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Rino Fisichella La santità forma di credibilità della vita cons. IntraText CT - Lettura del testo |
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Scriveva J. H. Newman: "I santi sono molto diversi tra loro: la loro stessa diversità è un segno dell'opera di Dio… Sono stati innalzati per essere un memoriale e un insegnamento: ci fan memoria di Dio, ci introducono nel mondo invisibile, ci apprendono che cosa Cristo ami, tracciano per noi la strada che conduce al cielo"7. L'espressione può essere assunta come richiamo sintetico a quanto abbiamo finora esposto. La consacrazione di vita nella sequela di Cristo è di fatto il cammino della santità perché consente di vedere realizzata la scelta di fede battesimale che per sua stessa natura è una chiamata alla santità. Ogni vocazione specifica nella Chiesa e ogni forma di consacrazione, quindi, trovano in questa universale chiamata la sua fonte originaria e il termine verso cui tendere. Lumen gentium, comunque, specifica ulteriormente la natura di questa chiamata affermando: "E' dunque evidente per tutti, che tutti coloro che credono in Cristo di qualsiasi stato o rango, sono chiamati alla pienezza della vita cristiana e alla perfezione della carità e che tale santità promuove nella stessa società terrena un tenore di vita più umano" (LG 40). La santità, come si nota, è identificata con la "pienezza della vita cristiana" e con la "perfezione della carità". I due elementi sono determinanti per la comprensione della santità e per vedere attuata la credibilità della fede nella sua testimonianza come via della sequela. Se si vuole comprendere a pieno questa dimensione, comunque, è necessario porre lo sguardo su Cristo. Storicamente, questo incontro diventa la reale possibilità per ogni persona di vedere concretizzata la risposta alla propria condizione personale e la realizzazione della propria esistenza. Il celebre passaggio di Gaudium et spes viene a proposito per illuminare questa condizione: "In realtà, solamente alla luce del Verbo incarnato trova piena luce il mistero dell'uomo… se questo è possibile è perché Cristo "ha lavorato con mani di uomo, ha pensato con mente di uomo, ha agito con volontà di uomo e ha amato con cuore di uomo" (GS 22). Insomma, il mistero dell'incarnazione del Figlio di Dio permette a ogni persona di comprendere il mistero della propria esistenza e di trovare la strada per la definitiva realizzazione del senso della propria vita. Questa vocazione si chiama amore. Esso è ciò che rende vera la via della santità e ciò che permette fino ai nostri giorni di accogliere la parola di Gesù Cristo come credibile. Se si vuole, l'universale vocazione alla santità, non ha altro nome che la vocazione universale all'amore come Cristo lo ha rivelato. La vocazione a questo amore rivelato è assoluta, perché richiede la donazione piena e totale di sé senza nulla chiedere in cambio. Si è chiamati ad amare "con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutte le tue forze" (Dt 6, 6). Si è in presenza di una assenza di misura che obbliga ad assumere come unica misura solo quella realizzata da Gesù di Nazareth sulla croce: "dando tutto" e giungendo "fino alla fine". Chi si pone alla sequela di Cristo e a lui consacra la sua esistenza sa che questo amore tutto sopporta, "tranne una cosa: che gli si pongano dei limiti"8. "Noi ci interroghiamo sull'essere, sulla pura essenza dell'amore stesso. E quando cerchiamo di coglierla nelle sue espressioni più pure, ci imbattiamo sempre nel mistero della dedizione di sé. L'amore vorrebbe rinunciare a tutto ciò che è suo in favore dell'amato, per arricchirlo. Al punto che esso accetterà volentieri regali dall'amato, se sa che egli si sente arricchito e contento in virtù del gesto di donazione. Anche il suo ricevere sarà una forma di dedizione… esso si augura di dimenticare se stesso in favore dell'amato e di rimanere in vita solo fino a che l'amato è desideroso di avere di fronte a sé qualcosa di vivo e di