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Maria Antonietta Torriani Torelli-Viollier alias Marchesa Colombi
In risaia

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  • II
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II

I due fanciulli andarono un martedí con Martino sul mercato di Novara, e trovarono subito un proprietario che li accordò per settantacinque centesimi al giorno, come aveva previsto Maddalena. Del resto era la paga ordinaria C'era da lavorare dalla metà d'aprile fino alla metà di maggio, e senza scostarsi molto dal paese. Il fondo da zappare era sul territorio novarese, presso Galliate. Il proprietario forniva anche la minestra due volte al giorno, e due ettogrammi e mezzo di pane di grano turco.

Sul mercato Nanna e Pietro scontrarono vicini e conoscenti che erano venuti a cercar lavoro come loro; e parecchi furono accordati dallo stesso proprietario.

— Possiamo fare la strada insieme quando s'andrà in risaiadissero parecchie fanciulle di Trecate — ci saranno anche Teresa di Menico, e la Margherita.

Sicurodisse Nanna. — Voi altre che siete piú lontane, entrerete a pigliarci passando.

— Ti piace lavorare in risaia? — domandò a Nanna una compagna.

— Non ci sono mai stata; e neppure Pietro. Ci si va per comperarmi l'argento; il babbo non può fare quella spesa.

— Infatti, è tempo che tu abbia l'argento. Non c'è male, sai, laggiú in risaia. Tutto sta ad avvezzarcisi. Si va sul lavoro alle sette del mattino; poi c'è mezz'ora per far colazione; poi di nuovo a lavorare fino a mezzodí, ed allora c'è un'ora pel desinare. Danno la minestra di riso e fagioli, ed il pane; e se hai del tuo da mangiare insieme, bene; altrimenti mangi il pane solo; ma alla fine della settimana è duro assai, ed acido; è meglio che tu badi a serbare la pietanza, se ce l'hai, pel venerdí ed il sabato; con un po' di formaggio insieme, l'acido del pane si sente meno. Dopo il pranzo si lavora fino alle sei del pomeriggio. Poi si cena, e tutto il rimanente della sera si è in libertà.

Grazie tante! Dopo esser state nove ore e mezza colla zappa in manodisse Nanna.

— È lungo, ; ma si sta allegramente. Abbiamo messo il patto che ci sia l'organo. S'era in nove noi di Trecate, e ci siamo poste d'accordo di domandare l'organetto. Il padrone lo ha concesso, e dopo cena, una volta o due la settimana si ballerà.

Nanna, a dir vero, sebbene laboriosa, non aveva mai fatto giornate di nove ore e mezza; ma la gioventú è ardimentosa.

— Quello che fanno le altre potrò farlo anch’io — pensò Nanna.

La comitiva dei giornalieri partí da Trecate nel pomeriggio d'una domenica dopo i vesperi, e ad ogni cascinale si andò ingrossando. Quando giunse dai Lavatelli era già numerosa. In capo al viale giovani e fanciulle smisero di cantare. Alcuni si fecero innanzi fino al cortile gridando:

Nanna! Pietro! Siete pronti?

Gli altri si fermarono a gruppi, parte sulla strada, parte lungo il viale, chi in piedi, chi seduto a terra, ciarlando o canticchiando a mezza voce.

I due giovinetti erano in punto per la partenza vestiti da festa.

Portavano un involtino di abiti da lavoro e qualche cosuccia da mangiare col pane; ecco tutto il loro bagaglio.

Era la prima volta che si separavano per qualche tempo dai loro genitori. Eppure, cheché sentissero dentro, i saluti non furono teneri. I contadini esagerano il pudore dei sentimenti, anche dei piú legittimi. Ai loro occhi l'espansione è qualche cosa di signorile, una superfluità smorfiosa che disdice colla rozzezza delle loro abitudini. Le carezze le lasciano ai bambini ed agli sposi. E questi ancora, dinanzi alla gente, li nascondono con un mondo di male grazie.

