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Maria Antonietta Torriani Torelli-Viollier alias Marchesa Colombi
In risaia

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I

C'era un cascinale tra Novara e Trecate, con un tenimento annesso coltivato ad orto.

Ci si giungeva per un viale senza alberi costeggiato da una siepe viva di robinie, che metteva nel cortile. In fondo al cortile c'era la casa; dietro la casa si stendeva l'orto.

A destra di chi entrava nel cortile passava una fonte, un canale scoperto, che serviva ad irrigare il terreno, a lavare erbaggi e panni, a far diguazzare le oche.

La casa somigliava a tutte le case coloniche del basso novarese. Dalla parte della fonte, c'era un fienile, e sotto il fienile la stalla. Nel corpo della casa, ai due lati, s'aprivano due usci a terreno, che mettevano a due cucine. Quella a destra aveva annessa un'altra camera, grande egualmente, che era stata divisa a metà da un tavolato, per farne un forno sul di dietro della casa, ed una stanza da letto sul davanti. Questo alloggio occupava due terzi del piano terreno. L'altro terzo era formato dalla seconda cucina a sinistra.

Una scala di legno, all'aperto, metteva ad un balcone di legno anch'esso, sul quale aprivano due usci, sovrastanti a quelli del piano terreno.

L'uscio a sinistra metteva in una camera da letto unica, come la cucina di sotto. L'uscio a destra metteva a due camere da letto, una sopra la cucina, l'altra sul forno e sulla cameruccia terrena.

Quel cascinale s'affittava in due lotti. Il primo — la cucina e la camera di sopra, con un terzo dell'orto — era passato in parecchie mani, perché era meschinuccio, e non ci si cavava da vivere. Nell'altro più grande, abitava da tempo immemorabile una famiglia Lavatelli, ormai ridotta al babbo ed alla mamma, con un figlio ed una figliola.


Nanna, la figliola dei Lavatelli, aveva passata l'infanzia a custodire le oche. Ne aveva dodici, e davano della bella piuma, che Maddalena, come tutte le buone mamme, metteva da parte ad ogni spennatura, ed accumulava per farne poi il letto nuziale della fanciulla

E Nanna andava superba delle sue oche, e di quegli apparecchi fatti per lei.

Quando la figliola ebbe poco piú di dieci anni, la mamma disse:

— Bisogna cercare un'altra piccina per condur fuori le oche. I fanciulli che custodiscono le vacche, e le fanciulle che guidano i paperi, si scontrano nei campi, e si baloccano insieme. E questo è bene soltanto nell'età dell'innocenza; e Nanna ha dieci anni, l'età dell'innocenza è passata.

Martino trovò tutta la profondità di giudizio dei sette Savi della Grecia in quelle sentenze della sua massaia. Le oche vennero affidate ad una bambina di otto anni e, cresciuta quella, ad un'altra; erano custodite dall'aprile al novembre per 50 centesimi ogni oca. Facevano sei lire all'anno, che la famiglia spendeva per evitare a Nanna la comunanza di giochi coi piccoli mandriani.

E Nanna andava superba anche di questo, che le dava una certa superiorità sui suoi compagni.

Quando li scontrava, o li vedeva passare al di là della siepe, e le gridavano:

— Eh! Nanna! Non vieni piú fuori colle oche? — ella rispondeva:

— La mamma non vuole piú, perché non ho piú l'età dell'innocenza.

Ma ci metteva un orgogliuzzo come se dicesse: — Perché sono una principessa. — E soggiungeva dandosi importanza:

— Noi paghiamo la Margheritina perché stia a curare le mie oche — ed ancora aveva l'aria di dire: — Abbiamo della servitú.

Non ci metteva malizia; punto. Era quel tantino d'orgoglio che è comune ai figlioli, i quali vedono i parenti continuamente preoccupati di loro. Pensano: — Se si danno tanta briga di me, vuol dire che sono un piccolo personaggio di conto.

