IL LOTTO
Ebbene,
a questo popolo eccezionalmente meridionale, nel cui sangue s'incrociano e si fondono
tante gentili, poetiche, ardenti eredità etrusche, arabe, saracene, normanne,
spagnuole, per cui questo ricco sangue napoletano si arroventa nell'odio,
brucia nell'amore e si consuma nel sogno: a questa gente in cui l'immaginazione
è la potenza dell'anima più alta, più alacre, inesauribile, una grande
fantasticheria deve essere concessa.
È gente umile,
bonaria, che sarebbe felice per poco e invece non ha nulla per essere felice;
che, sopporta con dolcezza, con pazienza, la miseria, la fame quotidiana,
l'indifferenza di coloro che dovrebbero amarla, l'abbandono di coloro che
dovrebbero sollevarla.
Felice
per l'esistenza all'aria aperta, eredità orientale, non ha aria; innamorata del
sole, non ha sole; appassionata di colori gai, vive nella tetraggine; per la
memoria della bella civiltà anteriore, greca, essa ama i bianchi portici che si
disegnano sull'azzurro, e invece le tane
dove abita questa gente, non sembrano fatte per gli umani, e dei frutti della
terra, essa ha i peggiori, quelli che in campagna si dànno ai maiali; e vi sono
vivande che non assaggia mai.
Ebbene,
il popolo napoletano rifà ogni settimana il suo grande sogno di felicità, vive
per sei giorni in una speranza crescente, invadente, che si allarga, si
allarga, esce dai confini della vita reale: per sei giorni, il popolo
napoletano sogna il suo grande sogno, dove sono tutte le cose di cui è privato,
una casa pulita, dell'aria salubre e fresca, un bel raggio di sole caldo per
terra, un letto bianco e alto, un comò lucido, i maccheroni e la carne
ogni giorno, e il litro di vino, e la culla pel bimbo e la biancheria per la
moglie e il cappello nuovo per il marito.
Tutte
queste cose che la vita reale non gli può dare, che non gli darà mai, esso le
ha, nella sua immaginazione, dalla domenica al sabato seguente; e ne parla e ne
è sicuro, e i progetti si sviluppano, diventano quasi quasi una realtà, e per
essi marito e moglie litigano o si abbracciano.
Alle
quattro del pomeriggio, nel sabato, la delusione è profonda, la desolazione non
ha limiti: ma alla domenica mattina, la fantasia si rialza, rinfrancata, il
sogno settimanale ricomincia. Il lotto, il lotto è il largo sogno, che consola
la fantasia napoletana: è l'idea fissa di quei cervelli infuocati; è la grande
visione felice che appaga la gente oppressa; è la vasta allucinazione che si
prende le anime.
Ed
è contagiosa questa malattia dello spirito: un contagio sottile e infallibile,
inevitabile, la cui forza di diffusione non si può calcolare. Dal portinaio
ciabattino che sta seduto al suo banchetto innanzi al portoncino, il contagio
del lotto si comunica alla povera cucitrice che viene a portargli le scarpe
vecchie da risuolare; da costei passa al suo innamorato, un garzone di cantina;
costui lo porta all'oste che lo dà a tutti gli avventori, i quali lo seminano
nelle case, nelle officine, nelle altre osterie, fino nelle chiese.
La
serva del quinto piano, a destra, giuoca, sperando di non far più la serva; ma
tutte le serve, di tutti i piani, giuocano, tanto la cameriera del primo che ha
le trenta lire al mese, quanto la vajassa del sesto, che ne prende otto,
con la dolce speranza di uscir dal servizio, così duro; e si comunicano i loro
numeri, fanno combriccola sui pianerottoli, se li dicono dalle finestre, se li
telegrafano a segni. La venditrice di frutta, che sta sotto il sole e sotto la
pioggia, giuoca, e dal suo angolo di strada, in giù, la moglie del sarto, che
cuce sulla porta, la moglie dello stagnino affogata dal fetore del piombo, la
lavandaia che sta tutto il giorno con le mani nella saponata, la venditrice di
castagne che si brucia la faccia e le mani al vapore e al calore del fornello,
la venditrice di noci che ha le mani nere sino ai polsi per l'acido gallico,
tutte queste donne credono nel lotto, giuocano fedelmente, ardentemente, al
lotto.
Nella
stanza stretta, dove otto o dieci ragazze lavorano da sarte, e il bimbo della
sarta dorme nella culla e in un angolo
frigge il lardo nel tegame sul focolare, una dà i numeri, una seconda ne ha
degli altri, la maesta sa i veri, tutte costoro giuocano.