Addio babbo! Addio mamma! — Gridarono i fanciulli sgusciando lesti dall'uscio della cucina.

Addio, ragazzi! — disse il babbo. — State sani e di buona voglia.

— E non dimenticate le orazioni mattina e serasoggiunse la mamma.

E l'uno e l'altra uscirono dietro ai figliuoli, e li accompagnarono lungo il viale fin sulla strada

tutta la brigata si raggruppò. — Le donne davanti in una lunga fila che prendeva tutta la strada. I giovani dietro.

Nanna prese i suoi zoccoletti in una mano come le compagne, per camminare piú lesta, e corse ad unirsi alle altre giornaliere.

Pietro si schierò coi giovani.

Addio figlioli! Che il Signore vi assistagridarono ancora i vecchi.

Addio babbo! Addio mamma! — ripeterono un'ultima volta i ragazzi.

E Nanna agitò in alto gli zoccoletti in segno di saluto, poi tutti si avviarono ripigliando in coro la canzone interrotta.

Quella sera la casa parve triste a Martino. E Maddalena si lagnò che il camino faceva molto fumo e le dava il bruciore agli occhi.

Aveva gli occhi rossi e gonfi davvero, povera donna, ma di fumo non se ne vedeva punto. E Martino, che se ne avvide, disse con un sospiro penoso, come se avesse un'incudine sul petto:

— Ma? E che ci vuoi fare? Quando si è poveri ci vuol pazienza!


 

Il lunedí fino dalle sette del mattino il vasto piano della risaia era gremito di giornalieri. Le donne in gonnellina corta, coi piedi scalzi, ed una pezzuola a colori vivi sul capo; i giovani coi calzoni rimboccati, e la camicia bianca. Facevano delle belle macchiette; era una scena vivace, animata per chi la guardava dalla strada che costeggiava la risaia; ma gli attori sudavano a grosse goccie.

Nanna si provò a cantare, ma non le riescí. Lo sforzo di maneggiare la zappa e d'incidere il terreno, la faceva sussultar tutta di dentro ad ogni colpo.

— Non si può cantaredisse.

— No — rispose una delle fanciulle di Trecate, che lavorava accanto a lei. — Sai pure che zappando non si canta. Non hai mai provato a zappare?

; infatti non cantavo; ma non zappavo neppure tante ore cosí.

— È alla mondatura che si canta, ed anche alla mietiturarispose la Teresa, la vicina di Nanna.

Ora è triste il lavorosospirò la fanciulla.

, è triste; ma questa sera si ballerà sull'aia per inaugurare la zappatura

Conosci Gaudenzio il carrettiere? — domandò ad un tratto Nanna, a cui l'idea di ballare aveva suggerita quella piú attraente di ballare con Gaudenzio.

— No, non lo conoscodisse Teresa.

— Ah! Quello è un ballerino! Va come l'olio.

— Ma qui non c'è.

— Può darsi che ci capiti. La mia mamma mi ha detto che, se avrà da fare dei trasporti da queste parti, lo manderà qui a portarmi qualche cosa da mangiare col pane. Allora lo vedrai.

— È il tuo innamorato?

— Oh no! Non ho ancora l’argento. — E Nanna si sentí tutto il sangue salire al viso a quella domanda della compagna; ma non poté arrossire di piú. Lo sforzo del lavoro le aveva infiammate le guancie come due belle foglie di peonia. Lasciò quel discorso e continuò a lavorare in silenzio. Ma la giornata non le parve troppo gravosa, e passò lesta assai. Essere l'innamorata di Gaudenzio! Era un tema su cui c'era un'infinità di motivi da ricamare; tornare insieme dai vespri la domenica, ed andare adagio lungo la via, uno accanto all'altro, e dirsi tante cose...

Nanna non le sapea le cose che si dicono gli innamorati; ma era certa che dovevano esser belle; al pensarci si commoveva come alla musica delle litanie. E poi, i piccoli urti col gomito, e le occhiate lunghe lunghe… Oh, quelle le aveva vedute spesso tra amanti.

