XVII
Come la città
di Firenze si levò a romore, e cacciaronne il duca d'Atene che·nn'era signore.
Essendo la
città di Firenze in tanto bollore, e sospetto e gelosia, sì per lo duca avendo
scoperte le congiurazioni fatte per tanti cittadini contra·llui, e fallitoli il
suo proponimento di non potere raccogliere i nobili e possenti cittadini al
falso e disleale consiglio, e d'altra parte i cittadini i più possenti
sentendosi in colpa della congiura, e sentendo il mal volere del duca, e che
già nella terra avea più di DC cavalieri di sue masnade, e ogni dì agiugneva;
e·lla gente del signore di Bologna e certi altri Romagnuoli che venieno in suo
aiuto avieno già valicata l'alpe, dubitarono che·llo indugio non fosse a·lloro
pericolo, ricordandosi del verso di Lucano: “Tolle mora, semper etc. ”. Gli
Adimari, e Medici, e Donati principali, sabato sonata nona, usciti i lavoranti
delle botteghe dì XXVI di luglio, il dì di santa Anna anni Domini
MCCCXLIII, ordinarono in Mercato Vecchio e in porta San Piero che certi ribaldi
fanti fitiziamente s'azzuffassono insieme, e gridassono: “All'arme, all'arme!”;
e così feciono. La terra era insollita e in paura, incontanente tutta corse a
furore e a sgombrare i cari luoghi; e di presente, com'era ordinato, tutti i
cittadini furo armati a cavallo e a piè, ciascuno alla sua contrada e
vicinanza, traendo fuori bandiere dell'armi del popolo e del Comune, com'era
ordinato, gridando: “Muoia il duca e' suoi seguaci, e viva il popolo e 'l
Comune di Firenze e libertà!”. E di presente fu abarrata e aserragliata tutta
la città ad ogni capo di vie e di contrade. Quelli del sesto d'Oltrarno, grandi
e popolani, si giurarono insieme e baciarono in bocca, e abarraro i capi de'
ponti, con intenzione che se tutta la terra di qua si perdesse, di tenersi
francamente di là. E mandato il dì dinanzi da parte del Comune segretamente per
soccorso e aiuto a' Sanesi; e certi di Bardi e Frescobaldi stati a Pisa e
tornati di nuovo in Firenze mandarono per loro ispezialtà per aiuto a' Pisani.
La qual cosa quando si seppe per lo Comune e per li altri cittadini, forte se
ne turbaro. La gente del duca sentendo il romore s'armaro e montaro a cavallo,
e chi potéo di loro al cominciamento corsono alla piazza del palagio in
quantità di CCC a cavallo; gli altri, chi·ffu preso, e rubato per li alberghi,
e·cchi per le vie fediti e morti e scavallati, e per li serragli impacciati, e
rubati i cavalli e·ll'arme. Al cominciamento trassono al soccorso del duca in
sulla piazza di priori certi cittadini amici del duca, cui avea serviti, che
non sapieno il segreto delle congiure; ciò furono de' principali: messer
Uguiccione Bondelmonti con alcuno suo consorto e cogli Acciaiuoli, e meser
Giannozzo Cavalcanti e di suoi consorti, e Peruzzi, e Antellesi, e certi
scardassieri e alcuno beccaio, gridando: “Viva lo signore lo duca!”. Ma come
s'avidono che quasi tutti i cittadini erano sommossi a furore contro a·llui, si
tornarono a casa, e seguirono il popolo, salvo messere Uguiccione Bondelmonti,
cui il duca ritenne seco in palagio, e i priori dell'arti per sicurtà di sua
persona, i quali erano rifuggiti in palagio. Essendo levato il detto romore e
tutta gente ad arme, quelli de' cinque sesti, ond'erano capo gli Adimari, per
scampare Antonio di Baldinaccio loro consorto e gli altri presi per lo duca, e
Medici, e Altoviti, e Oricellai, e degli altri offesi da·llui, com'è detto
adietro, presono le bocche delle vie che menano in sulla piazza del palagio de'
priori, ch'erano più di XII vie, e quelle abarrarono e aforzarono sicché nullo
non potea entrare né uscire del palagio e piazza, e di dì e di notte si
combattero colla gente del duca, ch'erano in sul palagio e 'n sulla piazza,
ov'ebbe alquanti morti, ma molti fediti di cittadini per lo molto saettamento e
pietre che venia del palagio dalla gente del duca. Ma alla fine la gente del
duca ch'era in sulla piazza, la sera medesima, non poterono durare e non avendo
da vivere, lasciando i loro cavalli, i più di loro si fuggiro nel compreso del
