III
Come il
duca ingannò e tradì i priori e prese la signoria di Firenze.
Per le
sopradette giustizie fatte per lo duca in persone e inn-avere di IIII popolani
delle maggiori case di Firenze di popolo, Medici, Altoviti, Ricci, e Oricellai,
il duca fu molto temuto e ridottato da tutti i cittadini, e i grandi ne presono
grande baldanza, e il popolo minuto grande allegrezza, perch'avea messo mano
ne' reggenti, magnificando il duca, gridando quando cavalcava per la città:
“Viva il signore ”; e quasi in ogni canto o palazzo di Firenze era dipinta
l'arme sua per li cittadini, per avere sua benivolenza, e·cchi per paura. E in
questi tempi ispirò e si compié l'uficio di XX rettori stati in Firenze e
guastatori della republica per le cagioni dette ne' loro processi adietro, e
lasciando il Comune in debito di più di CCCCm di fiorini d'oro a cittadini,
sanza il debito promesso a meser Mastino. Per le quali cagioni il duca ne montò
in grande pompa, e crebbegli la speranza del suo proponimento d'essere al tutto
signore di Firenze col favore di grandi e del popolo minuto; e per consiglio di
certi de' detti grandi ne richiese i priori ch'allora erano all'uficio. I detti
priori cogli altri ordini, dodici e' gonfalonieri, e gli altri consiglieri, in
nulla guisa vollono asentire di sottomettere la libertà della republica di
Firenze sotto giogo di signore a vita, il quale non mai fu aconsentito o
soferto per li nostri padri antichi né a 'mperadori, né a·rre Carlo, né suoi
discendenti, e tanto fossero amici o confidenti in parte guelfa o ghibellina,
né per isconfitte o male stato ch'avesse il nostro Comune. Il detto duca per
sudducimento e conforto quasi di tutti grandi di Firenze, e spezialmente
principali quelli della possente casa de' Bardi, e Frescobaldi, Rossi, e
Cavalcanti, Bondelmonti, e Cavicciuli, e Donati, e Gianfigliazzi, e
Tornaquinci, per rompere gli ordini della giustizia ch'erano sopra i grandi, e
così promise loro il duca; e di popolo: Peruzzi, Acciaiuoli, Baroncelli,
Antellesi e loro seguaci, per cagione del male stato delle loro compagnie,
perché il duca gli sostenea inn-istato, non lasciandoli rompere, né strignere
a' loro creditori; e gli artefici minuti, a·ccui spiacea il reggimento stato
de' XX e di popolari grassi: tutti gli profersono aiuto in arme. Il duca, il
qual era segace e nudrito in Grecia e in Puglia più che in Francia, veggendosi
tanto favore, la vilia di nostra Donna di settembre mandò un bando per la città
di fare parlamento la mattina vegnente in sulla piazza di Santa Croce per bene
del Comune. I priori e gli altri rettori sentendo la traccia del duca e il suo
male consiglio, e non sentendosi forti né proveduti, e temendo che faccendosi
il detto parlamento non fosse discordia, e romore, e commovizione di città, sì
andarono parte de' priori e di loro consiglio la sera a Santa Croce a trattare
acordo col duca; e dopo molta tirata e dibattuta la querela, rimase molto di
notte in questa concordia col duca, che 'l Comune di Firenze gli darebbe la
signoria della città e contado per uno anno, oltre al tempo ch'elli l'avea, con
quella giuridizione e patti e gaggi ch'ebbe meser Carlo duca di Calavra e
figliuolo del re Ruberto gli anni MCCCXXVI; e questo accordo si fermò per
vallate carte per più notai dell'una parte e dell'altra, e per suo saramento
che conserverebbe in sua libertà il popolo e·ll'uficio di priori e gli ordini
della giustizia, riducendosi il detto ordinato parlamento la mattina in sulla
piazza di priori per confermare i patti di su detti. La mattina di nostra
Donna, dì VIII di settembre, il duca fece armare sua gente intorno di CXX
uomini a cavallo, ch'avea in Firenze de' suoi, e da CCC fanti a piè. Ma quasi
tutti i grandi, salvo meser Giovanni della Tosa e' suoi consorti, furonvi
co·llui, ch'aveno cavalli, e i detti popolani suoi amici con armi coperte, e
l'acompagnaro da Santa Croce alla piazza de' priori presso ad ora di terza. I
priori e gli altri ordini scesono del palagio, e assettati a·ssedere col duca sulla
ringhiera, e fatta la proposta per meser Francesco Rustichelli giudice allora
priore e aringando sopra·cciò; ma com'era ordinato il tradimento, non fu