Del resto l'orgogliuzzo di Nanna non le impediva di lavorare nell'orto nella misura delle sue forze e della sua capacità. Non le veniva nemmanco in mente che si potesse sdegnare il lavoro. Mondava le aiuole, raccoglieva gli erbaggi, li lavava alla fonte, aiutava a disporli nei cesti che la mamma portava poi sul mercato di Trecate o di Novara.

In quel cascinale, quando Nanna aveva dieci anni non c'erano altre bambine; e gli inquilini dell'alloggio a sinistra, appena vedevano la fanciulletta le gridavano in tono vezzeggiativo:

— Hai sradicate le carote? — oppure — Stai lavando l'insalata, Nanna? Oh la brava bimba! Sembri una donnina.

E se scontravano il suo babbo o la mamma: — Buon dí Martino; buon dí Maddalena; e la Nanna?

E la sera, che si passava d'estate nel cortile, sulla trave stesa contro il muro di casa a guisa di panca, e d'inverno nella stalla, era sempre Nanna che girellava intorno, un po' accanto all'uno, un po' accanto all'altro. Interrompevano i discorsi per giocare con lei; le chiudevano gli occhi per farle indovinare chi fosse; le narravano fole, s'intrattenevano dei suoi trastulli e de' suoi piccoli interessucci da bimba. Il fratellino, tra perché era un maschio, tra pel suo carattere taciturno e selvatico, non attirava i vezzi; stava in disparte.

Cosí Nanna si avvezzò ad occupare la gente di sé. Era naturalmente appassionata; e quell'attenzione esclusiva che le accordavano le creava intorno un'atmosfera d'affetto in cui si trovava bene ed era contenta.


 

Il tempo passò. Nanna venne su grande, e si fece bella. Non aveva una robustezza esuberante; ma era sana e forte assai, per una fanciulla cresciuta in quelle pianure contornate da risaie, sepolte nei vapori malsani delle praterie.

Era magrina ma aggraziata; alta, con un visetto tondo, due occhi grigi larghi larghi, una boccuccia stretta; ed il labbro superiore troppo corto lasciava sempre scoperti i denti incisivi.

Aveva i capelli di quel biondo opaco, gialliccio, senza riflessi, che è generale nelle contadine, le quali bagnano il capo coll'acqua nel pettinarsi, e stanno esposte al sole. Ma erano folti, lunghi, e quando, la sera del sabato, la mamma glieli scioglieva nel cortile per rifarle l'acconciatura, le facevano uno splendido mantello che le ricadeva fin sotto le ginocchia. E sebbene, a pettinatura compiuta, fossero stretti sulla nuca in due treccie serrate come corde, non si poteva fare a meno di notare che formavano un grosso volume, e che, disposti altrimenti ed altrimenti curati, sarebbero stati meravigliosi.

La carnagione era come i capelli. Avrebbe potuto essere bellissima. Era di natura bianca, liscia, fina; ma il sole e l'aria l'avevano abbrunita un pochino, di un bruno lieve e dorato.

Ad onta di questi néi, però, Nanna era bella, e certo non figurava male accanto alle altre fanciulle, perché nessuna era piú bianca e meglio bionda di cosí. Le contadine dal volto fresco di latte e di rosa, e dalle chiome d’oro, sono roba da Arcadia

Una sera d'inverno, mentre la famiglia radunata in cucina, stava cenando prima d'andare nella stalla a veglia, la mamma disse:

— Ora la Nanna è una giovane da marito.

— Quanti anni ha? — domandò il capo di casa, che, nella sua superiorità da uomo, non si occupava a tenere il conto esatto di quei particolari.

— Ne ha due piú di Pietro. Fate il vostro conto. Alla seminagione dei risi saranno diciassette. Vi ricordate che quell'anno non ho potuto andar in risaia perché ero nei quaranta giorni?

