mali adoperanti contra il Comune. Per difetto di mali
uficiali e reggenti la città di Firenze si reggea allora e poi un tempo per due
per sesto di maggiori e più possenti popolani grassi. Questi non volieno a
reggimento né pari né compagnoni, né all'uficio del priorato né agli altri
conseguenti ufici mettere, se non cui a·lloro piacea, che facessono a·lloro
volontà, schiudendo molti de' più degni di loro per senno e per virtù, e non
dando parte né a grandi né mezzani né minori, come si convenia a buono
reggimento di Comune. E oltre a questo, non bastando loro la signoria del
podestà, e quella del capitano del popolo, e quella dell'asecutore degli ordini
della giustizia contro a' grandi, ch'erano ancora di soperchio a buono
reggimento comune, si criarono l'uficio del capitano della guardia; e a·cciò
elessono e feciono ritornare in Firenze messer Iacopo Gabrielli d'Agobbio, uomo
sùbito e crudele e carnefice, con C uomini a cavallo e CC a piè al soldo del
Comune, ed elli con grosso salaro, acciò che facesse a senno de' detti
reggenti. Il quale a guisa di tiranno, o come esecutore di tiranni, procedea di
fatto in civile e cherminale a sua volontà, come gli era posto in mano per li
detti reggenti, sanza seguire leggi o statuti, onde molti innocenti condannò
a·ttorto inn-avere e in persona, e tenea i cittadini grandi e piccoli in grande
tremore, salvo i suoi reggenti, che col suo bastone faceano le loro vendette e
talora l'offese e·lle baratterie; non ricordandoci noi Fiorentini ciechi, overo
infignendoci di ricordare quello di male ch'avea operato il detto meser Iacopo
al simile uficio l'anno MCCCXXXV, e poi mesere Accorrimbono: onde per loro
difetto era fatto divieto X anni, e no·llo oservaro. Di questo inniquo uficio e
reggimento erano mal contenti i più di cittadini, e massimamente i grandi e
possenti; e però certi grandi cercaro cospirazione in città per abattere il
detto mesere Iacopo, e suo uficio e suoi seguaci reggenti. E più tosto li fece
muovere, che in que' tempi fu condannato per lo detto mesere Iacopo mesere
Piero de' Bardi in libre VIm, perch'avea offeso un suo fedele da Vernia, non
istrettuale di Firenze, onde gli parve ricevere torto. E meser Andrea de' Bardi
era costretto di rendere al Comune il suo castello di Mangone, ch'elli s'avea
comperato. Questi Bardi erano di più possenti cittadini di Firenze d'avere e di
persone; e di loro danari aveano comperato dalla figliuola d'Alberto conte
Vernia e Mangone, e il castello dal Pozzo da' conti da Porciano, onde il popolo
di Firenze era male contenti, però che il Comune vi cusava suso ragione, come
inn-adietro inn-alcuna parte facemmo menzione. Per lo detto sdegno e superbia
di Bardi, e simile di Frescobaldi, per una condannagione fatta a meser Bardo
Frescobaldi di libre IIImDCC per la pieve a San Vincenzo (dissero a·ttorto
furono capo della detta congiura e cospirazione, con tutto ch'assai dinanzi
fosse conceputo per lo male reggimento, come detto è adietro). Co' detti Bardi
teneno parte di Frescobaldi e di Rossi, e di più case di grandi, e d'alcuna
possente di popolani di qua da Arno; e rispondea loro il conte Marcovaldo, e
più suoi consorti da' conti Guidi, i Tarlati d'Arezzo, i Pazzi di Valdarno, Ubertini,
Ubaldini, Guazalotri da Prato, i Belforti di Volterra e più altri, e ciascuno
dovea venire con gente a cavallo e a piè in gran quantità, e mandare la notte
di Tutti Santi; e·lla mattina vegnente, come le genti fossero allo esequio de'
morti, levare il romore e correre la città, e uccidere mesere Iacopo Gabrielli