La sera però, malgrado la compagnia di quei pensieri belli che le avevano alleviato il lavoro, Nanna era stanca a morte, e disse:

— Io non ho voglia di danzare. Starò a vedere gli altri — e andò a sedere sulla trave dinanzi alla fattoria, mentre i giornalieri ballavano davanti, sull'aja.

Tutt'intorno, sopra i terreni coltivati, si vedeva una nebbia fitta, bianca, sollevarsi fino all'altezza d'un uomo. Pareva che quelle pianure fumassero, o che fossero un vasto lago, ed il cortile ci stesse nel mezzo come un'isola. A distanza si sarebbe veduta la stessa nebbia, appena meno densa, avvolgere anche il cortile, e la casa, e l'organetto e le danzatrici.

Infatti Nanna sentí un umidiccio penetrarla fino alle ossa; ed il freddo la prese tutta; aveva i brividi.

Stanca o no, bisogna ballaredisse. — A star qui ferma il gelo mi va fino al midollo. E si mise a danzare colle compagne, che sudavano, ed ansimavano come soffietti.

 

 

 

Il giovedí, mezz'ora circa prima del desinare, Nanna udí ruotare un carro sulla strada maestra accanto alla risaia. Piantò la zappa in terra, se ne pose il manico sotto il braccio come una gruccia, e si voltò a guardare.

Le parve di riconoscere il carro, ed il cavallo di Gaudenzio; ma non vide né davanti, né di dietro, né ai lati, la figura meravigliosa del carrettiere. Ad un tratto si udirono due o tre colpi di frusta strepitosissimi, ed in certa maniera modulati. Erano colpi di mano maestra. Non poteva essere che la mano di Gaudenzio.

Nanna sussultò tutta quanta, e rimase col collo proteso, e la bocca aperta in un sorriso di beata ammirazione, che le irradiava tutto il volto. Quel Gaudenzio aveva tutte le attrattive!

Nanna non poté frenare il suo entusiasmo. Si volse alla vicina e le sussurrò con accento giulivo:

— Oh, Teresa! È Gaudenzio!

— Dov'è? — domandò l'altra.

Laggiú sulla strada. Non vedi quel carro? È il suo. Egli dev'essere steso sopra la legna...

In quella si ripeté il piccolo concerto di frusta, e Nanna, ridendo di gioia, riprese:

— Che demonio! Anche per maneggiar la frusta, non c'è che lui!

E mentre rideva e rideva, una voce tremenda gridò:

Ooh! Nanna! Ooooh!

Oooooh! — rispose Nanna con quanto fiato aveva in corpo facendosi un portavoce colle mani intorno alla bocca — Siete voi Gaudenziooo!?

Sííí. Vado ad aspettarvi sull'ajaaaaa!

Quel resto di mezz'ora fu lungo a passare. Se fosse stata a lavorare sul suo, Nanna avrebbe buttata la zappa, e via!

Ma lavorava per altri, e dovette tirar innanzi fino all'ora del desinare. Finalmente, se Dio vuole, suonò il mezzodí, e tutti i lavoranti si raccolsero sull'aja.

Nanna ci andò cogli altri, affettando di camminar lenta, come se non avesse punto premura.

Il bel Gaudenzio si fece innanzi dimenando i fianchi, e le disse:

— Come va, Nanna? — ed intanto girava gli occhi sulle zappatrici, ed ammiccava alle piú prosperose ed ardite.

Bene, e voi, Gaudenzio? E la mamma, e il babbo?

Stavano bene tutti e due. La mamma aveva mandato un pane fresco pei figlioli, del formaggio ed un salame, colla raccomandazione caldissima di non mangiarlo nei giorni di magro.

Pietro venne a raggiungere la sorella, ed a prendere la sua parte di doni e di notizie.

Intanto si distribuí la minestra ai giornalieri.