personale. Colui che veramente ama, che vive interamente per l'amore, non ha più alcuna sfera privata per se stesso, da sottrarre all'amore e al suo servizio. Egli non può trattare l'amore come qualcosa di penultimo nella sua mente, non può assegnargli nella propria anima uno spazio ben delimitato, non può porgli a disposizione una parte limitata delle sue forze. Egli deve lasciare che questo fuoco prenda possesso anche del punto centrale della propria anima. Egli non può far altro che offrire in dono all'amato tutto il suo io unitamente a tutte le sue energie. E per il futuro egli non vuole più avere come regola e legge della sua vita niente altro che ciò che l'amato come regola e legge gli ridà. Egli stimerà come la sua più alta ricchezza quella di possedere niente altro che ciò che l'amato gli dona. E vedrà come sua massima fecondità quella di tenersi pronto esclusivamente come recipiente per ogni fecondante seme dell'amato. Lo spirito dell'amore è uno spirito di pura dedizione e perciò uno spirito del poter fare, avere il permesso di fare. Se l'amore è puro si volge a Dio e al fratello per proprio intimo movimento. Esso non è niente altro che questo volgersi. Perciò non ha bisogno di nessun'altra legge che se stesso, e tutte le leggi sono in esso ad un tempo adempiute e superate"9. Questo testo di H. U. von Balthasar, permette di vedere maggiormente focalizzato il tema dell'amore in prospettiva della via della sequela e della consacrazione. Non è difficile ad una attenta lettura vedere in questa descrizione la via della sequela dell'amore nei consigli evangelici. Tre termini del testo colpiscono la nostra mente per un riferimento diretto alla nostra tematica: libertà, ricchezza e fecondità. Chi si è consacrato all'amore vivrà di esso come la forma suprema della libertà; egli non farà la sua volontà, ma quella dell'amato. La sua più grande ricchezza non consisterà in altro che nel dono dell'amante e di quanto egli offre. La sua fecondità più efficace sarà quella di ricevere il seme dell'amato. Interpretare queste espressioni alla luce dei consigli evangelici non è difficile. La libertà più grande è quella che si fa forte dell'obbedienza più radicale perché ci si affida all'amore come forma concreta di esistenza; la ricchezza più desiderata è quella che si fa forte della povertà che nulla possiede e trattiene per sé, ma tutto accoglie come puro dono; la fecondità è quella di una rinuncia ad agire per sé per essere capace di rendere feconda solo la parola che si accoglie e di cui si vive10. Vivere di questa dimensione obbliga a vedere la via della consacrazione come il reale cammino che progressivamente si muove alla luce di una bellezza che può essere solo contemplata. Per questo è richiesto un impegno che sia duraturo e "per sempre", segnato quindi dal sigillo del "voto" che impone l'evidenza della consacrazione non come un fatto esterno, ma intrinseco all'amore e come sua forma espressiva11. La fede vede in questa consacrazione alla santità una forma di amore che è insuperabile perché rivelata dal Figlio di Dio e da lui resa storicamente presente nel culmine del suo mistero pasquale. E' per questo che nel momento centrale della sua vita di fede, il credente proclama: "Annunciamo la tua morte, Signore, proclamiamo la tua risurrezione, nell'attesa della tua venuta". Nello spazio che separa il presente della fede e l'attesa della venuta del Risorto, la via della consacrazione che alcuni per grazia scelgono di seguire, permane come il segno evidente di un richiamo solenne e improrogabile a fare della santità lo stile e la norma di vita di ogni battezzato.
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7 J. H. Newman, Sermoni cattolici, Milano 12984, 70. 8 P. Martinelli, Vocazione e stati di vita del cristiano, Roma 2001, 177. 9 H. U. von Balthasar, Gli stati di vita del cristiano, Milano 1985, 24-25. 10 Cfr. M. Martinelli, 179. 11 Cfr. H. U. von Balthasar, Gli stati di vita del cristiano, Milano 1985. |
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