L'USURA
Una
povera donna che ha bisogno di cinque lire per pagare il padrone di casa, va a
cercarle in prestito da donna Carmela, che dà il denaro cu a credenza.
Prima di andarci, esita molto, ha paura e vergogna, ma visto che non può fare
diversamente si decide. Donna Carmela è una donna grassa e grossa che
esercita per lo più una professione di lusso, rammenda merletti, trapuntisce le
grandi coltri di bambagia che si usano in Napoli, d'inverno ricama in oro sul
velluto: infine una professione per la forma, che lascia godere di lunghi ozii;
ma la sua vera professione è il prestar quattrini alla povera gente. Donna
Carmela è verbosa e affettuosa in questo primo colloquio con la povera
donna: la rincora, la compatisce, se occorre, le confessa di essere stata
egualmente alle strette, e la manda via, tutta racconsolata, con le cinque
lire, - vale a dire con quattro lire e mezzo. Il prestito è fatto per otto
giorni, l'interesse è di due soldi per lira. Si paga anticipato: quindi, sulle
cinque lire, la povera donna lascia
cinquanta centesimi. Gli otto giorni passano, le cinque lire da restituire la
povera donna non le ha, allora, tutta rossa di vergogna, prega donna Carmela
di contentarsi di un'altra settimana d'interesse, cinquanta centesimi: donna
Carmela non dice nulla e intasca i dieci soldi. Così passano quattro,
cinque, fino a dieci settimane, senza che la povera donna abbia mai potuto
riunire le cinque lire: e ogni lunedì le tocca pagare l'interesse del dieci per
cento per settimana, e dopo la quinta settimana donna Carmela è
diventata una iena, bisogna pregarla perchè non gridi, perchè non faccia delle
scene, essa vuole il suo denaro, vuole il sangue suo, l'interesse non le
serve, le servono i quattrini del capitale. Sulla soglia delle porte, alle
porte delle officine, ogni sabato, ogni lunedì, si ode la voce irosa di donna
Carmela: essa, dal mattino, è in giro per esigere, ricoglie, e fa
tremare uomini e donne, con il suo tòno alto e imperioso. In un posto ha da
esigere una lira, in un altro due, in un altro cinque: e non osano ribellarsi a
lei, non avendo da pagarla, non osano ribellarsi, potendo aver sempre bisogno
di lei. Quella donna grassa è implacabile: sa la sua potenza: se una serva non
paga, essa minaccia di fare uno scandalo con la padrona, se una donna non paga,
essa minaccia di dirlo al marito, se un operaio non paga, essa sa l'indirizzo
del capo officina, e cui va a denunciarlo. Ella è astuta e cauta, audace e
sboccata: ella resta sempre nella posizione di una benefattrice, a cui codesti
ingrati rodono le fibre e bevono il sangue. E infatti nessuno le dà una
coltellata, nessuno la bastona, nessuno la insulta, e quel che è più forte
ancora, nessuno ha il coraggio di negarle i quattrini: l'onestà del popolo
napoletano non è neppur capace di truffare una usuraia. Non le danno neppure
torto nelle sue escandescenze: e cercano sempre di mansuefarla.
Quando
una povera donna napoletana ha bisogno di un grembiule, di un vestito, di un
fazzoletto da collo, di un paio di camicie, non avendo quattrini per
comperarle, si decide ad andare da donna Raffaela che dà la robba cu
a credenza. Quest'altra usuraia prende, a basso prezzo, tela e percallo e
fazzoletti di cotone dai negozi: e li rivende alla povera gente. Ogni oggetto,
naturalmente, è pagato molto più caro del suo valore: primo guadagno. Poi, come
all'altra usuraia, bisogna pagare l'interesse del dieci per cento alla
settimana, sulla somma. Questi debiti, complicati continuamente, pesano sulla
esistenza delle povere donne, per mesi e mesi: talchè, molto spesso, il grembiule
si è consumato, la veste è lacera, le camicie sono bucate, e la povera donna ne
ha pagato tre volte il valore, e il debito rimane uguale: donna Raffaela
è furibonda, ella grida come una energumena, vuole strappare dal collo della
donna il fazzoletto che le ha venduto, vuole sciogliere dai fianchi il
grembiule e va gridando: Chesta è robba mia! T'aie arrobbato lu sango mio!
