VIII
Quello che
'l duca d'Atene fece in Firenze mentre ne fu signore.
Come il duca
d'Atene fu fatto a vita signore di Firenze per lo modo detto adietro, per avere
meno a contendere di fuori, e credendosi fortificare dentro il suo stato e
signoria, sì fece di presente pace e accordo co' Pisani e con tutti i loro
allegati, non guardando ad onte o vergogne del Comune di Firenze ricevute, ove
i Fiorentini speravano ch'elli facesse ogni loro vendetta; e a dì XIII
d'ottobre si piuvicò e bandì in questo modo, che·lla città di Lucca rimanesse
a' Pisani per XV anni, e poi lasciarla inn-stato comune, e rimettendo al
presente li usciti guelfi in Lucca che tornare vi volessono, e rendendo loro i
loro beni, mettendovi il duca podestà cui elli volesse, il detto tempo
rimanendo a' Pisani la guardia del castello dell'Agosta ch'è in Lucca, e tutta
la guardia e dominazione della terra, che·lla podestà per lo duca non avea
altro che 'l salaro e 'l nome, che altra signoria poco potea fare più che
piacesse a' Pisani, ma pure era una posessione per lo nostro Comune, e freno a'
Pisani mentre che 'l duca dominava Firenze, e dando i Pisani al duca ogn'anno
per censo per lo san Giovanni VIIIm fiorini d'oro in una coppa dorata
d'argento, faccendo franchi i Fiorentini in Pisa per V anni, ove prima eravamo
franchi per sempre per li patti antichi, rimanendo d'accordo a' Fiorentini
tutte le castella di Valdarno e di Valdinievole, che·ssi tenieno, e Barga e
Pietrasanta; e che i Fiorentini dovessono rimettere in Firenze e trarre di
bando tutti i loro rubelli e usciti, e nuovi e vecchi, stati al servigio e lega
di Pisani, e perdonare agli Ubaldini e Pazzi e Ubertini, e lasciare di prigione
i Tarlati d'Arezzo e rendendo loro pace, e trarre di prigione meser Giovanni
Visconti di Milano; e così fu fatto di presente; al quale meser Giovanni
Visconti il duca vestì nobilemente, e diè cavalli e danari, e fatto acompagnare
infino a Pisa, e domandando a' Pisani il mendo di suoi danni e interessi avuti
per loro, gli ingrati Pisani nol vollono udire, ma apuosogli ch'egli era venuto
in Pisa per trattare cospirazione nella terra per lo duca, e convenne si
partisse villanamente nella terra; della quale cosa meser Luchino signore di
Milano prese molto sdegno contro a' Pisani, come si potrà trovare leggendo. Per
lo detto accordo dal duca a' Pisani tornaro i Bardi e' Frescobaldi e' loro
seguaci in Firenze, e' Pisani lasciarono ogni prigione fiorentino e·lloro
allegati ch'erano presi in Pisa e in Lucca. A dì XV d'ottobre il duca fece
nuovi priori, i più artefici minuti, e mischiati di quelli che loro antichi
erano stati Ghibellini; e diè loro un gonfalone di giustizia così fatto di tre
insegne, ciò fu di costa all'asta l'arme del Comune, il campo bianco e 'l
giglio rosso; e apresso in mezzo la sua il campo azurro biliottato col leone ad
oro, e al collo del leone uno scudetto dell'arme del popolo; apresso l'arme del
popolo il campo bianco e·lla croce vermiglia, e di sopra il rastrello del re; e
mise i priori nel palagetto ove prima stava l'esegutore in sulla piazza con
poco uficio e minore balìa, se non il nome, e sanza sonare le campane a
martello o congregare il popolo, com'era usanza. Del detto nuovo e disimulato
gonfalone i grandi ch'avieno fatto signore il duca e crediansi ch'al tutto il
duca annullasse il popolo in detto e in fatto, come avea promesso loro, si
turbarono forte, e massimamente perché in que' dì fece condannare subitamente
uno de' Bardi in Vc fiorini d'oro o nella mano, perch'avea stretta la gola a
uno suo vicino popolano che·lli dicea villania. E così puttaneggiava e
disimulava il duca co' cittadini, togliendo ogni baldanza a' grandi
che·ll'aveano fatto signore, e togliendo la libertà e ogni balìa e uficio,
altro che 'l nome de' priori, e al popolo; e cassò l'uficio di gonfalonieri
delle compagnie del popolo, e tolse loro i gonfaloni, e ogni altro ordine e
uficiali di popolo cassò, se non a suo beneplacito ritegnendosi co' beccari,
vinattieri, scardassieri e artefici minuti, dando loro consoli e rettori al
loro volere, dimembrando gli ordini antichi dell'arti a·ccui erano sottoposti
per volere maggiori salari di loro lavorii. Per le sudette cagioni e altre
