ANCORA IL LOTTO
Il
lotto ha una prima forma letteraria, rudimentale, analfabeta, fondata sulla
tradizione orale come certe fiabe e certe leggende. Tutti i napoletani che non
sanno leggere, vecchi, bimbi, donne, specialmente le donne, conoscono la smorfia,
ossia la Chiave dei sogni a memoria e ne fanno speditamente
l'applicazione a qualunque sogno o a qualunque cosa della vita reale. Avete
sognato un morto?- quarantasette - ma parlava - allora quarantotto - e piangeva
- sessantacinque - il che vi ha fatto paura - novanta. Un giovinotto ha una
coltellata da una donna? - diciassette, la disgrazia - diciotto, il sangue -
quarantuno, il coltello - novanta, il popolo. Cade una casseruola dal suo
chiodo, ammala un bimbo, fugge un cavallo, compare un grosso sorcio: numeri,
subito.
Tutti
gli avvenimenti, grandi e piccoli, sono considerati come una misteriosa
sorgente di guadagno. Muore una fanciulletta di tifo; la madre giuoca i numeri, escono, ella esclama: m'ha
fatte bbene pure murenne! Una moglie parla dell'amore che le portava suo marito,
che è morto; poi soggiunge malinconicamente, che se questo amore fosse stato
grande, egli le sarebbe comparso in sogno, per darle i numeri; e se n'è
scordato, è un ingrato, poichè egli lo sa che essa è poveretta e dovrebbe
aiutarla.
Salvatore
Daniele squarta la Gazzarra: biglietto; il popolo dice: chella è mmorta, mo,
almeno ce refrescasse a nnuie, che simmo vive. Salvatore Misdea ammazza
sette soldati: biglietto. La legge ammazza Misdea: biglietto. Su le porte, nei
bassi, alle cantonate, i numeri sono discussi da comitati e sottocomitati; il
biglietto è stabilito. Non esce: avevano sbagliato, dovevano mettere questo
numero e quest'altro, che sono usciti.
Questa
scienza della smorfia è così profonda, così abituale, che per dare del pazzo a
qualcuno si dice: è nu vintiroie (ventidue, matto), e crescendo man mano
la collera, tutte le ingiurie avendo un numero relativo, si dicono in gergo del
lotto. Una donna dà un pugno ad un'altra, e le rompe la faccia; davanti al
giudice, si scolpa, dicendo: m'ha chiammata sittantotto; il giudice deve
prendere la smorfia e vedere a che corrisponde di oltraggioso quel numero.
La
cabala esiste più per le classi superiori che per le inferiori: ma essa vi
discende. Certo, nel popolo non si comprano giornali cabalistici, settimanali,
dagli strani titoli: il Vero amico, il Tesoro, il Fulmine, il Corno
d'abbondanza, che costano dieci lire all'anno di abbonamento, compilati da
una redazione ignota; nè il popolo corrisponde con quei professori di
matematica che abitano al vico Nocelle dodici, o a San Liborio, quarantotto, o
a vico Zuroli, tre, e che dànno, nelle quarte pagine, la fortuna a chi paga le
dieci lire. Ma qualche cosa vi trapela: il tal signore sa i numeri, lo
aspettano nella strada, gli mettono in mano un paio di lire e quello si
contenta: è un piccolo affare.
L'assistito
(dagli spiriti) è un cancro che rode le famiglie borghesi, un convulsionario
pallido che mangia molto, che finge di avere o ha delle allucinazioni, che non
lavora, che parla per enigmi, che fa credere a delle macerazioni crudeli e che
vive alle spalle di coloro che lo venerano. Ma, dalla casa borghese, per mezzo
della cameriera, del servo, della lavandaia, la reputazione dell'assistito
arriva nel popolo; e l'assistito vi estende la sua azione mistica, vi
raccoglie dei guadagni piccoli, ma insperati, vi fa degli adepti e finisce per
camminare nelle vie, circondato sempre da quattro o cinque persone, che lo
corteggiano e studiano tutte le sue parole.
Ma
il grande aiutatore del popolo, la provvidenza del popolo, la sua fede, la sua
credenza incrollabile, è il monaco. Il monaco sa i numeri: questo
è il domma. Se non li dice, è perchè il Signore gli ha proibito di aiutare i
peccatori; se li dice, e non escono, è perchè nel giuocatore è mancata la vera
fede; se li dice e vengon fuori, la novella si spande in un minuto, il povero
monaco diventa afflitto da una popolarità pericolosa. È come l'artista che ha
fatto un capolavoro: guai se non continua a farne, egli è perduto. Il monaco
che ha solamente fatto prendere un ambo, ha speranza di viver quieto: ma colui
che ha dato tre numeri e sono usciti tutti tre, stia in guardia. Cercheranno di
sedurlo in tutti i modi, coi doni, coi regali di denaro, con le offerte, con le
messe, con le elemosine; lo faranno pregare dai bimbi, dalle donne, dalle nonne
vecchie; l'aspetteranno in istrada, alla porta della chiesa, presso il
confessionale, alla porta del convento; andranno a raccomandarsi a sua madre, a
suo fratello, a sua zia; lo assedieranno mattina e sera; lo bastoneranno; lo
sequestreranno, torturandolo; lo lasceranno morire di fame, perchè almeno in
agonia dia i numeri. Sono cose accadute. Spesso, per salvarsi, un monaco si fa
mandare da un paese all'altro, dal suo superiore; scompare, il popolo dice che
se lo ha portato via la Madonna.
