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Antonio Somma Un ballo in maschera IntraText CT - Lettura del testo |
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Quadro secondo. Popolane, Ulrica, Gustavo, Cristiano, Amelia, Horn, Ribbing, Oscar, Anckarström
A sinistra un camino, il fuoco è acceso, e la caldaia magica fuma sovra un treppiè; dallo stesso lato l'uscio d'un oscuro recesso. Sul davanti, una piccola porta segreta. Nel fondo, l'entrata della porta maggiore con ampia finestra da lato. In mezzo, una rozza tavola, e pendenti dal tetto e dalle pareti stromenti ed arredi analoghi che al luogo. Nel fondo uomini e donne del popolo. Ulrica presso la tavola; poco distanti, un fanciullo ed una giovinetta che le domandano la buona ventura.
POPOLANE: Zitti . . . l'incanto non dèssi turbare. Il demonio tra breve halle a parlare.
ULRICA: Re dell'abisso, affrettati, Precipita per l'etra, Senza librar la folgore Il tetto mio penétra. Omai tre volte l'upupa Dall'alto sospirò; La salamandra ignivora Tre volte sibilò . . . E delle tombe il gemito Tre volte a me parlò.
(Gustavo entra vestito da pescatore, avanzandosi tra la folla, né scorgendo alcuno dei suoi)
GUSTAVO: Arrivo il primo!
POPOLANE: (respingendolo) Villano, dà indietro. (Gustavo s'allontana ridendo) Oh, come tutto riluce di tetro!
ULRICA: (con esaltazione, declamando) È lui, è lui! ne' palpiti Come risento adesso La voluttà riardere Del suo tremendo amplesso! La face del futuro Nella sinistra egli ha. M'arrise al mio scongiuro, Rifolgorar la fa: Nulla, più nulla ascondersi Al guardo mio potrà! (Batte al suolo esparisce)
POPOLANE: Evviva la maga!
ULRICA: (di sotterra) Silenzio, silenzio!
CRISTIANO: (rompendo la calca) Su, fatemi largo, saper vo' il mio fato. Del re sono servo, son suo marinaro: La morte per esso più volte ho sfidato; Tre lustri son corsi del vivere amaro, Tre lustri che nulla s'è fatto per me.
ULRICA: (ricomparendo) E chiedi?
CRISTIANO: Qual sorte pel sangue versato mi attende.
GUSTAVO: (Favella da franco soldato)
ULRICA: (a Cristiano) La mano.
CRISTIANO: Prendete.
ULRICA: (osservando la mano) Rallegrati omai: In breve dell'oro e un grado t'avrai.
(Gustavo trae un rotolo e vi scrive su)
CRISTIANO: Scherzate?
ULRICA: Va pago.
GUSTAVO: (ponendolo in tasca a Cristiano che non s'avvede) (Mentire non de')
CRISTIANO: A fausto presagio ben vuolsi mercè. (Frugando trova il rotolo su cui legge estatico) "Gustavo al suo caro Cristiano uffiziale." Per bacco! . . . non sogno! dell'oro ed un grado! Evviva! Evviva!
POPOLANE: Evviva la nostra Sibilla immortale, Che spande su tutti ricchezze e piacer. (S'ode picchiare alla piccola porta)
POPOLANE: Si batte! (Ulrica va ad aprire ed entra un servo)
GUSTAVO: (Che veggo! sull'uscio segreto Un servo d'Amelia!)
SERVO: (sommessamente ad Ulrica, ma inteso da Gustavo) Sentite: la mia Signora, che aspetta là fuori, vorria Pregarvi in segreto d'arcano parer.
GUSTAVO: (Amelia!)
ULRICA: S'inoltri, ch'io tutti allontano.
GUSTAVO: (Non me) (Il servo parte)
ULRICA: Perché possa rispondere a voi È d'uopo che innanzi m'abbocchi a Satano; Uscite, lasciate ch'io scruti nel ver.
CRISTIANO, POPOLANE: Usciamo, si lasci che scruti nel ver. (Mentre tutti s'allontanano, Gustavo s'asconde. Amelia entra agitatissima)
ULRICA: Che v'agita cosi? AMELIA Segreta, acerba Cura che amor destò . . .
GUSTAVO: (nascosto) (Che ascolto!)
