CHE FARE?
Se io leggo giornali, opuscoli, libri che si
occupino delle grandi questioni napoletane, se io seguo il movimento delle sue
associazioni, se io noto i voti dei congressi, se io odo i lamenti degli
albergatori, non veggo da tutto questo che una costante, nobile, ammirevole ed
esclusiva preoccupazione di rendere gradito, sempre più, il soggiorno di
Napoli, ai forestieri. Benissimo! Ottimamente! Tutti gli sforzi per attirarvi
quì, oltre che per il fascino di un indescrivibile paesaggio, oltre che per la
dolcezza di un clima soavissimo, per la civiltà e la grazia dell'ambiente, il
grande mondo cosmopolita, che tante delizie trova, in inverno, al Cairo e a
Nizza, tutti questi esemplari sforzi, fatti non solo per attirare, ma per
trattenere quì, fra noi, la ricchissima ed elegantissima società
internazionale, sono degni del più grande e profondo incoraggiamento. Sì,
formiamo il rione della Beltà, ove, sulle sponde del mare, dal primo angolo di
Santa Lucia Nova a Mergellina non sieno che belle case, floridi giardini,
magnifici alberghi, botteghe di cose di arte: facciamo che queste vie sieno
spazzate bene, due o tre volte al giorno, e che il lastricato non costituisca
un pericolo per le ossa dei forestieri: otteniamo che le carrozzelle
sieno meno sgangherate, i cocchieri meno laceri e meno sporchi e, sovra tutto,
meno avidi e screanzati coi forestieri: compiamo il miracolo di fare sparire i
mendicanti schifosi, i venditori ambulanti odiosi, i fiorai petulanti e tanti
altri individui anche più bassi, anche più equivoci da questo rione della
Beltà: e che i capitalisti costruiscano un kursaal a santa Lucia, aperto
in inverno per gli stranieri e in estate per i provinciali: e altri capitalisti
facciano un Palais de la jeteè alla rotonda di via Caracciolo, bello e
ricco come quello di Nizza: e vi sieno altre attrattive più larghe e più
possenti, i cui progetti noi lo sappiamo, fervono nella mente di coloro che
amano Napoli: e, su tutto questo, si strombetti ai quattro venti della stampa
dei due mondi, che la salubrità e la igiene di Napoli sono diventate di
prim'ordine, il che è la verità, si strombetti che la sua mortalità è
bassissima di fronte a quella di tante altre capitali europee e di Nizza e del
Cairo, sovra tutto, il che è la santissima verità; si strombetti, poichè
nessuno lo sa, all'estero, che la sua acqua di Serino è la migliore
di tutte le acque europee, come è dichiarato in tutti i bollettini sanitari,
con l'analisi alla mano e che non vi è bisogno, quindi, di ricorrere, per gli
stranieri, a tutte, le acque minerali che bevono altrove, dalla Saint-Galmier
all'Apollinaris, e che domandano anche qui, perchè ignorano il Serino: e in
ogni maniera, in ogni forma, si raddoppi, si triplichi il movimento dei
forestieri a Napoli, si renda loro il soggiorno così piacevole qui, da
trattenerli giorni e settimane, da imprimere nel loro animo, partendo, una
nostalgia invincibile, in modo che, lontani non potendo essi tornare, mandino
da noi i loro parenti, i loro amici, le loro conoscenze. Questa è opera civile
questa è opera bella, anche se confini troppo con la reclame
industriale, anche se abbia troppo l'aria di una speculazione, anche se tenda a
trasformare sempre più in un enorme Palace, tutta la Napoli che sale,
laggiù, dal mare sino alle colline fiorite di Posillipo e del Vomero! Quel che
si è fatto a Nizza e a Montecarlo, ha formato la fortuna di tutta la Cornice da
Mentone a Hyères quel che si è fatto al Cairo, ha formato la fortuna di tutto
l'Egitto: sia, sia, questa opera buona, questa opera santa, e in questo paese
così bello e così povero, così affascinante e così pieno di miseria, in questo
paese così delizioso e dove si muore di fame, in questo paese dall'incanto
indicibile, si dia alla industria del forestiero la forma larga, felice,
fortunata, che porti, a Napoli, il solo modo di far vivere centinaia di
migliaia di persone!