lasciato più dire, ma a grido di popolo per certi scardassieri e popolazzo
minuto, e masnadieri di certi grandi, dicendo: “Sia la signoria del duca a vita
a vita, e viva il duca nostro signore!”. E preso per li grandi pesolone per
metterlo in sul palagio, e perché il palagio era serrato gridarono: “Alle
scure! ”; sicché convenne s'aprisse, e tra per forza e inganno il misono in sul
palagio in signoria; e' priori furono messi di sotto nel palagio nella camera
dell'arme vilmente. E fu per certi grandi istracciato il libro degli ordini e
gonfalone della giustizia, e poste le bandiere del duca in sulla torre, sonando
le campane a Dio laudiamo. E fece la mattina due cavalieri, messer Cerritieri
de' Visdomini suo scudiere e famigliare, e Rinieri di Giotto da San Gimignano
capitano stato di fanti di priori, il quale aconsentì al tradimento a dare e
aprire il palagio, ch'agevole gli era a difendere, com'era tenuto e dovea fare
per suo uficio; e assentì al detto tradimento messer Guiglielmo d'Ascesi allora
capitano del popolo, il quale rimase poi co·llui per suo bargello e carnefice,
dilettandosi di fare crudeli giustizie d'uomini. Ma meser Meliaduso d'Ascoli
allora podestà non volle consentire al tradimento del popolo di Firenze, anzi
volle rinuziare l'uficio della podesteria; ben si disse per alcuno, tutto fece
a frode e ipocresia, però che poi pure rimase uficiale del duca. I grandi
feciono gran festa d'armeggiare, e·lla sera grandi luminare e falò. Ivi a due
dì apresso si fece il duca confermare signore a vita per li opportuni consigli,
e mise i priori nel palagio fu de' figliuoli Petri dietro a San Piero Scheraggio
con XX fanti solamente, ove n'avieno prima cento, levando loro ogni uficio e
signoria; e levò l'arme a tutti i cittadini brivileggiati, o di che stato si
fosse, e poi all'ottava di nostra Donna fece il duca gran festa e solennità a
Santa Croce per la sua signoria, e fece offerere più di CL prigioni; e 'l
nostro vescovo sermonando molto il lodò e magnificò al popolo. In questo modo e
tradimento usurpò il duca d'Atene la libertà della nostra città, e anullò il
popolo di Firenze ch'era durato intorno di L anni, in grande libertà, e stato,
e signoria. E noti chi questo leggerà come Iddio per le nostre peccata in poco
di tempo diede e promise alla nostra città tanti fragelli, come fu diluvio,
carestie, fame, e mortalità, e sconfitte, vergogne d'imprese, perdimenti di
sustanza di moneta, e fallimenti di mercatanti, e danni di credenza, e
ultimamente di libertà recati a tirannica signoria e servaggio. E però, per
Dio, carissimi cittadini presenti e futuri, correggiamo i nostri difetti.
Abbiamo tra noi amore e carità, acciò che piacciamo all'Altissimo, e non ci
rechiamo a l'ultimo giudicio della sua ira, come assai chiaro e aperto ci
mostra per le sue visibili minacce: e questo basti a' buoni intenditori,
tornando a nostra matera de' processi del duca; che poi apresso ch'ebbe la
signoria di Firenze, a dì XXIIII di settembre la signoria d'Arezzo, e quella di
Pistoia, ove avea già suoi vicari il duca per lo Comune di Firenze, gli si
dierono a vita, e poco apresso per simile modo gli si diè Colle di Valdelsa e
San Gimignano e poi la città di Volterra, onde molto li crebbe lo stato e
signoria, e ricolse a·ssé tutti i Franceschi e Borgognoni ch'erano al soldo
inn-Italia, sicché tosto n'ebbe più di DCCC, sanza gl'Italiani; e molti suoi
parenti e baroni vennero a·llui infino di Francia per la novella ita di là
della sua signoria e groria. E quando ciò fu raportato al re Filippo di Francia
suo sovrano, subitamente disse a' suoi baroni che gli erano d'intorno in sua
lingua: “Alberges est le pelegrin, mas il i a mavoes ostes”, il quale fu un
propio motto e di vera sentenzia e profezia, come poco tempo apresso gli
avenne. Ancora nonn-è da dimenticare di mettere in nota una brieve lettera
d'amunizione di grande sentenzia, che·ssi trovò in uno suo forziere quando fu
cacciato di Firenze, la quale gli avea mandata il re Ruberto come seppe ch'egli
avea presa la signoria di Firenze sanza sua saputa o consiglio, la quale di
latino facemmo recare in volgare per seguire il nostro stile, la quale dicea
[...].
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