ULRICA: E voi cercate?
AMELIA: Pace . . . svellermi dal petto Chi sì fatale e desolato impera! Lui, che su tutti il ciel arbitro pose.
GUSTAVO: (Che ascolto? Anima mia!)
ULRICA: L'oblio v'è dato. Arcane Stille conosco d'una magic'erba, Che rinnovella il cor . . . Ma chi n'ha d'uopo Spiccarla debbe di sua man nel fitto Delle notti. Funereo È il loco.
AMELIA: Ov'è?
ULRICA: L'osate voi?
AMELIA: (risoluta) Sì, qual esso sia.
ULRICA: Dunque ascoltate: Della città all'occaso, Là dove al tetro lato Batte la luna pallida Sul campo abbominato . . . Abbarbica gli stami, A quelle pietre infami, Ove la colpa scontasi Coll'ultimo sospir!
AMELIA: Mio Dio! qual loco!
ULRICA: Attonita e già tremante siete?
GUSTAVO: (Pover cor!)
ULRICA: V'esanima?
AMELIA: Agghiaccio . . .
ULRICA: E l'oserete?
AMELIA: Se tale è il dover mio Troverò possa anch'io.
ULRICA: Stanotte?
AMELIA: Sì.
GUSTAVO: (Non sola: Ché te degg'io seguir)
AMELIA: Consentimi, o Signore, Virtù ch'io lavi 'l core. E l'infiammato palpito Nel petto mio sopir.
ULRICA: Va, non tremar, l'incanto Inaridisce il pianto. Osa e berrai nel farmaco L'oblio de'tuoi martir.
GUSTAVO: (Ah! Ardo, e seguirla ho fisso Se fosse nell'abisso, Pur ch'io respiri, Amelia, L'aura de' tuoi sospir)
VOCI: (dal fondo) Figlia d'averno, schiudi la chiostra, (spinte alla porta) E tarda meno a noi ti mostra.
ULRICA: (ad Amelia) Presto, partite . . . Addio.
AMELIA: Stanotte . . . Addio.
GUSTAVO: (Non sola: ché te degg'io seguir!)
(Amelia fugge per la porta segreta. Ulrica apre l'entrata maggiore: entrano Horn, Ribbing e aderenti, Oscar, gentiluomini e ufficiali travestiti bizzarramente, ai quali s'unisce Gustavo)
HORN, RIBBING, CORO: Su, profetessa, monta il treppiè, Canta il futuro,
OSCAR: Ma il re dov'è?
GUSTAVO: (fattosi presso a lui) Taci, nascondile che qui son io. (poi volto rapidamente ad Ulrica) Or tu, Sibilla, che tutto sai, Della mia stella mi parlerai.
HORN, RIBBING, CORO: Canta il futuro, canta il futuro!
GUSTAVO: Di' tu se fedele Il flutto m'aspetta, Se molle di pianto La donna diletta Dicendomi addio Tradì l'amor mio. Con lacere vele E l'alma in tempesta, I solchi so franger Dell'onda funesta, L'averno ed il cielo Irati sfidar. Sollecita esplora, Divina gli eventi: Non possono i fulmin, La rabbia de' venti, La morte, l'amore Sviarmi dal mar.
OSCAR, HORN, RIBBING, CORO: Non possono i fulmin, La rabbia de' venti, La morte, l'amore Sviarlo dal mar.
GUSTAVO: Sull'agile prora Che m'agita in grembo, Se scosso mi sveglio Ai fischi del nembo, Ripeto fra' tuoni Le dolci canzoni, Le dolci canzoni Del tetto natio, Che i baci ricordan Dell'ultimo addio, E tutte raccendon Le forze tua profezia, Di ciò che può sorger Dal fato qual sia; Nell'anime nostre Non entra terror.
OSCAR, HORN, RIBBING, CORO: Nell'anime nostre Non entra terror.
ULRICA: Chi voi siate, l'audace parola Può nel pianto prorompere un giorno, Se chi sforza l'arcano soggiorno Va la colpa nel duolo a lavar. Se chi sfida il suo fato insolente Deve l'onta nel fato scontar.
GUSTAVO: Orsù, amici.
HORN: Ma il primo chi fia?
OSCAR: Io.