Ma si permetta a un'anima solitaria e ardente
di passione, pel suo paese, come è la mia, di chiedere una parte di tutto
questo, una povera, piccola parte per migliorare le condizioni igieniche e
morali del popolo napoletano. Non si chiedono milioni, poichè i milioni hanno
fatto fiasco nell'opera del Risanamento, e nessuno, naturalmente, vuol dare più
milioni, quando i primi sono stati spesi male o perduti, per fatalità quasi che
una mano misteriosa perseguitasse questo buon popolo nostro.
Si chiedono, in nome di quel Dio giusto che
volle fossero accolti tutti i poveri, nel suo nome, povero e vagabondo egli
medesimo, sulla terra, che alla redenzione fisica e spirituale dei poveri un
po' di attenzione, un po' di denaro, un po' di cura sia dedicata da coloro che
debbono e possono fare questo! Tutto deve esser fatto con modeste ma tenaci
idee di bene, con semplici ma ostinati rimedii, con umili ma costanti
intenzioni di giovare. Bando alla rettorica sociale, bando alla rettorica
industriale, bando alla rettorica amministrativa, quella che viene dal Comune,
la peggior rettorica perchè guasta quanto di pratico, di utile, di buono si
potrebbe fare, dagli edili nostri. Perchè dunque non si obbligano la società
dei nuovi quartieri al Vasto, all'Arenaccia, al Quartiere Orientale, di ridurre
al minimo possibile le pigioni, in modo che le case fatte pel popolo siano
abitate proprio da esso e non dalla piccola borghesia, in modo che ogni
stanza non costi più di nove o dieci lire e non vi
possano per regolamento stare più di due o tre persone, quando vi sono bimbi?
Si tenti questo! E se ciò non basta, in tutte le nuove costruzioni sia nei
quartieri popolari sia nei quartieri più aristocratici, perchè non si
obbligano, con legge, con regolamento, ad avere un piano dei loro palazzi,
l'ultimo, fatto in modo che la gente del popolo vi possa abitare, avendo delle
stanze, delle soffitte, ciò che si chiama il suppenno che non costino,
appunto, più di nove o dieci lire al mese ogni stanza? E se qualche società
ancora, qui, vuol costruire sulle colline, o sulla spiaggia, verso la ferrovia
o verso il mare, perchè non la si obbliga, per legge o per regolamento, se
vuole tale concessione, a costruire al quarto o al quinto piano, tali stanze, a
cui si accederebbe dalle scale di servizio? E nei conventi che il Municipio
oramai possiede in gran numero, da cui sono state discacciate tante sventurate
monache perchè albergano solo dei grandi elettori o dei servitori di consiglieri
comunali? Perchè, poichè le povere monacelle furono buttate fuori alla strada,
alla miseria e alla morte, non si fa una spesa, una santa spesa per pulire, per
restaurare, questi numerosi monasteri e non si affittano, quelle stanze,
diventate nette e salubri al popolo napoletano? Un poco di questo denaro che
dovrebbe servire, per chiamar qui gente, dall'Europa e dalle Americhe,
pochissimo di questo denaro dedicarlo, saviamente, mitemente ma costantemente,
a creare delle modicissime, modestissime non case, ma stanze, stanze per il
popolo!