e' caporali de' reggenti, e abattere l'uficio di priori e rifare in Firenze
nuovo stato, e·cchi disse disfare il popolo. E sarebbe loro venuto fatto
certamente per la loro forza e séguito, se non che 'l sopradetto meser Andrea
de' Bardi, o che·lli paresse mal fare, o per altra cagione o quistione con suoi
consorti, manifestò la detta congiura a Iacopo degli Alberti suo cognato e di
caporali reggenti. Incontanente il detto Iacopo il rivelò a' priori e agli
altri suoi compagni reggenti, essi guerniro d'armi e di gente, essendo la città
in gran paura e sospetto, e ciascuna parte temea di cominciare. Ma acciò ch'a'
congiurati non giugnesse il loro sforzo, il dì d'Ognisanti nel MCCCXL, in
sull'ora di vespro, i caporali de' reggenti salirono in sul palagio de' priori,
e quasi per forza feciono sonare a stormo la campana del popolo, che alcuno di
priori amici de' Bardi la contesono assai, ciò fu meser Francesco Salvesi e
Taldo Valori, l'uno priore e·ll'altro gonfaloniere per porta San Piero; onde
molto furon ripresi di presunzione, e·cche sentissono il trattato. Come la
campana cominciò a sonare, tutta la città fu commossa a romore, e ad arme a
cavallo e a piè, in sulla piazza de' priori co' gonfaloni delle compagnie,
gridando: “Viva il popolo e muoiano i traditori!”. E incontanente feciono
serrare le porte della città, acciò che gli amici e soccorso de' congiurati non
potessono entrare nella città, i quali i più erano in via e presso alla terra
per entrare la notte con gran forza di gente. I congiurati veggendo scoperto il
loro trattato e fallito il loro aiuto, che quasi nullo di loro congiurati di
qua dall'Arno rispuose loro né·ssi scopersono per paura del popolo, e 'l popolo
commosso a furore contro a' congiurati, si tennero morti, e intesono solo al
loro scampo e riparo, guardando i detti casati d'Oltrarno i capi de' ponti,
saettando e uccidendo chi di là volesse passare; e misono fuoco a capo di due
ponti di legname, ch'allora v'erano, l'uno contra le case de' Canigiani
e·ll'altro di Frescobaldi; acciò che 'l popolo nogli assalisse, credendosi
tenere il sesto d'Oltrarno tanto che 'l soccorso venisse. Ma·cciò venne loro
fallito, che i popolani d'Oltrarno francamente gli ripugnaro, e tolsono loro i
ponti coll'aiuto di popolani di qua dall'Arno, ch'andaro i·lloro aiuto per lo
ponte alla Carraia. Messer Iacopo Gabrielli capitano si stava armato a·ccavallo
in sulla piazza colla cavalleria, con gran paura e sospetto, sanza usare alcuno
argomento o riparo di savio e valente capitano; istando fino alla notte quasi
come stupefatto; onde molto fu biasimato. Ma il valente messer Maffeo da Ponte
Carradi, allora nostro podestà, francamente con sua compagnia armato a cavallo
passò il ponte Rubaconte con pericolo grande e rischiò di sua persona, e parlò
a' congiurati con savie parole e cortesi minacce, li condusse la notte sotto
sua sicurtà e guardia a partirsi fuori della città per la porta da San Giorgio,
sanza quasi romore d'uomini o spargimento di sangue, o incendio o ruberie, onde
molto fu commendato, ch'ogni altro modo era con grande pericolo della cittade.
E come furono partiti, il popolo s'aquetò, e l'altro di apresso fatta di loro
condannagione si disarmaro i popolani, e ciascuno fece i suoi fatti come prima.
Per sì fatto modo guarentì Idio la nostra città di grande pericolo, non
guardando a' nostri peccati e male reggimento di Comune; ma per non essere di
tanto benificio grati a·dDio, la detta congiura ebbe apresso di male sequele a
danno della nostra città, come inanzi si farà menzione.
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