Le donne sedettero tutte da un lato, chi a terra, chi sulla trave addossata al muro. Gaudenzio s'accordò colla massaia, pagò pochi soldi, ed ebbe egli pure la sua scodella di minestra.

Ah! Era allora che bisognava vederlo! Si pose in piedi davanti alle donne, appoggiato sulla gamba destra, col piede sinistro innanzi, ed il busto respinto indietro come se stesse per partire a passo di valzer. Teneva alzate le dita della mano sinistra in cerchio a foggia di coppa, e sulla punta delle cinque dita reggeva il fondo della scodella. Pareva un giocoliere in atto di slanciarla nello spazio, per afferrarne poi il centro sulla punta della sua bacchetta, e farla rotare.

Nanna era al colmo dell'entusiasmo. Guardava lui, poi si voltava a destra ed a sinistra a guardare le giornaliere per godere della loro meraviglia. Ed i suoi occhi animati e curiosi come due punti interrogativi, parevano dire: — Eh? Che giovane questo! Ebbene, sono io che lo conosco; e, se è qui, c'è venuto per me.

E, come per affermare questa superiorità sulle altre, gli gridò:

— Buon appetito, Gaudenzio.

— Buon appetito alla compagniarispose Gaudenzio cui la vanità non permetteva di fare o dire una cosa che non richiamasse su lui l'attenzione di tutti.

Quella sera Gaudenzio non poté trattenersi a ballare sull'aja, perché gli premeva di condurre un carico di legna a Borgovercelli, ma promise di ripassare al ritorno, e di fermarsi la sera della domenica.

Per tutto il resto della giornata, benché partito, egli tenne un gran posto tra quella gente. Le fanciulle non osavano far commenti, ma ci pensavano, sia per confrontarlo col loro damo, sia per augurarsene uno cosí. E le donne, che erano meno vergognose, e non si consideravano parte interessata, ne parlavano con ammirazione.

— Quello non ha paura di nessuno — diceva una — pare un puledro.

— Con che garbo teneva la scodella! — osservò una giovane sposaPareva il bambino Gesú che regge il mondo.

A cena i giovinetti, che erano tutti dell'età di Pietro o giú di , si provarono a mangiare atteggiati come il carrettiere, ed a reggere la scodella come lui. Ci fu una grande rottura di scodelle, e le donne dissero:

Cattivo segno. Quando si rompono le scodelle, disgrazie o liti.

 


 

Le disgrazie per verità non mancarono.

Quelle giovani che erano partite dalle loro case forti e giulive cantando per via, si facevano ogni giorno piú svogliate e smilze. Due o tre dovettero abbandonare il lavoro dopo le prime settimane, per andare all'ospedale colle febbri.

Nanna pure, al finire della giornata, si sentiva le ossa rotte e le reni indolenzite, come se l'avessero bastonata. Spesso si coricava immediatamente dopo la cena. Ma la domenica, quando c'era Gaudenzio, si faceva cuore, e ballava, ballava fin al completo esaurimento delle forze; un po' con lui per deliziarsi, un po' cogli altri per farsi osservare da lui. Poi anche l'entusiasmo del ballo venne meno, e la quarta settimana passò triste come la settimana di passione.

C'era ancora molto lavoro da compiere, e gli assistenti angariavano i giornalieri per farlo procedere celeremente; si doveva fare anche la parte delle ammalate.

Il penultimo sabato Nanna fu presa dai brividi mentre stava lavorando, e stentò molto a finire la giornata.

— Ho la febbre col freddodisse la sera a Pietro. — Forse domani non potrò muovermi.

Ma l'indomani stava meglio, e la presenza di Gaudenzio galvanizzò le sue forze abbattute.

Il lunedí stette male ancora; poi il martedí si risentí guarita.

Cosí finí le sue trenta giornate, passandone una buona ed una cattiva. Ma in che stato le finí! Non era piú la Nanna di prima.