GUSTAVO: (offrendo la palma ad Ulrica) L'onore a me cedi.
OSCAR: E lo sia.
ULRICA: (solennemente, esaminando la mano) È la destra d'un grande, vissuto Sotto gli astri di Marte.
OSCAR: Nel vero ella colse.
GUSTAVO: Tacete.
ULRICA: (staccandosi da lui) Infelice . . . Va . . . mi lascia . . . Non chieder di più.
GUSTAVO: Su, prosegui.
ULRICA: No . . . lasciami.
GUSTAVO: Parla.
ULRICA: (evitando) Va . . . Te ne prego.
OSCAR, HORN, RIBBING, CORO (a Ulrica) Eh, finiscila omai.
GUSTAVO: Te lo impongo.
ULRICA: Ebben, presto morrai.
GUSTAVO: Se sul campo d'onor, ti so grado.
ULRICA: (con più forza) No . . . per man d'un amico.
OSCAR: Gran Dio! Quale orror!
HORN, RIBBING, CORO: Quale orror!
ULRICA: Così scritto è lassù.
GUSTAVO: (guardandosi intorno) È scherzo od è follia Siffatta profezia: Ma come fa da ridere La lor credulità!
ULRICA: (passando innanzi a Horn e Ribbing) Ah voi, signori, a queste Parole mie funeste Voi non osate ridere; Che dunque in cor vi sta?
HORN E RIBBING: La sua parola è dardo, È fulmine lo sguardo, Dal confidente dèmone Tutto costei risà. OSCAR, CORO: Ah! Tal fia dunque il fato? Ch'ei cada assassinato? Al sol pensarci l'anima Abbrividendo va.
GUSTAVO: Finisici il vaticnio. Di', chi fia dunque l'uccisor?
ULRICA: Chi primo Tua man quest'oggi stringerà.
GUSTAVO: (con vivacità) Bennissimo. (offrendo la destra ai circostanti che non osano toccare) Qual è di voi, che provi L'oracolo bugiardo? Nessuno!
(Anckarström appare all'entrata)
GUSTAVO: (accorrendo a lui e stringendogli la mano) Eccolo.
HORN, RIBBING, CORO:: È desso!
HORN E RIBBING: (ai loro aderenti) Respiro; il caso ne salvò.
CORO: (contro Ulrica) L'oracolo mentiva.
GUSTAVO: Sì; perché la man che stringo È del più fido amico mio!
ANCKARSTRÖM: Gustavo!
ULRICA: (riconoscendo il re) Il re! . . .
GUSTAVO: (a lei) Né chi fossi il genio tuo Ti rivelò, né che voleano al bando Oggi dannarti.
ULRICA: Me?
GUSTAVO: (gettandole una borsa) T'acqueta e prendi.
ULRICA: Magnanimo tu sei, ma v'ha fra loro Il traditor; più d'uno Forse . . .
HORN E RIBBING: (Gran Dio!)
GUSTAVO: Non più.
CRISTIANO, CORO: (da lontano) Viva Gustavo!
OSCAR, ULRICA, GUSTAVO, ANCKARSTRÖM, HORN, RIBBING: Quai voci?
CORO: (da lontano) Viva!
CRISTIANO: (dal fondo, volto ai suoi) È lui, ratti movete, è lui: Il nostro amico e padre. (Marinai, uomini e donne del popolo s'affollano all'entrata) Tutti con me chinatevi al suo piede E l'inno suoni della nostra fè.
CRISTIANO, CORO: O figlio della patria, Amor di questa terra! Reggi felice, arridano Gloria e salute a te.
OSCAR: Il più superbo alloro Che vince ogni tesoro Alla tua chioma intrecciano RIconoscenza a fè.
GUSTAVO: E posso alcun sospetto Alimentar nel petto, Se mille cuori battono Per immolarsi a me?
ANCKARSTRÖM: Ma la sventura è cosa Pur ne' trionfi ascosa, Là dove il fato ipocrita Veli una rea mercè.
HORN, RIBBING E LORO ADERENTI: (fra loro) Chiude al ferir la via Questa servil genìa, Che sta lambendo l'idolo, E che non sa il perché.
ULRICA: Non crede al proprio fato Ma pur morrà piagato. Sorrise al mio presagio Ma nella fossa ha il piè.
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