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Francesco Maria Piave I due Foscari IntraText CT - Lettura del testo |
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Scena quarta. Doge, Lucrezia, Servo
Stanze private del Doge. Una gran tavola coperta di damasco, con sopra una lumiera di argento; una scrivania e varie carte; di fianco un gran seggiolone.
Il Doge, appena entrato, si abbandona sul seggiolone
DOGE: Eccomi solo alfine . . . Solo! . . . e il sono io forse? Dove de'Dieci non penetra l'occhio? il pensiero perfino m'è osservato . . . Prence e padre qui sono sventurato! come l'avel t'avrà; più lagrime non ha. (Entra un servo, poi Lucrezia Contarini)
DOGE: (Altra infelice!) Venga. (Non iscordare, Doge, chi tu sia) (a Lucrezia, Andandole incontro ) Figlia . . . t'avanza . . . Piangi?
Che far mi resta, se mi mancan folgori a incenerir queste canute tigri che de'Dieci s'appellano Consiglio? . . .
DOGE: Donna, ove parli, e a chi, rammenta . . .
Il so.
DOGE: Le patrie leggi qui dunque rispetta . . .
hai condannato un figlio . . .
DOGE: Non insultarmi, piangere Ogni mio ben darei . . .
Non la conosci ancora?
DOGE: Sì . . . ma intercetto un foglio
DOGE:
DOGE: Vorrei . . . nol posso . . .
DOGE: Commossa ho tutta l'anima . . .
DOGE:
DOGE: No . . . di Venezia il principe in ciò poter non ha.
Se tu dunque potere non hai, vieni meco pel figlio a pregare . . . Il mio pianto, il tuo crine, vedrai, Questa almeno, quest'ultima prova, ci sia dato, signor, di tentare;
DOGE: m'astringerà il dolor!)
Tu piangi . . . la tua lagrima
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