Come l'altra, ella finisce per incassare quattro o cinque volte il capitale;
come l'altra, ella è necessaria alla povera gente, la quale non reagisce mai
contro queste violenze; come l'altra, ella non arrischia mai che piccoli
capitali, preferendo di far piccoli e molti affari, dove non vi sono rischi, a
grossi affari che offrono sempre dei pericoli.
Le
agenzie private di pegni rappresentano l'usura organizzata in modo legale.
Queste agenzie non sono succursali del Monte di Pietà, che debbano conformarsi
alle tariffe del grande istituto di misericordia; ma sono speculazioni
debitamente autorizzate e viventi con capitali proprii. Per lo più sono
esercitate da donne, profondamente sottili nella loro volgarità, nella loro
ignoranza, e vengono messe su con pochi capitali. Anzitutto, in queste agenzie,
l'oggetto è deprezzato vilmente, specie se non è oro: e il primo guadagno è su
questo. Vi si paga un fantastico diritto di registro, poi un tanto per la cartella,
poi l'interesse anticipato per un mese, tutto questo così complicato, così bene
salvaguardato, così apparentemente legale, che queste agenzie esigono il cinque
per cento d'interesse al mese, senza che nessuno abbia il diritto di lagnarsi.
So di una moglie di impiegato che dovette impegnare il suo unico vestito di
seta, il vestito delle nozze, che era costato duecentocinquanta lire, in una di
queste agenzie, tenuta da una grossa donna Gabriela: n'ebbe trentasei
lire, di cui ritirò soltanto trent'una, lasciandone cinque per interesse, per
la cartella ed il diritto di registro. Per sei mesi, tremando che non le
vendessero il suo vestito e non avendo le trentasei lire, le toccò pagare, ogni
mese, cinque lire, vale a dire che restituì i quattrini presi: al settimo non
ebbe neppure quelle cinque lire ed il vestito fu venduto. Accorse, per vedere
di prendere il di più, poichè il vestito era nuovo, e si era dovuto vendere
bene: invece era stato liberato per trenta lire; almeno così apparve dal
libro. Ebbe poi il piacere d'incontrare donna Gabriela al teatro col suo
vestito indosso e carico di oro e di gioielli, ricomprati dall'agenzia. Poichè
molte di queste amano di sovraccaricarsi degli oggetti che hanno in deposito, e
più di una popolana vede passare l'impegnatrice che va alla passeggiata,
portando al collo il laccetto d'oro che ella ha dovuto impegnare, alle
orecchie gli orecchini di una vicina, e sulle spalle il mantello di velluto
della signora del terzo piano: e dietro le porte, dietro le finestre, quando l'impegnatrice
passa, vi sono dei sospiri repressi, delle lagrime inghiottite, dei pallori
subitanei: l'impegnatrice sembra un idolo indiano a cui si sacrifichi
oro e sangue. Alcune impegnatrici, più astute e più calcolatrici,
impegnano di nuovo, ma al Banco, gli oggetti di oro e di valore, guadagnandoci
ancora, poichè il Banco dà onestamente il terzo del valore ed esse neppure il
quinto: così aumentano i loro capitali, e mettono gli oggetti al sicuro.
Ma
perchè - si domanda - la povera gente non si rivolge ai due Banchi dello
Spirito Santo e di Donnaregina? Perchè si fa spogliare da queste agenzie? Gli è
che a questi Banchi governativi, il tramite è molto lungo - e molta gente non
ha pazienza, non sa come fare, vuole sbrigarsi presto, è presa da una necessità
urgentissima e preferisce entrare in una delle prime agenzie che trova dove la
servono subito, senza formalità e senza parole; gli è che in questi Banchi
governativi, la pubblicità è sempre grande, e una persona timida vi arrossisce
di vergogna e preferisce entrare nella penombra discreta delle agenzie private,
dove tutto sembra fatto con grande segretezza; gli è che il venerdì e il
sabato, poichè il popolo napoletano deve giuocare al lotto, e ha giuocato, la
folla è così grande che i Banchi governativi non bastano più e il popolo si
riversa nelle agenzie private.
Ora,
calcolate. Ogni vicolo ha la sua donna Carmela, ogni strada la sua donna
Raffaela, ogni angolo di piazza ha la sua agenzia autorizzata; e in certe
strade nere, ogni tre botteghe, s'impegna. Calcolate, moltiplicate, pensate
alla miseria, pensate al lotto: da un lato l'avidità e la furberia: dall'altro
l'onestà e l'ingenuità, il bisogno, la miseria. Di questo cancro, l'usura,
agonizza in una infelicità infinita la gente napoletana.
|