palagio ov'era il duca e' suoi baroni, e alquanti si guerentirono tra' nostri
lasciando l'armi e cavalli, e·cchi preso e·cchi fedito. E come si cominciò il
detto romore, Corso di meser Amerigo Donati co' suoi fratelli e altri seguaci
ch'avieno loro amici e parenti in prigione assaliro e combattero la carcere
delle Stinche, mettendo fuoco nello sportello e bertesca ch'era di legname, e
collo aiuto de' prigioni dentro ruppero le dette carcere, e uscinne tutti i
prigioni, e con quello empito, crescendo loro séguito di meser Manno Donati, e
di Niccolò di meser Alamanno, e Tile di Guido Benzi de' Cavicciuli, e Beltramo
de' Pazzi, e di più altri, ch'avieno loro amici in bando e presi in palagio,
assalirono combattendo il palagio della podestà, ov'era mesere Baglione da
Perugia podestà per lo duca, il quale né egli né sua famiglia si misono a
risistenza, ma con grande paura e pericolo si fuggì a guarentigia in casa gli
Albizi, che 'l ricolsono; e·cchi di sua famiglia si fuggì in Santa Croce; e
rubato il palagio d'ogni loro arnesi infino alle finestre e panche del Comune;
e ogni atto e scritture vi furono prese e arse, e rotta la carcere della
Volognana, e scapolati i prigioni; e poi ruppono la camera del Comune, e di
quella tratti tutti i libri ov'erano scritti gli sbanditi e rubelli e
condannati, e arsi tutti; e simile rubati gli atti dell'uficiale della
mercatantia sanza contasto niuno. Altra ruberia od offensione corporale non fu
fatta in tanto scioglimento di città, se non contro alla gente del duca;
che·ffu gran cosa, e tutto avenne per l'unità in che·ssi trovaro i cittadini a
ricoverare la loro libertà e quella della republica del Comune. E·cciò fatto,
il detto sabato quelli d'Oltrarno apersono l'entrata de' ponti, e valicaro di
qua a cavallo e a piè in arme, e cogli altri cittadini de' V sesti feciono
levare le sbarre e serragli delle rughe mastre, colle 'nsegne del Comune e del
popolo cavalcarono per la città gridando: “Viva il popolo e Comune in sua
libertà, e muoia il duca e' suoi! ”; e trovarsi i cittadini più di mille a
cavallo ben montati, e inn-arme tra di loro cavalli e di quelli tolti alla
gente del duca, e più di Xm cittadini armati a corazze e barbute come
cavalieri, sanza l'altro minuto popolo tutto in arme, sanza alcuno forestiere o
contadino; il quale popolo fu molto amirabile a vedere, e possente, e unito. Il
duca e sua gente veggendosi così fieramente assaliti e assediati dal popolo nel
palagio con più di CCCC uomini (e non avea quasi altro che biscotto e aceto e
acqua), ma credendosi guarentire dal furioso popolo, la domenica fece cavaliere
Antonio di Baldinaccio il quale non si volea fare di sua mano; ma i priori,
ch'erano rinchiusi in palagio, vollono si facesse a onore del popolo di
Firenze; poi lasciò lui e gli altri cui avea presi, e puose in sul palagio
bandiere del popolo, ma però non cessò l'asedio e furia del popolo. La domenica
di notte giunse il soccorso di Sanesi, CCC cavalieri e CCCC balestieri molto
bella gente, e co·lloro sei grandi e popolani cittadini di Siena per
ambasciadori. I Saminiatesi mandato al servigio del nostro Comune IIm pedoni armati,
e' Pratesi D. E venne di presente il conte Simone da Battifolle, e Guido suo
nipote con CCCC fanti. E di nostri contadini armati il seguente dì vennero in
grandissima quantità al Comune e a' singulari cittadini, onde tutta la città fu
piena d'innumerabile gente. I Pisani mandavano alla richiesta di loro amici,
come toccammo adietro, sanza assento del Comune, D cavalieri, i quali vennero
infino al borgo della Lastra di là da Settimo. Sentendosi in Firenze, se n'ebbe
grande gelosia e grande mormorio contro a que' grandi a·ccui richiesta
venivano; e per lo Comune e per loro fu contramandato che non venissono, e così
feciono; ma tornandosi adietro, da quelli di Montelupo e di Capraia e d'Empoli
e di Puntormo furono assaliti, e tra morti e presi più di cento pure de'
migliori; e perderono più di CC cavalli, che furono loro tra morti e rubati.