Lungo la strada per tornare a casa si reggeva a stento sulle gambe. Anche le compagne camminavano svogliate. Le piú forti cercavano di cantare come quando erano venute; ma erano poche, ed il loro canto s'interrompeva per lunghi tratti.

Nanna ansimava come un mantice. Aveva le labbra bianche. Non era il giorno della febbre; ma la doppia fatica del camminare dopo il lavoro, la pioggia che cadeva da quasi un'ora, l'aria della sera, avevano abbreviata l'intermittenza.

Le pareva che quel viaggio non dovesse finir mai. Contava i paracarri; ce n'erano nove per ogni palo di telegrafo.

— Quanti pali di telegrafo ci sono per ogni chilometro? — domandò. Poi colla sua tendenza speciale al calcolo, si mise a contarli, numerando man mano i nove paracarri, e le pareva di abbreviarsi la strada frazionandola.

Tuttavia rimaneva sempre indietro dalle altre. Non ne poteva piú, Pietro le aveva già preso il suo piccolo bagaglio:

Appoggiati al mio braccio — le dissefaticherai meno.

Ma Nanna non volle. Le pareva una cosa ridicola andare cosí a braccetto fratello e sorella, come due signori o due sposi.

Quando Dio volle s'udí un carro che si avanzava nella stessa direzione dei giornalieri. Stettero ad aspettarlo.

Pregate quell'uomo che lasci salire mia sorella sul carrodisse alle donne Pietro che non osava fare egli stesso quella domanda.

Stupido, va! — Gli rispose una bella sposa a titolo di consenso. E facendosi innanzi verso il carrettiere, che camminava a fianco della sua mula, gli gridò:

Vorreste lasciar salire sul vostro carro una ragazza che ha la febbre?

— Per me, se vuol salire...; ma è carico di ghiaia; non starà sul morbidorispose l'uomo senza fermarsi.

— Eh! Il morbido non importa. Purché non cammini. — Ma fermate, dunque.

Eeeh! Eeeeh! — gridò il carrettiere alla mula tirando le briglie lentamente. — E lentamente il carro si fermò, come lentamente aveva proceduto fino allora.

Nanna, coll'aiuto delle compagne, si pose a sedere dietro il carro, sulla ghiaia colle gambe pendenti.

Mettiti gli zoccolidisse Pietro. — Hai i piedi gelati.

— Ma che! Ho tenuti gli zoccoli finora. Quassú li tolgo perché mi cadrebbero, coi piedi penzoloni cosí — E Nanna tirò via a quel modo, scalza, nell'umido e sotto la pioggia.

Ma seduta su quella ghiaia bagnata, ella pensava:

— Se fosse il carro di Gaudenzio! — e col vaneggiar della febbre si figurava che fosse quello, e le pareva di stare sopra un letto di piume.

Il lunedí Nanna stette male; ed il mercoledí peggio.

Il babbo andò a chiamare il medico di Trecate che aveva la condotta dei cascinali del circondario. Ma c'era una lunga distanza che il medico non avrebbe potuto percorrere ogni giorno per vedere l'ammalata. Egli disse:

— È un'intermittente che potrebbe andare per le lunghe. La ragazza ha bisogno di prendere molto chinino, di nutrirsi con cibi sani. È meglio che la portiate a Novara all'ospedale; sarà curata meglio che in casa vostra. Ce ne ho mandate molte che hanno presa la febbre in risaia.

Martino non incontrò il menomo ostacolo a farsi rilasciare la fede di miserabilità. Pover'uomo! Aveva le sue braccia, e le famose trenta lire per l'argento. Null'altro.

Cosí la mattina del giovedí Nanna fu trasportata all’ospedale di Novara sul carro del Comune, e Maddalena l'accompagnò camminandole accanto coi panieri della verdura che doveva vendere al mercato.

I due vecchi avevano trovato la figliola molto malandata. Tuttavia non davano grande importanza a quella malattia. I nostri contadini sono avvezzi alle febbri che ne fanno poco caso.

