CXXXV
Digressione
sopra la detta sconfitta.
Quando fu la
detta sconfitta, noi Giovanni Villani autore di questa opera eravamo in Ferrara
stadico di meser Mastino per lo nostro Comune cogli altri insieme, come dicemmo
adietro; e in due giorni apresso avemmo la novella assai più grave ch'ella non
fu, onde ci cusammo tutti essere prigioni di meser Mastino, stimandoci che 'l
nostro Comune per la detta sconfitta fosse rotto e sbarattato, e che·cci
convenisse ricomperare non solamente Cm fiorini d'oro promessi, ma·lla
redenzione de' prigioni e·lla menda de' cavalli di meser Mastino. E
compiagnendoci insieme amaramente sì del pericolo incorso al nostro Comune, e
sì del nostro propio danno e interesso, uno de' nostri compagni cavaliere
compiagnendosi quasi verso Iddio, mi fece quistione dicendo: “Tu hai fatto e
fai memoria de' nostri fatti passati e degli altri grandi avenimenti del
secolo, quale puote esere la cagione, perché Iddio abbia permesso questo arduo
contro a·nnoi, essendo i Pisani più peccatori di noi, sì di tradimenti sì
d'essere sempre stati nimici e persecutori di santa Chiesa, e·nnoi ubidenti e
benefattori?”. Noi rispondemmo alla quistione, come Iddio ne spirò oltre alla
nostra piccola scienza, dicendo che in noi regnava solo un peccato intra gli
altri che più spiacea a Dio che quelli de' Pisani; ciò era non avere in noi né
fede né carità. Rispuose il gentiluomo quasi commosso, dicendo: “Come la
carità, che più se ne fa in Firenze in uno dì, che in Pisa in uno mese?”. Dissi
ch'era vero; ma per quello membro di carità che·llimosina si chiama, Iddio ci
ha guardati e guarda di maggiori pericoli; ma·lla vera carità è fallita in noi;
prima verso Iddio, di non esere a·llui grati e conoscenti di tanti benifici
fatti e in tanto podere e stato posta la nostra città, e per la nostra
prosunzione non istare contenti a' nostri termini, ma volere occupare non
solamente Lucca, ma l'altre città e terre vicine indebitamente. Come col
prossimo eravamo caritevoli, a ciascuno è manifesto a ditrarre e tradire e
volere disertare l'uno vicino compagno e consorto l'altro, ed eziandio tra
fratelli carnali, e colle pessime usure contro a' meno possenti e bisognosi.
Della fe' e carità verso il nostro Comune e replubica è anche manifesto tutta
esere fallita; che venuto è tempo, per li nostri difetti, che ciascuno
cittadino per una sua piccola utilità ditrae e froda e mette a non calere ogni
gran cosa di Comune, che che pericolo ne corra. Ove i Pisani sono il contrario,
cioè che sono uniti tra·lloro, e fedeli e·lleali al loro Comune, benché in
altre cose sieno così, o maggiori peccatori di noi; ma come disse il nostro
signore Gesù Cristo nel Vangelo: “Io pulirò il nimico mio col nimico mio etc.”.
E fatto silenzio alla detta quistione, che ciascuno fu contento della detta
difinizione, e riconoscemmo i nostri difetti e poca carità tra·nnoi in comune e
in diviso. Il marchese da Ferrara sentendo la nostra turbazione mandò per noi,
e tutti ci ebbe in sua presenza e del suo privato consiglio. Prima dolutosi con
noi del sinistro caso e fortuito avenimento occorso alla nostra gente e alla
sua; ma poi, come il buono padre fa al suo figliuolo, confortandone,
mostrandone la piccola perdita ricevuta, e com'era de' casi della guerra, e da
non curare, potendosi ricoverare, magnificando il nostro Comune di gran
potenzia, e per sé e per li amici dicendo che di ciò si farebbe alta e grande
vendetta, profferendo al nostro Comune tutto suo podere, e di venire in persona
elli o il suo fratello con tutte sue forze, e così ci pregò significassimo al
nostro Comune. E immantenente mandò in Firenze suoi ambasciadori colla detta
proferta, onde prendemmo gran conforto. E per simile modo fece al nostro Comune
meser Mastino e 'l signore di Bologna. Ma meser Albertino da Carrara signore di
Padova fece della nostra sconfitta falò e grande allegrezza per dispetto di
meser Mastino, e avea di sua gente C cavalieri coll'oste de' Pisani contro
a·nnoi; ma male si ricordava o era grato, ma ingratissimo de' benifici ricevuti
elli e' suoi antichi dal nostro Comune. Ed elli, colla nostra potenza e de'
Viniziani, di servo di quelli della Scala fatto signore di Padova, come adietro
facemmo menzione al conquisto di quella. Avemo per questo capitolo fatta sì
lunga digressione sopra la detta nostra sconfitta per dare assempro di correzione
di nostri difetti a' nostri successori, e perch'abbino ricordo e memoria di
quelli che·cci sono stati amici e contrari nella nostra aversità, ritornando
apresso a nostra materia.
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