Arezzo
sentito come il duca era assediato da' cittadini di Firenze, incontanente si
rubellarono alla gente e uficiali del duca per li Guelfi. E il castello dentro
fatto per li Fiorentini rendé Guelfo di meser Bindo Bondelmonti. E Castiglione
Aretino rendé Andrea e Iacopo Laino de' Pulci, che·nn'erano castellani, a'
Tarlati. Pistoia si rubellò, e ridussonsi a·lloro libertà e a popolo guelfi, e
disfeciono il castello fatto per li Fiorentini e ripresono Serravalle. E
rubellossi Santa Maria a Monte e Montetopoli tenendosi per loro; rubellossi
Volterra, e tornò alla signoria di meser Attaviano de' Belforti, che prima la
signoreggiava; e Colle, e San Gimignano dalla signoria del duca, e disfeciono
le castella, e rimasono i·lloro libertà. Tale fu la rovina della signoria del
duca in Firenze e d'intorno. In pochi giorni venuti in Firenze i Sanesi
e·ll'altra amistà, il vescovo con certi buoni cittadini grandi e popolani
feciono richiedere a bocca tutta buona gente, e sonare la campana della
podestà, e bandire parlamento per riformare lo stato e signoria della città. E
congregati tutti in Santa Reparata in arme il lunedì apresso, di grande accordo
elessono l'infrascritti XIIII cittadini, VII grandi e VII popolani con piena
balìa di riformare la terra e fare uficiali e leggi e statuti, per tempo fino a
calen di ottobre vegnente; ciò furono del sesto d'Oltrarno messer Ridolfo di
Bardi, messer Pino de' Rossi, e Sandro di Cenni Biliotti; di San Piero
Scheraggio messer Giannozzo Cavalcanti, messer Simone Peruzzi, Filippo
Magalotti; per Borgo meser Giovanni Gianfigliazzi, Bindo Altoviti; per San
Brancazio messer Testa Tornaquinci, Marco degli Strozzi; per porta del Duomo
messer Bindo della Tosa, messer Francesco de' Medici; di porta San Piero mesere
Talano degli Adimari, messer Bartolo de' Ricci. I detti XIIII elessono per
podestà il conte Simone, e ragunavansi nel vescovado. Ma il detto conte, come
savio, rinuziò e non voll'essere giustiziere de' Fiorentini; e però chiamato
meser Giovanni marchese da Valiano, e infino che penasse a venire elessono
luogotenente di podestà l'infrascritti VI cittadini, uno per sesto, III grandi
e III popolani; messer Berto di meser Stoldo Frescobaldi, Nepo delli Spini,
meser Francesco Brunelleschi, Taddeo dell'Antella, Paolo Bordoni, Antonio degli
Albizi; e stavano nel palagio del podestà con CC fanti pratesi, tegnendo
ragione sommaria di ruberie e forze e di simili, sanz'altro uficio. In questa
stanza non cessava l'assedio del duca, di dì e di notte combattendo il palagio,
e di cercare di suoi uficiali. Fu preso uno notaio del conservadore per li
Altoviti stato crudele e reo, fu tutto tagliato a bocconi. E apresso fu trovato
meser Simone da Norcia stato uficiale sopra le ragioni del Comune, il quale
molti cittadini cui a diritto e cui a torto avea tormentati crudelmente e
condannati, per simile modo a pezzi tutto tagliato. E uno notaio napoletano,
ch'era stato capitano di sergenti a piè del duca, reo e fellone tutto fu
abocconato dal popolo. E ser Arrigo Fei, ch'era sopra le gabelle, fuggendosi
da' Servi vestito come frate, conosciuto da San Gallo fu morto, e poi da'
fanciulli tranato ignudo per tutta la città, e poi in sulla piazza de' priori
impeso per li piedi, e sparato e sbarrato come porco: tal fine ebbe della sua
isforzata industria di trovare nuove gabelle, e·lli altri di su detti della
loro crudeltà. I signori XIIII col vescovo, e 'l conte Simone e·lli
ambasciadori di Siena al continuo erano in trattato col duca per trarlo di
palagio, e sovente a vicenda a parte a parte di loro entravano e uscivano di
palagio, benché poco piacesse al popolo. Alla fine nulla concordia asentiva il
popolo, se non avessono dal duca il conservadore, e 'l figliuolo, e meser Cerritieri
per farne giustizia. Il duca in nulla guisa l'asentiva, ma i Borgognoni
ch'erano assediati in palagio s'allegarono insieme, e dissono al duca che
inanzi che volessono morire di fame e a tormento, darebbono preso lui al
popolo, non che i detti tre, e ordinato l'avieno, e il podere avieno di farlo,
tanti erano, e sì erano forti. Il duca veggendosi a tal partito acconsentì; e
venerdì, a dì primo d'agosto, in sull'ora della cena i Borgognoni presono meser
Guiglielmo d'Ascesi, detto conservadore delle tirannie del duca, e un suo
figliuolo d'età di XVIII anni, di poco fatto cavaliere per lo duca, ma bene era
reo e fellone a tormentare i cittadini, e pinsollo fuori dell'antiporto del
palagio in mano dell'arrabbiato popolo, e di parenti e amici cui il padre avea
giustiziati, Altoviti, Medici, Oricellai, e quelli di Bettone principali, e più
altri, i quali, in presenza del padre per più suo dolore, il suo figliuolo
pinto fuori inanzi il tagliarono e smembrarono a minuti pezzi; e·cciò fatto
pinsono fuori il conservadore e feciono il somigliante, e chi·nne portava un
pezzo in sulla lancia e·cchi in sulla spada per tutta la città; ed ebbevi de'
sì crudeli, e con furia bestiale e tanto animosa, che mangiaro delle loro carni
cruda e cotta. Cotale fu la fine del traditore e persecutore del popolo di
Firenze. E nota che·cchi è crudele crudelmente dee morire, disit Domino.