— Che cosa sono i quaranta giorni, mamma? — domandò Pietro.

— I quaranta giorni sono... quaranta giorni! — disse Maddalena coll'aria furba di chi ha trovato una scappatoia ingegnosa; e soggiunse:

— Non si avrebbe mai a parlar di nulla davanti all'innocenza. — Cosí non c'era piú pericolo che Pietro, a quattordici anni, non indovinasse che là sotto c'era un mistero. Poi riprese il discorso interrotto:

— Dicevo che Nanna ha diciassette anni a momenti, e bisognerà comperarle gli spilloni d'argento. Questo carnevale potrebbe andare a marito; ma, se non ha l'argento in capo, nessun giovane si presenterà

Questo era vero; quella brutta e fredda aureola di metallo, è l'armatura di cui si rivestono le fanciulle delle nostre campagne per entrare nella lizza amorosa. Vi sono nei musei ornitologici parecchi uccelli che, all'epoca dei loro amori, si ricoprono di penne eccezionalmente splendide; le nostre contadine mettono gli spilloni nelle treccie; sono le loro penne d'amore.

Era vero; ma le annate non correvano buone. Gli orti rendevano pochino; l'affitto era gravoso, ed il proprietario metteva un'esattezza desolante nel riscuoterlo.

La massaia sottopose alle savie riflessioni del marito questi due fatti indiscutibili: 1° — Che gli spilloni costavano almeno tre lire ciascuno; 2° — Che per farne un bel giro ce ne volevano ventiquattro.

— Settantadue lire! — disse Nanna che aveva già fatto e rifatto a sazietà quel conto sulle sue dieci dita e, da circa un anno, si addormentava ogni sera verificandolo, poi lo sognava la notte.

— Settantadue lire?! — gridò Pietro al colmo della meraviglia. — Ci sarebbe da comperare tre maialini e mezzo! — e guardò con una specie di venerazione quella sorella, che doveva portare tre maialini e mezzo intorno alle sue treccie bionde.

— Settantadue lire! — sospirò la mamma chinando piú e piú volte il capo come per dire:

— Sí, è proprio questa somma enorme che ci occorrerebbe.

Ed il babbo gemette anch'esso:

— Settantadue lire! Come si fa?


 

Nell'inverno, quando Maddalena e la figliola stavano a filare nella stalla colle vicine, ci capitava qualche giovinotto; e fra gli altri ci capitava Gaudenzio, un carrettiere che faceva trasporti di calce, ghiaia e letame pei proprietari dei dintorni; e qualche volta comperava piccoli carichi di legna da ardere, e li rivendeva poi per suo conto sul mercato di Novara.

Quel Gaudenzio era l'ammirazione di tutte le fanciulle del circondario.

— Ha tutta l'aria d'un cittadino — dicevano.

Ed ecco perché Nanna pensava e sognava gli spilloni d'argento.

Quando vedeva Gaudenzio camminare, colle mani in tasca, i gomiti indietro, respingendo una spalla poi l'altra, e piegandovi dietro la testa a misura che avanzava l'una poi l'altra gamba, Nanna diceva tra sé:

— Ah! Come cammina! Ecco; è cosí che debbono camminare i signori di Novara.

Gaudenzio portava la capigliatura divisa sulla tempia sinistra, e rialzata sulla destra in un enorme ciuffo di setole ritte, come tanti pugnali che sfidassero il cielo. E proprio sulla discriminatura, posava un cappellino minuscolo, che non aveva la menoma proporzione colle dimensioni spropositate del suo capo e della sua zazzera. Lo schiacciava là, con un'estremità della tesa sull'orecchio sinistro, e l'altra ritta in su, in linea verticale. Era prodigioso, come quel cappello stesse là sospeso tra cielo e terra. No; non c'era altri come Gaudenzio per saper vestire e farsi bello; Nanna ne era profondamente convinta. E Gaudenzio poi! Egli si credeva affatto irresistibile. Si presentava nelle stalle dinanzi a gruppi di belle ragazze coll'aria spavalda, dondolandosi sui fianchi, e sorridendo beatamente. E da tutta la persona s'indovinava la fatuità de' suoi pensieri. — Eccomi qui, son bello eh? A voi; chi mi piglia? Mi vorreste tutte, nevvero?

