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Francesco Maria Piave La forza del destino IntraText CT - Lettura del testo |
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Scena seconda. Curra, Marchese di Calatrava, Leonora
Curra segue il Marchese, chiude la porta ond'è uscito, e riviene a Leonora abbandonatasi sul seggiolone piangente
CURRA: Temea restasse qui fino a domani. Si riapre il veron. Tutto s'appronti, e andiamo. (Toglie dall'armadio un sacco da notte in cui ripone biancherie e vesti)
LEONORA: E si amoroso padre, avverso fia tanto ai voti miei? No, no, decidermi non so.
CURRA: Che dite?
LEONORA: Quegli accenti nel cor, come pugnali scendevanmi. Se ancor restava, appreso il ver gli avrei . . .
CURRA: (smettendo il lavoro) Domani allor nel sangue suo saria Don Alvaro, od a Siviglia prigioniero, e forse al patibol poi!
LEONORA: Taci.
CURRA: E tutto questo perché ei volle amar chi non l'amava.
LEONORA: Io non amarlo? Tu ben sai s'io l'ami . . . Patria, famiglia, padre per lui non abbandono? Ahi, troppo, troppo sventurata sono! Me, pellegrina ed orfana, Lungi dal patrio nido. Un fato inesorabile Sospinge a stranio lido; Colmo di triste immagini, Da' suoi rimorsi affranto. È il cor di questa misera Dannato a eterno pianto, ecc. Ti lascio, ahimé, con lacrime, Dolce mia terra, addio; Ahimé, non avrà termine Per mi sì gran dolore! Addio.
CURRA: M'aiuti, signorina, più presto andrem.
LEONORA: S'ei non venisse? (Guarda l'orologio) È tardi. Mezzanotte è suonata! (contenta) Ah no, più non verrà!
CURRA: Qual rumore? Calpestio di cavalli!
LEONORA: (corre al verone) È desso!
CURRA: Era impossibil ch'ei non venisse!
LEONORA: Ciel!
CURRA: Brando al timore.
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