Il
popolo napoletano giuoca per quanto più ha denaro. Per quanto sia povero, trova
sempre sei soldi, mezza lira, al sabato, da giuocare; ricorre a tutti gli
espedienti, inventa, cerca, finisce per trovare. La sua massima miseria non
consiste nel dire che non ha pranzato, consiste nel dire: Nun, m'aggio
potuto jucà manco nu viglietto; chi ascolta, ne resta spaventato. Fra il
venerdì sera e il sabato mattino, è tutto un agitarsi di gente che vuol
giuocare e che non ha denaro; gli operai si fanno anticipare una giornata, le
serve rubano orrendamente sulla spesa, i mendicanti nelle vie crescono
smisuratamente dal venerdì al sabato, quello che si può ancora vendere, si
vende, quello che si può impegnare, si impegna. Anzitutto vi sono i biglietti
popolari da giuocare, quelli che si giuocano sempre, perchè è una tradizione,
perchè è un obbligo, perchè non se ne può fare a meno: l'ambo famoso, sei e
ventidue; il terno famoso, cinque, ventotto, e ottantuno; il terno della
Madonna, otto, tredici e ottantaquattro. Questi terni, per fortuna del governo,
non escono che ogni venti anni: quando è uscito, dopo moltissimi anni di
attesa, l'ambo sei e ventidue, il governo ha pagato due milioni di piccole
vincite, di cinque e di dieci lire l'una; e tutta Napoli si è coperta di
tavolelle, vale a dire che tutti hanno pranzato o cenato con la vincita, per
ricominciare a giuocare, la settimana dopo, con maggior ardore.
E
ognuno ha il suo biglietto speciale, che gioca ogni settimana, da anni ed anni,
con una fede che mai non crolla: un lustrascarpe ne giuocava uno da trent'anni
e glielo aveva lasciato in eredità suo padre, morendo, insieme con la cassetta
per lustrare; erano usciti degli ambi, tre o quattro volte, in trent'anni; il terno,
mai. Un portinaio ne giuocò uno, per quarantacinque anni, senza prender mai
nulla: la prima settimana che per un caso singolare, se ne scordò, il terno
uscì - il portinaio morì di dolore.
E
vi è sempre il biglietto del grande avvenimento, rissa o suicidio, revolverata
o veleno; e infine vi è il biglietto cabalistico, quello strappato all'assistito
o al monaco.
Questi
quattro biglietti bisogna giuocarli a ogni modo; rappresentano una media
variabile da cinquanta centesimi a due lire la settimana. Quando il napoletano
non ha più che due soldi, li va a giuocare al gioco piccolo, o lotto
clandestino.
Per
lo più le mezzane di questa grande frode, sono le donne. Una di queste,
sudicia, lacera, porta in una lunga tasca, sotto la gonnella, un registro:
viene il giuocatore o la giocatrice, deposita due soldi e dice i numeri: in
cambio ha un pezzetto di carta sporca, dove sono scritti col lapis i numeri e
la promessa, invariabile: uno scudo l'ambo... quaranta scudi il terno. La donna
compie il suo giro nel quartiere, tutti la conoscono, tutti sanno che mestiere
fa, tutti l'aspettano: denunziarla? Nessuno l'oserebbe, è una benefattrice.
Questi
introiti sono larghi naturalmente; a furia di due soldi si arriva a centinaia e
centinaia di lire: i tenitori di gioco piccolo arricchiscono quasi
tutti.
Alla
Riviera s'incontrano degli equipaggi di ricchi borghesi, arrivati a questa
ricchezza col lotto clandestino; si conoscono perfettamente le persone, ma esse
non compaiono, hanno i loro agenti. Il popolano ha una cieca fede in questi
tenitori di gioco piccolo: ma bene spesso, nel pomeriggio del sabato, se
il tenitore ha da pagare molte vincite, si affretta a sparire, con tutti i suoi
registri, e non paga nessuno. Che importa?
La
settimana appresso un'altra donna ricomincia il suo giro e la gente ci capita
di nuovo, come attratta, invincibilmente. Che delizia per chi giuoca e per chi
prende i quattrini, frodare il governo!
Ogni
tanto la questura arresta quattro o cinque di questi agenti, di queste mezzane,
essi sono condannati al carcere, alla multa; che importa? Scontano la pena,
pagano la multa, escono, ricominciano da capo, con più ardore. Vi è chi è stato
condannato cinque volte per gioco piccolo: e ha un palazzo, e si
lagna della persecuzione del governo, e la sua condanna la chiama na
disgrazia. L'aver messo il biglietto a due soldi, non è valso a nulla, pel
governo: la frode ha continuato, più fiorente, appoggiata su questa grande
allucinazione.
Ora la
statistica porta: che nei giorni di giovedì, venerdì e sabato, avvengono
maggiori furti domestici; che in questi tre giorni si fanno più pegni al Monte
di Pietà, che in questi tre giorni le agenzie private di pegni, sono
affollatissime; che in questi tre giorni, ma specialmente nel pomeriggio del
sabato, avvengono maggiori risse; che infine le cose più brutte, più laide, più
ignobili e più violente avvengono in questo fatale periodo, e che in questi
giorni il popolo napoletano si mette nelle mani dell'usura: il vero cancro, di
cui muore.
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