Ed ogni volta che volgeva il discorso ad una ragazza, il suo povero cervellino pensava:

— Ecco una fanciulla fortunata; ed eccone altre che la invidiano!

E dire che era proprio cosí! Le donne volgari si riconoscono a questo sintomo. Vestano di cotonina o di seta, abitino una cascina o un palazzo, vadano scalze o si facciano trascinare in carrozza, amano sempre la spavalderia dei Don Giovanni.

— Ah! Se avessi l'argento! — sospirava Nanna nel suo giovane cuore.

Ma, l'avesse pure avuto, Gaudenzio non era uomo da apprezzare quella bellezza delicata. Il bello ideale era arabo o sanscrito per lui. Ammirava le spalle tarchiate, i fianchi sporgenti, le gambe grosse come colonne, i petti turgidi da squarciare il corsetto, le guancie infiammate.

— Che bel pezzo di donna! — esclamava quando vedeva qualcuna di quelle contadinotte massiccie che scoppiavano di salute. — Che petto! Che fianchi! Quella è ben piantata! Forte come un tronco! Bella donna, per bacco!

E Nanna, poveretta, che non so se credesse all'infallibilità del papa, ma senza dubbio aveva una fede cieca nell'infallibilità di gusto del carrettiere, desiderava quel petto spropositato, e quei fianchi volgari; guardava con rincrescimento la sua personcina snella; e sospirava umiliata, considerando le rotondità rosee ma lievemente ricolme del suo seno verginale.

Intanto però, il lungo riposo dell'inverno, lo stare continuamente rinchiusa al riparo dalle esalazioni malsane di quelle pianure, ed il freddo salutare che rinvigoriva l'appetito, riescirono a dare una floridezza tutta nuova alla persona di Nanna, che si vedeva, con gioia indicibile, arrotondata e colorita come non era stata mai.

Quell'anno il carnovale era lunghissimo; durò fino ai primi di marzo. L'ultima sera i giovinotti giunsero mascherati nella stalla, ed uno aveva la fisarmonica per far ballare.

Gaudenzio s'era fatto dei calzonacci alla turca colla vecchia gonnella d'una massaia ed aveva attorcigliato intorno al capo uno scialle di lana a foggia di turbante. Il volto era coperto da una pezzuola; ma lo riconobbero all'andatura, ed alla maniera meravigliosa di posare il turbante sull'orecchio.

Tutte le fanciulle gli furono intorno; ed avrebbero giurato sul vangelo della parrocchia che in tutta la Turchia non c'era un turco piú bello di quello là.

Nanna al vederlo ripensò con delizia che quel giorno il suo vestito da festa s'era trovato un po' stretto all'altezza del seno, e si assicurò colla mano, che rimaneva proprio aperto un palmo sotto la pezzuola.

Ella pure si fece innanzi impettita a salutare il bel Turco; ed egli le dimostrò la sua approvazione facendole danzare una polka, e le disse:

— Ora sí che va bene. Cominciate a mettervi un po' di carne intorno. I vostri gomiti non pungono piú, le gonnelle non vi cadono piú dai fianchi — ma dicendo soltanto cosí, per rispetto alla modestia, egli fissava gli occhi sulla pezzuola che copriva l'apertura dell'abito sul petto.

— È tutta fatica de' miei denti — rispose Nanna con piglio indifferente. — Ma quei commenti indiscreti sulla sua persona, sebbene la facessero arrossire come una fragola, scesero dolci nel suo cuore; le parvero note d'amore, e piú e piú volte se le ripeté nel pensiero, e ne fu inebriata, come lei, elegante lettrice, s'inebriò della romanza soave che scrisse quel tal giorno, nel foglio piú riposto del suo albo, un poeta sospirato e bello.