Essi dicono:

— La febbre terzana i giovani li risana ed ai vecchi fa suonar la campana.

Nanna era giovane, non c'era pericolo.

— E poi la febbre se l'è pigliata in risaia, si sa cos’è — osservava Maddalena. — Povera donna! — Anche il colera si sa cos'è. Ma per lei quella considerazione era rassicurante.

Nanna rimase all'ospedale circa due settimane; ed ogni giorno di visita Maddalena andò a vederla colle tasche rigonfie di tali provviste di commestibili, da dare l'indigestione ad un facchino. Ed ogni volta venne frugata alla porta, e le furono sequestrate quelle larghezze, ed entrò dalla figliuola a tasche vuote, brontolando contro i regolamenti severi dell'ospedale.

Però, grazie a quei regolamenti severi, l'ammalata non commise imprudenze, e poté guarire in poco tempo. Martino andò anch'esso a veder Nanna ogni festa; sedeva accanto al letto, spesso stava zitto una mezz'ora, ed era poi tutto impacciato nel dare un bacio alla figliola malata prima d'andarsene. Quando parlava le diceva dell'argento: la mamma lo aveva comperato coi denari di lui uniti a quelli del lavoro in risaia. Erano tutti spilli faccettati, grossi come noci; e lucenti!

— Hai da parere il sole. Non ti si potrà guardare

E rideva, e si mostrava contento, poveretto. Ma nell'uscire dalla crociera, in mezzo a quelle due file di letti azzurri, lasciando dietro la sua figliola, pensava che potrebbero morire le malate dei letti vicini, e che Nanna si troverebbe distesa fra due morte. E brontolava:

Maledetto argento! — avrebbe dovuto dire: — Maledette risaie! — Prendeva la causa per l'effetto; e che causa indiretta anche!


 

Quando Nanna fu in grado di lasciar l'ospedale, la mamma andò a prenderla col prezioso involto dell'argento, bene avviluppato in una carta, e la carta in un fazzoletto.

Nanna si rallegrò tutta. Svolse il piego sul letto, si vestí in fretta, e Maddalena la pettinò per la prima volta col suo bel raggio di spilloni luccicanti.

Ora , che sei proprio una giovane da marito — le diceva la mamma guardandola con amore.

Nanna lo sentiva bene che quegli spilloni le aprivano una vita nuova e nuovi orizzonti, ed era felice come furono felici le mie belle lettrici al loro primo abito lungo.

Camminando a fianco di Maddalena nelle contrade di Novara, torceva il collo ad ogni negozio per guardarsi nelle vetrine. Nel passare dinanzi al caffè Cavour, che in quell'ora mattutina era aperto, impannate e tende, si vide addirittura riflessa tutta, in un bello specchio che ornava la parete.

Nanna non si limitò a guardarsi alla sfuggita come avrebbe fatto una signorina, anche nell'ebbrezza del suo primo strascico. Corse a piantarsi sull'ingresso del caffè in faccia allo specchio, e si diede a contemplarsi a tutt'occhi gridando:

— Oh mamma? Guardate, mamma!

E giungeva le mani, e se le stringeva fra le ginocchia nell'eccesso della meraviglia e della gioia, e rideva fino a perderne il fiato; poi tornava a contemplarsi, e tornava a ridere.

Quell'aggiunta alla sua toletta, e la contentezza che le raggiava nel volto, impedirono al babbo di Nanna ed ai conoscenti di osservar troppo che era magra, palliduccia assai, e che aveva le labbra quasi bianche.

Del resto aveva un tale appetito da convalescente che in una settimana riprese un po' di colore, ed apparve meno smagrita, e nessuno pensò piú alla sua malattia, ella stessa meno di tutti.

Quando scontrava le compagne di lavoro, le dicevano:

— Verrai in risaia alla mondatura, Nanna?

— Non so; ci ho preso le febbri.