fatte per lui, come si troverrà leggendo assai poco apresso, si criò
conspirazione contro al duca per li grandi e popolani medesimi che·ll'avieno
fatto signore, come tosto si potrà trovare. E fece torre tutte le balestra
grosse a' cittadini, e fece fare l'antiporte al palagio del popolo, e ferrare
le finestre della sala di sotto per gelosia e sospetto de' cittadini, e fece
comprendere tutto il circuito dal detto palazzo a quelli che furono di
figliuoli Petri, e·lle torri e case di Manieri e di Mancini, e di Bello
Alberti, comprendendo tutto l'antico gardingo e ritornando in sulla piazza. E
il detto compreso fece cominciare e fondare di grosse mura e torri e barbacani
per farne col palagio insieme uno grande e forte castello, lasciando il lavorio
di deficare il ponte Vecchio, ch'era di tanta necessità al Comune di Firenze,
togliendo di quello le pietre conce e legname. Fece disfare le case di Santo
Romolo per fare piazza al castello infino nel Garbo. E mandò a corte al papa
per licenza di disfare San Piero Scheraggio, e Santa Cicilia, e Santo Romolo,
ma no·lli fu assentito per la Chiesa. Fece torre a' cittadini certi palagi e
fortezze e belle case ch'erano nelle circustanze del palagio, e misevi suoi
baroni e sua gente sanza pagare alcuna pigione. Fece fare alle porti nuovi
antiporti di costa a' vecchi per più fortezza, e rimurare le porte. Di donne e
di donzelle di cittadini per sé e per sue genti cominciato a·ffare di forze e
villanie e di laide cose; intra·ll'altre per cagione di donna tolse San Sebbio
a' poveri, della guardia dell'arte di Calimala, e diello altrui illicitamente.
E per amore di donna rendé gli ornamenti alle donne di Firenze, e fece fare il
luogo comune delle femmine mondane, onde il suo maliscalco traeva molti danari.
Fece fare le paci tra' cittadini e contadini, e questo fu il meglio che
facesse, ma bene ne guadagnò egli e' suoi uficiali grossamente da coloro
che·lle richiedieno. Levò gli assegnamenti a' cittadini sopra le gabelle, di
danari convenuti loro prestare per forza al Comune per fornire la 'mpresa di
Lombardia e quella di Lucca, come adietro è fatta menzione, ch'erano più di
CCCLm di fiorini d'oro, asegnati in più anni con alcuno guiderdone. E questo fu
gran male, e onde i cittadini più si gravaro, e·ffu rompimento di fede al
Comune; e molti cittadini, che dovieno avere grossamente dal Comune, ne furono
diserti; e recò a·ssé tutte le gabelle, che montavano l'anno più di CCm di
fiorini d'oro sanza l'altre entrate e gravezze. Fece fare e pagare l'estimo in
città e in contado, che montò più di LXXXm di fiorini d'oro, onde i grandi e'
popolani e' contadini, che vivono di loro rendite, si tennono forte gravati. E
quando fece fare l'estimo, promisse e giurò a' cittadini di non fare loro altre
gravezze d'imposte o di prestanze, o di nuove gabelle, ma no·llo oservò, ma al
continovo gravava i cittadini di prestanze, e facea criare e crescere nuove e
sforzate gabelle per uno ser Arrigo Fei; e quelli era suo amico, che sapea
trovare modi d'avere danari, onde che venissono. E in X mesi e XVIII dì ch'elli
regnò gli vennero a mano di gabelle e d'estimo, gravezze, e condannagioni, e
altre entrate presso di CCCCm di fiorini d'oro pure di Firenze, sanza quelli
che traeva delle terre vicine ch'elli signoreggiava, de' quali rimandò tra in
Francia e in Puglia più di CCm di fiorini d'oro, però che non tenea tra tutte
le terre che signoreggiava DCCC cavalieri, e quelli mal pagava; ma al bisogno
della sua rovina se n'avide a suo danno e vergogna. Gli ordini de' suoi
uficiali e consiglieri erano in questo modo. I priori, come avemo detto, erano
in nome, ma non in fatto, sanza alcuna balìa. Era la podestà mesere Baglione da
Perugia, che guadagnava volentieri; messer Guiglielmo d'Ascesi chiamato
conservadore overo assessino di lui e bargello, e stava nel palagio de' Cerchi
bianchi nel Garbo. Tre giudici avea ordinati, che·ssi chiamavano della
Sommaria, che tenieno corte nelle nostre case e cortili e logge de' figliuoli
Villani da San Brocolo; questi giudici rendieno ragione di fatto con molte
baratterie; e uno meser Simone da Norcia giudice sopra rivedere le ragioni del
Comune, ed era più barattiere che coloro cui condannava per baratterie, abitava