Le
pettinatrici del popolo, le cosidette capere, dal grembiule arrotolato
attorno alla cintura, dalla testa scapigliata, dalle mani unte, che pettinano
per un soldo al giorno, portano in giro i numeri alle loro clienti, ne ricevono
in cambio degli altri, sono il gran portavoce dei numeri. In tutte le officine
dove gli operai napoletani sono riuniti a un lavoro lunghissimo, così male
retribuito, il lotto mette radici profonde; in tutte le scuole popolari
giuocano le maestre e giuocano le alunne grandicelle, in comitiva, riunendo i
soldi della colazione. Dove sono riunite, a vivere di peccato, le disgraziate
donne di cui Napoli ha così grande copia, il lotto è una delle più grandi
speranze: speranza di redenzione.
Ma
non credete che il male rimanga nelle classi popolari. No, no, esso ascende,
assale le classi medie, s'intromette in tutte le borghesie, in tutti i
commerci, arriva sino all'aristocrazia. Dove vi è un vero bisogno tenuto
segreto, dove vi è uno spostamento che nulla vale a riequilibrare, dove vi è
una rovina finanziaria celata ma imminente, dove vi è un desiderio che ha tutte
le condizioni dell'impossibilità, dove la durezza nascosta della vita più si fa
sentire, e dove solo il danaro può esser rimedio, ivi il giuoco del lotto
prende possesso, domina.
Segretamente,
giuocano tutte le ragazze da marito che non hanno un soldo di dote; giuocano
tutti i numerosi impiegati al Municipio, alle Banche, all'Intendenza, al Dazio
Consumo; tutti i pensionati che non possono vivere con la pensione e che non
avendo nulla da fare fanno la cabala, studiano la scienza negromantica
del lotto, giuocano disperatamente e hanno sempre il libretto in pegno; tutti i
commessi di negozio, che guadagnano quaranta lire al mese, sanno i numeri certi
e li giuocano ogni settimana. Grande reddito, al lotto, lo dànno i magistrati:
pagati miserevolmente, essi che rappresentano la più grande equità morale,
esposti a tentazioni che respingono con una inflessibilità degna di maggior
premio, provvisti di molti figli, rovinati dai traslocamenti, la loro
debolezza, la loro speranza consiste nel lotto.
I
piccoli commercianti che si dibattono continuamente con le cambiali e fanno una
lotta quotidiana col fallimento, finiscono per aggrapparsi a questa tavola così
incerta del lotto; i grandi giuocatori di borsa, che vivono sopra il taglio di
un rasoio e son capaci di ballarvi sopra un waltzer, a furia di febbre
del giuoco, assaggiano volentieri la speranza del lotto. Tutti questi sintomi
del male saliente alle classi dirigenti, mi constano, per aver visto, udito,
compreso e intuìto.
Le
signore dell'aristocrazia giuocano, un po' per burletta, un po' con la speranza
di un nuovo braccialetto, un po' per l'oppressione di una nota di sarta che il
marito non salderà mai. Anche quelli che dovrebbero esserne salvi, perchè
abituati al male, perchè ci stanno sempre in mezzo, gli impiegati dei
banchi-lotto, i postieri, non possono resistere alla tentazione. Onde,
alle quattro del sabato, tutti quelli che sono più ammalati, non possono più
aspettare, e si recano all'Impresa, in una stretta strada fra la via Pignatelli
e la via di Santa Chiara, per assistere alla estrazione dei numeri.
Ma
tutte le serve, le venditrici, le operaie e gli operai, le ragazze e
gl'impiegati non possono muoversi di dove sono. E allora un monello parte, va
al più vicino posto del lotto e prende i numeri: tutti aspettano. Le
persone più franche si fanno sulla porta e alle finestre, le vergognose restano
dentro, tendendo l'orecchio. Il ragazzo torna correndo, affannato, si pianta
alla bocca del vicolo e grida i numeri, con voce stentorea:
"Vintiquatto!"
"Sissantanove!"
"Quarantanoie!"
"Otto!"
"Sittantacinche!"
Silenzio
universale: tutti impallidiscono.
Ma
come tutti i sogni troppo pronunziati, il lotto conduce alla inazione ed all'ozio:
come tutte le visioni, esso porta alla falsità e alla menzogna; come tutte le
allucinazioni, esso conduce alla crudeltà e alla ferocia; come tutti i rimedi
fittizi che nascono dalla miseria, esso produce miseria, degradazione, delitto.
Il
popolo napoletano, che è sobrio, non si corrompe per l'acquavite, non muore di delirium
tremens; esso si corrompe e muore pel lotto. Il lotto è l'acquavite di
Napoli.
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