XVI
Di certe
congiurazioni che furono fatte in Firenze contra il duca d'Atene che·nn'era
signore.
E' si dice
fra·nnoi Fiorentini uno antico e materiale proverbio, cioè: “Firenze non si
muove, se tutta non si duole”; e bene che 'l proverbio sia di grosse parole e
rima, per isperienza s'è trovato di vera sentenzia, e viene a caso della nostra
presente matera; che a certo il duca nonn-ebbe regnato III mesi, che quasi a'
più di cittadini non dispiacesse nella sua signoria per li suoi inniqui e
malvagi processi, come detto avemo adietro, e più ancora che scritto non s'è
per noi; però ch'ogni singulare cosa e sue operazioni nonn-ho potuto sapere né
ricogliere, ma per le generali e aperte assai si può comprendere. Prima che'
grandi che·ll'aveano fatto signore, e aspettavano da·llui stato e grandezza,
come avea loro promesso, sì trovato ingannati e traditi, ed eziandio que'
grandi ch'elli avea rimessi in Firenze, non parea loro esere ben trattati; e i
grandi e possenti popolani che prima avieno retta la terra, ch'al tutto gli
avea anullati e tolto loro ogni stato, onde il nimicavano a morte. A' mediani e
artefici dispiacea la sua signoria per lo non guadagnare, e per lo male stato
della città, e per le 'ncomportabili gravezze sì d'estimo, sì di prestanze, e
d'intollerabili gabelle, e per levare che fece a' cittadini gli asegnamenti
sopra le gabelle di danari prestati al Comune. E dove i cittadini avieno
speranza che per lo suo reggimento scemasse le spese, e desse loro buono stato,
fece il contrario; e per le male ricolte montò il grano in più di soldi XX lo
staio, onde il popolo minuto male si contentava. E per li oltraggi delle donne
fatti per lui e per le sue genti, e altre forze, e crude giustizie, per le
quali cagioni quasi i più di cittadini commossi a mala volontà contro a·llui,
onde più congiurazioni s'ordinaro per torli la signoria e·lla vita, chi per una
forma, e·cchi per un'altra, non sappiendo al cominciamento l'una setta
dell'altra, né s'ardieno a scoprire per le sue crudeli giustizie; che eziandio
chi·lle rivelava gli facea morire, come detto è adietro. E principali furono
III sette e congiurazioni; della prima fu capo il nostro vescovo degli
Acciaiuoli frate predicatore, che al cominciamento delle sue prediche tanto il
magnificava e gloriava, e co·llui tenieno i Bardi; ciò furono principali:
messere Piero, messere Gerozzo, messere Iacopo, e Andrea di Filippozzo, Simone
di Geri, tutti della casa de' Bardi, e rimessi in Firenze per lo duca, e di
Rossi Salvestrino e meser Pino, e più suoi consorti. E de' Frescobaldi i
caporali il priore di Sa·Iacopo meser Agnolo Giramonte anche di rimessi in
Firenze per lo duca, e Vieri delli Scali, e più altri grandi e popolani,
Altoviti, Magalotti, Strozzi, e Mancini. Dell'altra congiura era capo meser
Manno e Corso di meser Amerigo de' Donati, Bindo e Beltramo e Mari de' Pazzi, e
Niccolò di mesere Alamanno, e Tile Benzi de' Cavicciuli e certi degli Albizi.