— Oh, cosa importa! Ora sono passate. Si soffre soltanto la prima volta, poi ci si avvezza. Ed alla mondatura si guadagna benino. In principio pagano la giornata una lira; ma piú si va innanzi, piú il prezzo aumenta. Io l'anno scorso alla fine di giugno prendevo due lire al giorno.

— E le febbri non le hai pigliate?

; ma cessarono presto. Ed intanto ho guadagnate quasi quaranta lire. Sarà tanta roba di piú che porterò in dote quando andrò a marito.

Dacché non si stava piú nella stalla a veglia, Gaudenzio si faceva veder di rado alla cascina dei Lavatelli. C'era andato un giorno passando, e Nanna, che era appena tornata dall'ospedale, era corsa fuori dalla cucina per farsi vedere coll'argento.

— Ah! Ce l'avete, l'argento — aveva detto il carrettiere. Poi, coll'usata brutalità, aveva soggiunto facendosi scorrere una mano sul petto, e guardando il povero seno piatto di Nanna:

— Ma mi pare che qui vi sia passata la pialla di San Giuseppe.

Nanna s'era confusa e, voltando le spalle, era fuggita in cucina. D'allora non l'aveva piú veduto; ed aveva pensato parecchio che le mondatrici lo rivedrebbero in risaia. Egli l'aveva detto laggiù nel salutarle l'ultima domenica.

— Ci rivedremo alla mondatura.

Intanto s'era ai primi di giugno, e Nanna s'impazientava di quella lunga assenza. Si provò a dire ai parenti:

— Vorrei andar a mondar i risi.

Lascia un po' stare per quest'annodisse Martino. — Ti sei già pigliate le febbri.

— Che male mi hanno fatto le febbri? Sono venuta piú grande, e mangio piú di prima

Sicuro! La febbre terzana, i giovani li risanaappoggiò col solito proverbio Maddalena, che desiderava di compiacere la figliuola.

Del resto ella stessa, nella sua gioventú, era andata regolarmente in risaia a tutti i lavori, ci aveva buscate le febbri due volte su tre, e ci era sempre tornata.

— E non ne sono mortadiceva.

Infatti non era morta; ed è raro che si muoia di quelle male vite; ma si sciupa la salute e la gioventù. A trent'anni si è vecchie. Maddalena ne aveva appena trentanove e ne dimostrava sessanta.

— Ma dove vuoi andare? — Tornò a dire Martino. — Ora la mondatura è cominciata. I giornalieri di Trecate sono partiti ieri l'altro.

C'è Beppe il sensale che cerca ancora delle donne per supplire quelle che si ammalerannorispose Nanna, che aveva il suo progetto. — Posdomani porterà via la Teresa di Galliate e la figlia del cantoniere, che erano già alla zappatura e poi all'ospedale con me.

— Ebbene, fa come vuoi — sospirò Martino. — Ma guardati dalle febbri, la mondatura è un lavoro grave, sai.

— Eh! Lasciate, babbo. È stato il freddo della sera che m'ha fatto male. In aprile pioveva sempre. Ma ora fa caldo anche di notte.

E si diede tutta lieta a fare il conto, che le rimanevano venti giornate di lavoro prima che la mondatura fosse finita; e Beppe, il sensale, assicurava una lira e ottanta centesimi al giorno; in tutto trentasei lire da guadagnare pel suo corredo.

Ed a chi lo porterebbe quel corredo? Codesto lo pensava soltanto; e pensava gli atteggiamenti spavaldi di Gaudenzio, ed i suoi trionfi. Chi sa?

L'indomani Martino dovette tirar fuori il vecchio piede di calza in cui riponeva, man mano che li raggranellava, i quattrini della pigione, e cavarne quattro lire, quattro belle lire, da dare al sensale come caparra per le venti giornate di lavoro della figliola; venti centesimi ogni giornata.

E per la seconda volta Nanna, pallida e magra ancora, lasciò la sua casa, ed andò nelle risaie alla guardia di Dio.





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