E fatta la detta furiosa vendetta molto s'aquetò e contentò la rabbia del
popolo; e·ffu però scampo di meser Cerritieri, che dovea esere il terzo; ma saziati
i loro aversari no·llo domandaro; e fuggendosi la sera fu nascosto e poi
traviato da certi di Bardi, e altri suoi amici e parenti. E per la detta
furiosa vendetta fatta sopra il conservadore e 'l figliuolo, ch'avea giudicati
Naddo di Cenni e Guiglielmo Altoviti e gli altri, poco apresso si feciono
cavalieri due delli Oricellai e poi due delli Altoviti; la qual cosa poco fu
loro lodata da' cittadini. Ma torniamo a nostra matera de' fatti del duca,
che·lla domenica apresso, dì III d'agosto, il duca s'arrendé e diede il palagio
al vescovo e a' XIIII e a' Sanesi e conte Simone, salve le persone di lui e di
sue genti. La qual sua gente n'uscirono con gran paura acompagnati da' Sanesi e
da più buoni cittadini. E il duca rinuziò con saramento ogni signoria e giuridizione
e ragione ch'avesse aquistata sopra la città contado e distretto di Firenze,
dimettendo e perdonando ogni ingiuria; e a cautela promettendo di retificare
ciò, quando fosse fuori del contado di Firenze. E per paura della furia del
popolo, con sua privata famiglia rimase in palagio alla guardia de' detti
signori infino mercoledì notte di VI d'agosto; e raquetato il popolo, in sul
mattutino uscì di palagio acompagnato dalla gente de' Sanesi e del conte
Simone, e di più nobili e popolani e possenti cittadini ordinati per lo Comune.
E uscì per la porta di San Niccolò e passò Arno al ponte a Rignano salendo a
Valembrosa e a Poppi; e·llà fatta la ritificagione promessa, passò per Romagna
a Bologna, e dal signore di Bologna fu bene ricevuto, e donatogli danari e
cavalli; e poi se n'andò a Ferrara e a Vinegia. E·llà fatte armare II galee,
sanza prendere congio di più di sua gente che gli erano iti dietro,
lasciandogli mal contenti di loro gaggi, privatamente di notte si partì di
Vinegia, e·nn'andò in Puglia. Cotale fu la fine della signoria del duca
d'Atene, ch'avea con inganno e tradimento usurpata sopra in Comune e popolo di
Firenze, e il suo tirannico reggimento mentre la signoreggiò, e com'elli tradì
il Comune, così da' cittadini fu tradito. Il quale n'andò con molta sua onta e
vergogna, ma con molti danari tratti da·nnoi Fiorentini, detti orbi e
inn-antico volgare e proverbio per li nostri difetti e discordie, e lasciandoci
di male sequele. E partito il duca di Firenze, la città s'aquetò e disarmarsi i
cittadini, e disfecionsi i serragli, e partirsi i forestieri e' contadini, e
apersonsi le botteghe, e ciascuno attese a·ssuo mestiere e arte. E detti XIIII
cassarono ogni ordine e dicreto che 'l duca avea fatto, salvo che confermarono
le paci tra' cittadini fatte per lui. E nota che come il detto duca occupò con
frode e tradigione la libertà della republica di Firenze il dì di nostra Donna
di settembre, non guardando sua reverenza, quasi per vendetta divina così
permisse Iddio che i franchi cittadini con armata mano la raquistassono il dì
di sua madre madonna santa Anna, dì XXVI di luglio MCCCXLIII; per la qual
grazia s'ordinò per lo Comune che·lla festa di santa Anna si guardasse come
pasqua sempre in Firenze, e si celebrasse solenne uficio e grande oferta per lo
Comune e per tutte l'arti di Firenze.
|