nel palagio fu de' Cerchi dietro a San Brocolo. Di suo consiglio era il vescovo
della Leccia sua terra di Puglia; e suo cancelliere Francesco il vescovo
d'Ascesi fratello del conservadore; il vescovo d'Arezzo degli Ubertini, e meser
Tarlato, e il vescovo di Pistoia e quello di Volterra, e messere Attaviano de'
Belforti: questi tenea per sicurtà delle loro terre, e vescovi per una sua
coperta ipocresia. Con cittadini avea di rado consigli, e poco gli prezzava e
meno gli oservava, ristrignendosi solo al consiglio di meser Baglione, e del
conservadore, e di mesere Cerritieri de' Visdomini, uomini corrotti in ogni
vizio a·ssua maniera, faccendo i suoi dicreti di fatto e sotto suo sugello, il
quale il suo cancelliere si facea bene valere. Signore era di poca fermezza e
di meno fede di cosa che promettesse, cupido e avaro e mal grazioso; piccoletto
di persona e brutto e barbucino; parea meglio Greco che Francesco, segace e
malizoso molto. Fece al suo conservadore impiccare meser Piero di Piagenza
uficiale della mercatantia opponendoli baratterie, e che mandava lettere a
meser Luchino da Melano, e·cchi disse li fé in parte torto. Fece costrignere i
mallevadori di Naddo di Cenni, ch'era a' confini a Perugia, che tornasse con
sua sicurtà, e·llui tornato a dì XI di gennaio, non oservandoli fede, il fece
impiccare e colla catena in collo, acciò che non si potesse ispiccare, e tolse
a' suoi mallevadori VmDXV fiorini d'oro, opponendo gli avea frodati al Comune
in Lucca, oltre agli altri levatoli prima, e tutti i suoi beni confiscò a·ssé,
opponendogli ch'egli avea trattato col Comune di Siena e con quello di Perugia
contro a·llui, i quali non amavano la vicinanza e signoria del duca; e forse in
parte fu vero. Questo Naddo fu un sottile e sagace uomo, e molto grande e
prosuntuoso in popolo e in Comune, ma bene guadagnava volontieri. Il padre,
Cenni di Naddo, stato molto grande in Comune, per dolore del figliuolo e tema
del duca si fece frate di Santa Maria Novella, e fece bene dell'anima sua, se
'l fece con buona intenzione, per fare penitenzia delle colpe commesse in
Comune, e spezialmente inn-isturbare l'accordo co' Pisani onorevole assai per
lo nostro Comune, come toccammo adietro. In questi tempi, del mese di marzo,
fece il duca lega e compagnia co' Pisani, e taglia di IIm cavalieri contro a
ogni loro aversaro, i Pisani tenere DCCC cavalieri e 'l duca MCC cavalieri; la
qual compagnia molto spiacque ai Fiorentini e a tutti i Toscani guelfi, e poco
s'oservò, perché non era piacevole mischiato, né buona compagnia. Del mese di
marzo detto il duca fece in contado VI podestadi, uno per sesto, con grande
balìa di potere fare giustizia reale e personale e con grandi salari, e i più
furono de' grandi, che di nuovo erano stati rubelli, rimessi in Firenze di
poco. La qual nuova signoria molto spiacque a' cittadini, e più a' contadini,
che portavano la spesa e gravezza. Fece pigliare uno Matteo di Motozzo, e in su
uno carro atanagliare, e poi tranare sanz'asse, e impiccare, perch'avea
rivelato uno trattato de' Medici e d'altri che doveano offendere il duca, e nol
volle credere, a suo pericolo e danno di quello, gli avenne. L'ultimo dì di
marzo fece impiccare in su Monterinaldi Lamberto degli Abati, il quale era
stato valente uomo all'oste nostra a Lucca della masnada di meser Mastino,
perch'elli gli avea rivelato uno trattato che certi grandi tenieno contro al
duca con meser Guidoriccio da Fogliano capitano della gente di mesere Mastino,
opponendoli il contrario, che tenea trattato con meser Mastino di torli la
signoria. La qual cosa non fu vero, ma·ffu vero quello ch'è detto; ma per le
sue opere vivea in grande sospetto e gelosia, e chiunque gli rivelava trattato
o da beffe o da dovero, o parlava contro a·llui, facea morire; onde più altri
di piccolo affare fece a torto morire di crudeli tormenti per mano del suo
carnefice conservadore di male opere. Per la Pasqua della Resurresione,
MCCCXLIII, tenne gran festa a' cittadini e suoi baroni conostaboli e soldati
con grandi corredi, ma con mala voglia di cittadini, e fece tenere giostre
nella piazza di Santa Croce per più dì, ma pochi cittadini vi giostrarono,
che·ggià a' grandi e a' popolani cominciavano a spiacere i suoi processi. All'uscita