E qualcuno di quei vividi lampioni a gas che
splendono nel Rione della Beltà, perchè non metterlo laggiù, anche meno
splendido, ma lampione, ma acceso, dietro il paravento, dietro i famosi
palazzi del Rettifilo, alle cui spalle, nella notte, si ruba, si commettono
infamie e si uccide, nelle tenebre profonde e paurose? Perchè non dare un poco
di luce, proprio un poco, perchè non si possa più nè rubare nè uccidere, almeno
in alcune di quelle vie? Non è un dovere stretto, rigoroso, di qualunque
municipio, di dare la luce, di sera, di notte, ai cittadini? Questo
rigorosissimo dovere, perchè non si compie, in favore del popolo napoletano,
dai due lati del Rettifilo, da Porto a Pendino a Mercato a Vicaria? L'idea
semplice: qualche lampione, o edili nostri! E di questa schietta fresca,
spumante acqua di Serino, vanto di Napoli, salvazione di Napoli, lavacro
interiore, lavacro esteriore perchè laggiù, dietro il paravento, non vi è,
pare, neanche la conduttura? Questo supremo beneficio che tanto è costato non
era, non deve essere fatto solamente per il volto e per il ventricolo dei
ricchi, forestieri, o non forestieri, dei borghesi, piccoli o grandi, ma chi lo
volle, questo beneficio profondo dell'acqua, lo volle soprattutto per il
popolo e il popolo non lo ha, dietro il Rettifilo, non lo ha, o lo ha
scarsissimo e beve e si lava nell'acqua verminosa dei pozzi e delle cisterne: e
in un modo qualunque, provvisorio, semi provvisorio, definitivo, come meglio si
può, bisogna darla, darla questa buona acqua ai quartieri popolari e non
servirsene solo per innaffiare la passeggiata di via Caracciolo! E qualcuno di
quegli spazzini che dovrebbero rendere nitido come il cristallo il rione della
Beltà, dopo aver spazzato questo rione, discenda dove non è mai stato, dove
non si spazza mai, e scrosti, tenti di scrostare il sudiciume annoso, e
trasporti via, oggi superficialmente, domani meglio, fra un mese completamente,
i cumuli invecchiati e putridi d'immondizie. Vi sia un piccolo, piccolo servizio
di spazzamento, laggiù, appaia la scopa, appaia il carretto, si compia il
dovere oscuro ma preciso di nettare le vie, alla meglio, come si può, ma in
qualche modo, ma ogni giorno! E qualcuno di quei gloriosi militi municipali che
debbono tener lontani i pezzenti, i mendicanti, i fiorai, per non seccare gli
stranieri della Riviera e del Chiatamone, penetri, penetri laggiù, e applichi
le leggi di polizia urbana, laggiù ove non vi è traccia di tutto questo,
laggiù ove ognuno fa quello che vuole, perchè niuno s'incarica di fargli fare
quello che deve! E i militi della questura non si occupino solo a
vegliare nei quartieri aristocratici che i cocchieri non vessino i viaggiatori
del Grand Hotel e del Bertolini, ma qualche milite di essi si
occupi a impedire, possibilmente, il vizio, l'infamia e il delitto nei
quartieri popolari, dietro il Rettifilo!
Che chiedo io, infine, per i miei fratelli del
popolo napoletano, che chiedo io come tutti quelli che hanno cuore, e
anima, salvo che finisca l'oblio e l'abbandono? Che chiedo io, in nome
dell'eguaglianza umana e cristiana, salvo che il popolo di laggiù sia trattato
come tutti gli altri cittadini, abbia una casa, abbia della luce, nella notte,
dell'acqua, della nettezza, della sorveglianza, sia guardato e protetto contro
sè stesso e gli altri? Che chiedo, io, se non l'applicazione della legge umana
e sociale, trattar quelli come si trattano gli altri, dar loro quel che spetta
loro, come esseri viventi, come cittadini di una grande città? Faccia il suo
dovere chiunque, non altro che il suo dovere, verso il popolo napoletano
dei quattro grandi quartieri, faccia il suo dovere come lo fa altrove, lo
faccia con scrupolo, lo faccia con coscienza e, ogni giorno, lentamente,
costantemente, si andrà verso la soluzione del grande problema, senza milioni,
senza società, senza intraprese, ogni giorno si andrà migliorando, fino a chè
tutto sarà trasformato, miracolosamente, fra lo stupore di tutti, sol perchè,
chi doveva si è scosso dalla mancanza, dalla trascuranza, dall'inerzia,
dall'ignavia e ha fatto quel che doveva.
Napoli, primavera 1904
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