Della terza era capo Antonio di Baldinaccio degli Adimari, e Medici, e Bordoni,
Oricellai, e Luigi di Lippo Aldobrandini, e più altri popolani mediani. E più
modi si trovò che cercaron di torli la signoria e·cchi la vita, chi con
trattato di Pisani, chi con Sanesi e Perugini e con conti Guidi, alcuni
d'asalirlo in palagio andando al consiglio; ma per sua gelosia, di ciò si provide,
che due volte mutò i sergenti e' famigliari che guardavano il palagio, e per
sospetto fece ferrare le finestre del palagio; alcuni di saettarlo quando
andava per la terra. L'altra setta ordinaro d'asalirlo in casa gli Albizi il dì
di san Giovanni, che vi dovea venire a vedere correre il palio; anche per
sospetto non v'andò. La terza setta aveno ordinato, imperò ch'egli cavalcava
sovente per amore di donna da casa i Bordoni alla Croce a Trebbio. Questi
v'allogaro due case, una da ciascuno capo della via, e quelle guernirono d'arme
e di balestra e di sbarre per asserragliare la via dall'uno capo e dall'altro e
inchiuderlo nel mezzo, e ordinati da L masnadieri arditi e franchi, che 'l
dovieno assalire con certi caporali giovani e grandi e popolani a·ccui ne
calea, e aveano voglia di farlo, e assalito il duca, levare la terra a romore,
e' caporali di fuori dovieno esere in arme a cavallo e a piè al soccorso e per
atterrare lui e sua compagnia; che al principio cavalcava con XXV o XXX di sua
gente disarmati, con alquanti cittadini grandi e popolani, di coloro medesimi
ch'erano congiurati contro a·llui. Ma tanto gli fu messo sospetto, che poi
menava a sua guardia II masnade di L di sue genti a cavallo armati e da C
fanti, e smontato lui da cavallo restavano armati in sulla piazza del palazzo a
sua guardia: ma poco gli valieno al suo riparo per l'ordine preso per le dette
congiure alla sua rovina; però che quasi tutti i cittadini erano commossi
contro a·llui per le sue ree opere. Ma come piacque a Dio, per lo meno male, la
terza setta e congiura, la qual era più pronta a·cciò fare, fu scoperta per uno
masnadiere sanese, che dovea essere a·cciò fare; il rivelò a meser Francesco
Brunelleschi, non per tradimento, ma per consiglio e come a suo signore,
credendo il sapesse e tenesse mano alla congiura; il quale cavaliere per paura
di non esere incolpato, overo per male di suoi nimici, che di tali erano
caporali alla detta congiura, il manifestò al duca, e menogli il detto fante
sotto fidanza, il quale ritenne segreto e disaminollo, e seppe d'alcuno ch'era
de' detti congiurati e caporali di masnadieri; e di presente fece pigliare
Pagolo di Francesco del Manzeca orrevole popolano di porta San Piero, tutto
fosse brigante, e uno Simone da Monterappoli a dì XVIII di luglio, e questi per
tormento confessarono e manifestaro come Antonio di Baldinaccio era loro capo
con più altri; il quale Antonio richesto, per sicurtà di sua grandezza comparì.
Il duca il fece ritenere nel palagio; e·llui preso, tutti gli altri principali
d'ogni setta per tema di loro chi·ssi partì della città, e·cchi si nascose,
onde tutta la città fu in gelosia e in grande sospetto e tremore. Il duca
trovando la congiura contro a·llui sì grande, e·cche tanti grandi e possenti
cittadini vi tenieno mano, non ardì di fare giustizia de' detti presi; che·sse
di sùbito l'avesse fatta, e corsa la terra colla sua gente e popolazzo minuto
che 'l seguiva, rimaneva signore; ma il suo peccato l'accecò, e·lli misse tanta
viltà e paura nell'animo, che non sapea che·ssi fare; e mandò d'intorno alla
terre e castella per la sua gente, e al signore di Bologna per aiuto, il quale
gli mandò CCC cavalieri. E pensossi di fare una grande vendetta e crudele di
molti cittadini con grande tradimento, che perché sabato mattina a dì XXVI di
luglio era il dì di santa Anna, e il dì dinanzi fece richiedere più di CCC di
maggiori cittadini di Firenze, grandi e popolani d'ogni famiglia e casato, che
venissono dinanzi a·llui in palagio per consigliarlo quello ch'avesse a·ffare
de' presi, con intenzione (e questo fu poi fuori di Firenze manifesto) che come
fossono ragunati nella sala del palagio, ch'avea le finestre ferrate, come
detto avemo, di fare serrare la sala, e quanti dentro ve n'avesse fare uccidere
e tagliare, e correre la terra al modo fece l'empissimo Totila Fragellum Dei
quando distrusse Firenze. Ma Iddio, che sempre ha guarentita al bisogno la
nostra città per le limosine e per li meriti delle sante persone religiose e
laici, che vi sono innocenti, la guardò di tanto male e pericolo; che prima
misse sospetto in cuore a tutti i richiesti di non andare in palagio al detto
consiglio, intra' quali ve n'avea molti di congiurati, e poi il dì medesimo
quasi tutti i cittadini di grande accordo insieme, diponendo tra·lloro ogni
ingiuria e malavoglienza, scoprendosi l'una setta all'altra, di loro ordine e
trattati tutti s'armarono per rubellarsi da·llui, come diremo apresso nel
seguente capitolo.
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