d'aprile MCCCXLIII ordinò e cominciò ad afforzare e chiudere San Casciano e
afforzare per riducervi dentro le villate d'intorno, e che·ssi chiamasse
Castello Ducale, ma poco andò inanzi. Fecesi in Firenze sei brigate di festa,
di gente di popolo minuto vestiti insieme ciascuna brigata per sé, e danzando
per la terra. La maggiore fu nella Città Rossa, e il loro signore si nomò lo
'mperadore. L'altra a San Giorgio col Paglialoco; ed ebbono zuffa tra queste
due. E una ne fu a San Friano, e una nel borgo d'Ognisanti. L'altra in quello
di San Pagolo. L'altra nella via larga delli spadai; e·ffu motiva e assento del
duca per recarsi all'amore della Comune e popolo minuto, per quella sforzata
vanità; ma poco gli valse al bisogno. Per la festa di san Giovanni fece fare
l'oferta all'arti al modo antico sanza gonfaloni, e·lla mattina della festa
oltre a' ceri usati delle castella, ch'erano da XX, ebbe da XXV pali di drappi
ad oro, bracchetti, sparvieri e astori per omaggio d'Arezzo, Pistoia, Volterra,
San Gimignano, Colle, e da tutti i conti Guidi, da Mangona, Cerbaia, e da
Montecarelli, e Puntormo, Ubaldini, Pazzi, e Ubertini, e d'ogni baroncello
d'intorno, che·ffu coll'oferta de' ceri una nobile festa; e raunarsi i detti
ceri e pali e·lli altri tributi in su la piazza di Santa Croce, e poi l'uno
apresso l'altro andaro al palagio ov'era il duca, e poi a San Giovanni. Fece
aggiugnere al palio dello sciamito chermisi di foderallo a rovescio di vaio
isgrigiato quant'era l'asta, ch'era molto ricco a vedere. La festa fece ricca e
nobile, e·ffu la prima e sezzaia che dovea fare in Firenze per le sue opere.
All'uscita di giugno fece fare una sconcia giustizia, che a uno Bettone Cini da
Campi, de' menatori de' buoi dell'antico carroccio, il quale di poco l'avea il
duca fatto di priori, e per la dignità del carroccio vestitolo di scarlatto,
però che, poi ch'elli uscì dell'uficio, si dolfe e disse alcuna parola oziosa
per una imposta gli era fatta per lo duca, gli fece cavare la lingua infino
allo strozzule e con essa inanzi in su una lancia per diligione mandandolo per
la terra, e poi pintone fuori a' confini a Pesero, ove poco apresso per quella
tagliatura della lingua morì. Di questa giustiza si turbaro molto i cittadini,
e ciascuno la riputava in sé di non potere parlare, né dolersi de' torti e
oltraggi; ma la persona di Bettone era degna di quello, e di peggio, ch'egli
era publicano e villano gabelliere, e colla piggiore lingua ch'uomo di Firenze,
sì che morì nel peccato suo. A dì II di luglio il duca fermò compagnia e taglia
con messere Mastino della Scala, e co' marchesi da Esti, e col signore di
Bologna, e co·llui contrasse parentado, ma più gli era utole la compagnia e
benivolenza de' buoni cittadini di Firenze, la quale al tutto s'avea levata e
tolta, e quella che fece con quelli signori poco o niente li valsono al suo
bisogno, e poco durò. Assai avemo detto sopra i processi e opere del duca
d'Atene fatte in Firenze mentre ne fu signore, e non si potea fare di meno,
acciò che sieno manifeste le cagioni perché i Fiorentini si rubellaro della sua
signoria, e prendano assempro per lo innanzi quelli che sono a venire di non
volere signore perpetuo né a vita. Lasceremo alquanto di questa matera,
faccendo incidenza, per raccontare altre novità che furono altrove in questi
tempi, tornando assai tosto a contare la fine ch'ebbe in Firenze la sua
signoria. Ma di tanto volemo fare prima memoria, e questo sentimmo e sapemmo di
vero. Il dì e·ll'ora che prese la signoria, per savi astrolaghi fu preso
l'ascendente che·ffu gradi XXII del segno della Libra, segno mobile e opposito
del segno d'Aries significatore di Firenze, e in termine di Marti, e Marti
nostro significatore era nel detto segno della Libra contrario alla sua casa, e
il suo signore Venus nel Leone gradi VIII faccia di Saturno e contradio alla
sua tripricità. Per la quale costellazione dissono d'accordo che·lla sua
signoria non dovea compiere l'anno, e con mala uscita e vituperevole e con
molti tradimenti e romori con arme, ma con pochi micidi. Ma più credo che fosse
la cagione il suo male reggimento e·lle sue ree opere per lo suo pravo libero
albitro, male usandolo.
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