 

Dopo quel discorso fatto in principio d'inverno, e chiuso penosamente da un «Come si fa?» sospirato dal capo di casa, non s'era piú parlato di mettere a Nanna gli spilloni d'argento.

Ma, finito il carnovale, si cominciarono a commentare i matrimoni combinati nelle stalle per celebrarsi poi alla Pasqua.

E Maddalena disse:

— La tale ha l'età di Nanna; e la tal altra ha appena un anno di piú; e la sorella di Menichina ha sei mesi di meno; e nessuna ha da parte una provvista di piuma come la nostra Nanna; se avesse avuto l'argento l'avrebbero domandata in moglie anche lei.

Quanto a Martino, pover'uomo, non la vedeva cosí male che la sua figliola rimanesse ancora un po' di tempo in casa. Ci aveva gusto a guardare quel volto chiaro e quella testa bionda, che risaltava come una bella pittura sul fondo grigio della cucina. E quando la vampa sorgeva impetuosa nel focolare, e trovando nella pentola un ostacolo a salire, le guizzava intorno, l'avvolgeva tutta come per divorarla, e Nanna si piantava dinanzi al camino armata della mestola per impedire alla minestra di traboccare, Martino godeva un bel momento seguendo coll'occhio le linee eleganti di quella macchietta scura in quella cornice fiammante.

Non ne diceva nulla; non era uomo da espansioni; ma gongolava tutto di dentro, al pensare che quella bella grazia di Dio era la sua figliola.

Tuttavia la sua donna pareva cosí offesa che Nanna a diciassette anni non avesse ancora trovato marito, ed anche Nanna se ne mostrava cosí mortificata, che il babbo ricominciò i suoi calcoli.

— Ecco; fino a trenta lire potrei arrivarci — disse.

La moglie alzò le spalle, e la figliola si mise a gridare:

— Cosa possiamo fare con trenta lire?

— Ma, se non ne ho di piú! Volete che vada a rubare?

Pover'uomo. Trenta lire! Trenta giornate di sudore; trenta goccie del suo sangue! Le dava, là, sulla tavola, per comperare degli spilli; lui, che viveva di legumi e cattivo pane di grano turco; e mangiava appena un po' di carne nelle grandi solennità; e beveva acqua tutta la settimana; e lavorava da un capo d'anno all'altro come un condannato! Era magnifico d'abnegazione; era generoso; era grande. E disprezzavano il suo dono! Se avesse potuto misurare tutta l'immensità di quell'ingiustizia, avrebbe detto che le sue donne erano ingrate e crudeli.

Ma non disse nulla. L'uso rendeva quella spesa cosí indispensabile, che l'esigenza delle donne era giustificata ai suoi occhi; egli era crucciato soltanto di non poter dare di piú. Tornò a borbottare:

— Se non ne ho!

— Io potrei andare a zappare i risi quest'aprile — disse Nanna.

— Non potresti fare piú di trenta giornate — osservò Maddalena — perché alla metà di maggio la zappatura dev'essere finita. Trenta giornate, a settantacinque centesimi al giorno.

— Farebbero ventidue lire e cinquanta centesimi — disse Nanna, che aveva il bernoccolo del calcolo. — Mancherebbero ancora venti lire.

— Se non mi avete bisogno a casa, posso andare in risaia anch'io — propose Pietro.

— Sicuro! — appoggiò il babbo, contento di trovare quella soluzione relativamente facile al difficile problema. — Hai quindici anni, puoi guadagnare anche tu settantacinque centesimi; la paga d'una donna.

Pietro era felice di contribuire alla grande spesa dell'argento. Aveva il carattere di suo padre; era buono sino al sacrificio; aveva l'istinto del bene, e lo secondava.




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